Abbazia Santa Maria di Pulsano Letture patristiche della Domenica «dell’amore del Padre per il mondo»
IV di Quaresima B
Gv 3,14-21; 2 Cron 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10
1. Il serpente di rame, simbolo di Cristo
La strada traversa nuovamente il deserto, e il popolo, nella disperazione dei beni promessi, è esausto per la sete. E Mosè fa di nuovo scaturire per lui l`acqua nel deserto dalla Roccia. Questo termine ci dice cos`è, sul piano spirituale, il sacramento della penitenza. Difatti, coloro che,
dopo aver gustato dalla Roccia, si sono sviati verso il ventre, la carne e i piaceri degli Egiziani, sono condannati alla fame e vengono privati dei beni di cui godevano. Ma è data loro la possibilità di ritrovare con il pentimento la Roccia che avevano abbandonato e di riaprire per loro il rivolo d`acqua, per dissetarsi alla sorgente...
Però il popolo non ha ancora imparato a seguire le tracce della grandezza di Mosè. E` ancora attratto dai desideri servili e inclinato alle voluttà egiziane. La storia dimostra con ciò che la natura umana è portata a questa passione più che ad altre, accessibile com`è alla malattia per mille aspetti. Ecco perchè, alla stregua di un medico che con la sua arte impedisce alla malattia di progredire, Mosè non lascia che il male domini gli uomini fino alla morte. E siccome i loro desideri sregolati suscitavano dei serpenti il cui morso inoculava un veleno mortale in coloro che ne restavano vittime, il grande Legislatore rese vano il potere dei serpenti veri con un serpente in effigie. Sarà però il caso di chiarire l`enigma.
Vi è un solo antidoto contro le cattive infezioni ed è la purezza trasmessa alle nostre anime dal mistero della religione. Ora, l`elemento principale contenuto nel mistero della fede è appunto il guardare verso la Passione di colui che ha accettato di soffrire per noi. E Passione vuol dire croce. Così, chi guarda verso di lei, come indica la Scrittura, resta illeso dal veleno del desiderio.
Rivolgersi verso la croce vuol dire rendere tutta la propria vita morta al mondo e crocifissa (cf. Gal 6,14), tanto da essere invulnerabile ad ogni peccato; vuol dire, come afferma il Profeta, inchiodare la propria carne con il timore di Dio (cf. Sal 118,120). Ora, il chiodo che trattiene la carne è la continenza. Poichéquindi il desiderio disordinato fa uscire dalla terra serpenti mortali - e ogni germoglio della concupiscenza cattiva è un serpente -, a motivo di ciò, la Legge ci indica colui che si manifesta sul legno. Si tratta, in questo caso, non del serpente, ma dell`immagine del serpente, secondo la parola del beato Paolo: "A somiglianza della carne di peccato" (Rm 8,3). E colui che si rivolge al peccato, riveste la natura del serpente. Ma l`uomo viene liberato dal peccato da colui che ha preso su di se la forma del peccato, che si è fatto simile a noi che ci eravamo rivolti verso la forma del serpente; per causa sua la morte che consegue al morso è fermata, però i serpenti stessi non vengono distrutti. Infatti, coloro che guardano alla Croce non sono più soggetti alla morte nefasta dei peccati, ma la concupiscenza che agisce nella loro carne (cf. Gal 5,17) contro lo Spirito non è interamente distrutta. E, in effetti, i morsi del desiderio si fanno spesso sentire anche tra i fedeli; ma l`uomo che guarda a colui che è stato elevato sul legno, respinge la passione, dissolvendo il veleno con il timore del comandamento, quasi si trattasse di una medicina.
Che il simbolo del serpente innalzato nel deserto sia simbolo del mistero della croce, la parola stessa del Signore lo insegna chiaramente, quando dice: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell`uomo" (Gv 3,14).
(Gregorio di Nissa, Vita Moysis, nn. 269-277)
2. Dio ama infinitamente il mondo
Abramo aveva molti servitori; perchè Dio non gli dice di sacrificare uno di loro? Perchè l`amore di Abramo non si sarebbe rivelato attraverso un servitore; occorreva per questo il suo stesso figlio (cf. Gen 22,1-18). Parimenti c`erano molti servitori di Dio, ma egli non mostrò il suo amore verso le creature tramite nessuno di loro, bensì tramite il proprio Figlio, grazie al quale fu proclamato il suo amore per noi: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16).
(Efrem, Diatessaron, 21, 7)
3. Dalla bontà di Dio dipende il nostro vivere
E` oltremodo giusto che noi inneggiamo a lui, perchè il nostro essere e il nostro vivere non sono in nostro potere né dipendono da noi, ma dal suo favore e dalla sua bontà. Dobbiamo dunque cantare a questo Dio, che è ed è sempre stato, le grandezze che gli competono e si addicono alla lode della sua maestà, cioè: che egli è eterno, che è onnipotente, che è immenso, che è creatore del mondo e suo salvatore, che ha avuto per gli uomini tale amore da offrire persino il Figlio suo per la salvezza del mondo, come dice egli stesso nel Vangelo: "Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo Figliolo unigenito, affinché chiunque in lui crede non perisca, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16).
(Cromazio di Aquileia, Sermo, 33, 1)
4. Cristo ha illuminato le nostre tenebre
E` veramente cosa buona e giusta renderti grazie, Signore santo, eterno Padre, Dio onnipotente, per Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore.
Egli, con l`illuminazione della sua fede, dissipò le tenebre del mondo e costituì figli della luce coloro che giacevano nelle tenebre, sotto la giusta condanna della legge.
Egli venne come giudizio sul mondo, sicché i non vedenti vedessero e i vedenti divenissero ciechi; in tal modo, coloro che confessavano in sé le tenebre degli errori, percepivano la luce eterna, per mezzo della quale rimuovere le tenebre dei delitti. E quelli che, arroganti, credevano di avere in sé per proprio merito la luce della giustizia, meritatamente in sé stessi si oscureranno.
Quelli che si innalzano nella propria superbia e confidano nella propria giustizia, non ricercano il medico per essere sanati.
Per lo stesso Gesù che affermò di essere la porta che fa accedere al Padre, fa` che essi possano entrarvi. E poichè credettero a torto di poter essere elevati per merito, rimasero nonostante tutto nella loro cecità.
Ecco perchè noi, veniamo a te umili, Padre santo; senza presumere dei nostri meriti, apriamo la nostra ferita davanti al tuo altare, confessiamo le tenebre dei nostri errori; apriamo i recessi della nostra coscienza.
Ti preghiamo di poter trovare la medicina per la ferita, la luce eterna per le tenebre, la purezza dell`innocenza per la coscienza. Vogliamo, infatti, con tutte le energie, discernere il tuo volto, ma ne siamo impediti dalla cecità della tenebra consueta. Siamo avidi di guardare i cieli, ma non ne abbiamo le possibilità finché restiamo accecati dalle tenebre dei peccati; e tantomeno imitiamo con una santa vita coloro che per l`eccellenza della vita hanno ricevuto il nome del cielo.
Vieni, dunque, Gesù, in aiuto di noi che ti preghiamo nel tuo tempio e prenditi cura in questo giorno di coloro che, in vista del bene, tu hai voluto che non osservassero il sabato.
Ecco, apriamo le nostre ferite davanti alla gloria del tuo nome: tu applica la medicina sulle nostre infermità. Soccorrici, come hai promesso di fare con chi ti prega, noi, che tu hai tratto dal nulla.
Prepara un collirio e tocca gli occhi del cuore e del corpo, affinché non ricadiamo, ciechi, nelle tenebre dei soliti errori.
Ecco, bagniamo con le lacrime i tuoi piedi; non respingerci umiliati. O buon Gesù, fa` che non abbandoniamo le tue orme, tu che umile venisti sulla terra. Ascolta ora la nostra comune preghiera e, svellendo la cecità dei nostri crimini, fa` che possiamo vedere giubilanti la gloria del tuo volto, nella beatitudine dell`eterna pace.
(Sacramentario Mozarabico, Praefatio)
5. Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi
Noi che onoriamo il Signore per tanti altri motivi, non dobbiamo soprattutto celebrarlo, glorificarlo e ammirarlo per aver sofferto il martirio della croce e subito una morte così esecrabile? Forse che Paolo non ci propone e ripropone continuamente come prova della sua carità verso di noi il fatto che sia morto? E in che modo è morto per gli uomini? Tralasciando ciò che Cristo ha fatto in nostro favore e per nostro conforto, ritorna sempre alla croce: «Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Ma poi ci solleva a una grande speranza: «Se infatti,quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rm 5,10). Egli stesso si gloria soprattutto di questo, e si compiace, gode ed esulta con immenso piacere, scrivendo ai Galati: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14).
Perché meravigliarsi se Paolo esulta, erompe nella gioia e si vanta di ciò, quando anche colui che patì, considera gloria la croce? «Padre, disse, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo» (Gv 17,1). E il discepolo che scrisse queste cose diceva: «Non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Gv 7,39), volendo significare con tali parole la gloria della croce.
E quando volle mettere in evidenza la carità di Cristo, che cosa disse? Forse che accennò a qualche miracolo o prodigio? Niente affatto, non mette avanti che la croce, dicendo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,6).
E Paolo: «Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8,32).
E per incitare all'umiltà, esorta con queste parole: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,5). E quando dà consigli riguardo alla carità,scrive ancora: «Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,2).
Per indicare, inoltre, con quanto zelo lo stesso Signore desiderasse la croce e da quale ardore fosse animato, ascolta in che modo apostrofa il capo e principe degli Apostoli, il fondamento della Chiesa,quando per ignoranza aveva protestato dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai»; gli risponde: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo» (Mt 16,23). Con l'aspro e duro rimprovero volle significare con quanto ardore andasse egli incontro alla croce. Perché dunque meravigliarsi che in questa vita la croce sia tanto celebre, dal momento che Cristo la chiama gloria e Paolo in essa si gloria?
Dal trattato «Sulla Provvidenza di Dio» di san Giovanni Crisostomo, vescovo.
6. L`amore per le realtà eterne è un giogo soave
Quale grave sacrificio impone la vita eterna ai suoi amanti, quando esige di essere amata allo stesso modo che questa nostra vita è amata dai suoi innamorati? E` forse cosa degna o almeno tollerabile che, mentre si trascurano tutte le cose che si amano nel mondo per poter conservare la vita destinata dopo un breve spazio a finire, per conservarla - dico - almeno per quel breve spazio nel mondo, non si disprezzi egualmente il mondo, per conseguire la vita che è senza fine presso colui dal quale fu creato il mondo? Or non è molto, quando Roma medesima, sede della potenza più famosa del mondo, era devastata dall`invasione dei barbari [i visigoti condotti da Alarico, nell`anno 410], quante persone innamorate di questa vita temporale, pur di prolungarla nell`infelicità e riscattarla nella miseria, donarono tutti i beni che avevano in serbo non solo per renderla piacevole e bella, ma per sostentarla e proteggerla?
Certo gli innamorati sono soliti recare molti doni alle donne che amano, per possederle; costoro invece non possederebbero la loro amata, se amandola non l`avessero resa povera, né le farebbero molti doni, ma piuttosto la spoglierebbero di tutto, per non farsela portare via dal nemico. Ma io non voglio biasimare la loro perspicacia: chi ignora infatti che essa sarebbe perita se non fossero stati distrutti quei beni già messi in serbo per lei? Con tutto ciò, alcuni hanno perso prima questi tesori e subito dopo l`amata; altri, pur disposti a perdere ogni bene per amore di lei, l`hanno persa prima. Da questi esempi dobbiamo trarre monito per ricordarci quali ardenti innamorati dobbiamo essere della vita eterna, sì da disprezzare, per amore di essa, ogni cosa superflua, dal momento che per questa vita transitoria furono disprezzati perfino i beni ad essa indispensabili.
Noi invece non spogliamo, come fanno quelli, la nostra amata per conservarla, ma, per ottenere la vita eterna, facciamo servire la vita temporale come un`ancella più libera da impedimenti, se non la teniamo legata con vincoli di ornamenti inutili e non l`appesantiamo con fardelli di pensieri dannosi, ma porgiamo ascolto al Signore, che ci promette nel modo più veridico la vita eterna degna d`essere desiderata con ardentissimo amore e che ci grida come in un`assemblea di tutto il mondo: Venite da me, voi tutti che siete affaticati e stanchi e io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre; poiché il mio giogo è soave e il mio carico è leggero (Mt 11,28-30).
Questa lezione di santa umiltà scaccia dall`animo la vana e torbida cupidigia, avida di beni non sottoposti al nostro potere, e in qualche modo la fa esalare. Ci si affanna infatti quando si ricercano e amano molti beni, per il cui acquisto e possesso non è sufficiente la volontà, poiché non ha il potere necessario a raggiungerli. La vita giusta, invece, noi l`abbiamo quando la vogliamo, giacché il volerla pienamente è già la giustizia, e la giustizia, per essere perfetta, non richiede altro che una perfetta volontà. Guarda se c`è fatica, dove è sufficiente il volere.
Ecco perché divinamente fu detto: Pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2,14). Dov`è pace, ivi è tranquillità, ivi è il termine di ogni desiderio e non c`è alcun motivo di penare. Ma a far sì che questa volontà sia piena, occorre che sia sana; sarà sana poi se non respingerà il medico per grazia del quale soltanto può esser risanata dal male di desideri nocivi. Orbene, il medico è proprio colui che ad alta voce proclama: Venite da me voi tutti che siete affaticati, e dice che il suo giogo è dolce e lieve il suo peso, poiché quando per mezzo dello Spirito Santo sarà stata diffusa la carità nei nostri cuori (cf. Rm 5,5), si amerà certo ciò che ci verrà comandato; il giogo di Cristo non sarà duro né gravoso, se sotto questo unico giogo quanto meno superbamente tanto più liberamente serviremo Dio.
Questo è l`unico fardello da cui il portatore non è aggravato, ma alleviato. Se si ama la ricchezza, venga custodita là dove non può perire; se si ama l`onore, lo si riponga là dove non è onorato se non chi lo merita; se si ama la salute, si aspiri a conseguirla là dove per essa non si teme più quando si sia ottenuta; se si ama la vita, la si acquisti là dove non è troncata da nessuna morte.
Agostino, Le Lettere, II, 127,4-5 (ad Armentario e Paolina)
Lunedì 9 marzo 2015
Abbazia Santa Maria di Pulsano
Gv 3,14-21; 2 Cron 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10
1. Il serpente di rame, simbolo di Cristo
La strada traversa nuovamente il deserto, e il popolo, nella disperazione dei beni promessi, è esausto per la sete. E Mosè fa di nuovo scaturire per lui l`acqua nel deserto dalla Roccia. Questo termine ci dice cos`è, sul piano spirituale, il sacramento della penitenza. Difatti, coloro che,
dopo aver gustato dalla Roccia, si sono sviati verso il ventre, la carne e i piaceri degli Egiziani, sono condannati alla fame e vengono privati dei beni di cui godevano. Ma è data loro la possibilità di ritrovare con il pentimento la Roccia che avevano abbandonato e di riaprire per loro il rivolo d`acqua, per dissetarsi alla sorgente...
Però il popolo non ha ancora imparato a seguire le tracce della grandezza di Mosè. E` ancora attratto dai desideri servili e inclinato alle voluttà egiziane. La storia dimostra con ciò che la natura umana è portata a questa passione più che ad altre, accessibile com`è alla malattia per mille aspetti. Ecco perchè, alla stregua di un medico che con la sua arte impedisce alla malattia di progredire, Mosè non lascia che il male domini gli uomini fino alla morte. E siccome i loro desideri sregolati suscitavano dei serpenti il cui morso inoculava un veleno mortale in coloro che ne restavano vittime, il grande Legislatore rese vano il potere dei serpenti veri con un serpente in effigie. Sarà però il caso di chiarire l`enigma.
Vi è un solo antidoto contro le cattive infezioni ed è la purezza trasmessa alle nostre anime dal mistero della religione. Ora, l`elemento principale contenuto nel mistero della fede è appunto il guardare verso la Passione di colui che ha accettato di soffrire per noi. E Passione vuol dire croce. Così, chi guarda verso di lei, come indica la Scrittura, resta illeso dal veleno del desiderio.
Rivolgersi verso la croce vuol dire rendere tutta la propria vita morta al mondo e crocifissa (cf. Gal 6,14), tanto da essere invulnerabile ad ogni peccato; vuol dire, come afferma il Profeta, inchiodare la propria carne con il timore di Dio (cf. Sal 118,120). Ora, il chiodo che trattiene la carne è la continenza. Poichéquindi il desiderio disordinato fa uscire dalla terra serpenti mortali - e ogni germoglio della concupiscenza cattiva è un serpente -, a motivo di ciò, la Legge ci indica colui che si manifesta sul legno. Si tratta, in questo caso, non del serpente, ma dell`immagine del serpente, secondo la parola del beato Paolo: "A somiglianza della carne di peccato" (Rm 8,3). E colui che si rivolge al peccato, riveste la natura del serpente. Ma l`uomo viene liberato dal peccato da colui che ha preso su di se la forma del peccato, che si è fatto simile a noi che ci eravamo rivolti verso la forma del serpente; per causa sua la morte che consegue al morso è fermata, però i serpenti stessi non vengono distrutti. Infatti, coloro che guardano alla Croce non sono più soggetti alla morte nefasta dei peccati, ma la concupiscenza che agisce nella loro carne (cf. Gal 5,17) contro lo Spirito non è interamente distrutta. E, in effetti, i morsi del desiderio si fanno spesso sentire anche tra i fedeli; ma l`uomo che guarda a colui che è stato elevato sul legno, respinge la passione, dissolvendo il veleno con il timore del comandamento, quasi si trattasse di una medicina.
Che il simbolo del serpente innalzato nel deserto sia simbolo del mistero della croce, la parola stessa del Signore lo insegna chiaramente, quando dice: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell`uomo" (Gv 3,14).
(Gregorio di Nissa, Vita Moysis, nn. 269-277)
2. Dio ama infinitamente il mondo
Abramo aveva molti servitori; perchè Dio non gli dice di sacrificare uno di loro? Perchè l`amore di Abramo non si sarebbe rivelato attraverso un servitore; occorreva per questo il suo stesso figlio (cf. Gen 22,1-18). Parimenti c`erano molti servitori di Dio, ma egli non mostrò il suo amore verso le creature tramite nessuno di loro, bensì tramite il proprio Figlio, grazie al quale fu proclamato il suo amore per noi: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16).
(Efrem, Diatessaron, 21, 7)
3. Dalla bontà di Dio dipende il nostro vivere
E` oltremodo giusto che noi inneggiamo a lui, perchè il nostro essere e il nostro vivere non sono in nostro potere né dipendono da noi, ma dal suo favore e dalla sua bontà. Dobbiamo dunque cantare a questo Dio, che è ed è sempre stato, le grandezze che gli competono e si addicono alla lode della sua maestà, cioè: che egli è eterno, che è onnipotente, che è immenso, che è creatore del mondo e suo salvatore, che ha avuto per gli uomini tale amore da offrire persino il Figlio suo per la salvezza del mondo, come dice egli stesso nel Vangelo: "Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo Figliolo unigenito, affinché chiunque in lui crede non perisca, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16).
(Cromazio di Aquileia, Sermo, 33, 1)
4. Cristo ha illuminato le nostre tenebre
E` veramente cosa buona e giusta renderti grazie, Signore santo, eterno Padre, Dio onnipotente, per Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore.
Egli, con l`illuminazione della sua fede, dissipò le tenebre del mondo e costituì figli della luce coloro che giacevano nelle tenebre, sotto la giusta condanna della legge.
Egli venne come giudizio sul mondo, sicché i non vedenti vedessero e i vedenti divenissero ciechi; in tal modo, coloro che confessavano in sé le tenebre degli errori, percepivano la luce eterna, per mezzo della quale rimuovere le tenebre dei delitti. E quelli che, arroganti, credevano di avere in sé per proprio merito la luce della giustizia, meritatamente in sé stessi si oscureranno.
Quelli che si innalzano nella propria superbia e confidano nella propria giustizia, non ricercano il medico per essere sanati.
Per lo stesso Gesù che affermò di essere la porta che fa accedere al Padre, fa` che essi possano entrarvi. E poichè credettero a torto di poter essere elevati per merito, rimasero nonostante tutto nella loro cecità.
Ecco perchè noi, veniamo a te umili, Padre santo; senza presumere dei nostri meriti, apriamo la nostra ferita davanti al tuo altare, confessiamo le tenebre dei nostri errori; apriamo i recessi della nostra coscienza.
Ti preghiamo di poter trovare la medicina per la ferita, la luce eterna per le tenebre, la purezza dell`innocenza per la coscienza. Vogliamo, infatti, con tutte le energie, discernere il tuo volto, ma ne siamo impediti dalla cecità della tenebra consueta. Siamo avidi di guardare i cieli, ma non ne abbiamo le possibilità finché restiamo accecati dalle tenebre dei peccati; e tantomeno imitiamo con una santa vita coloro che per l`eccellenza della vita hanno ricevuto il nome del cielo.
Vieni, dunque, Gesù, in aiuto di noi che ti preghiamo nel tuo tempio e prenditi cura in questo giorno di coloro che, in vista del bene, tu hai voluto che non osservassero il sabato.
Ecco, apriamo le nostre ferite davanti alla gloria del tuo nome: tu applica la medicina sulle nostre infermità. Soccorrici, come hai promesso di fare con chi ti prega, noi, che tu hai tratto dal nulla.
Prepara un collirio e tocca gli occhi del cuore e del corpo, affinché non ricadiamo, ciechi, nelle tenebre dei soliti errori.
Ecco, bagniamo con le lacrime i tuoi piedi; non respingerci umiliati. O buon Gesù, fa` che non abbandoniamo le tue orme, tu che umile venisti sulla terra. Ascolta ora la nostra comune preghiera e, svellendo la cecità dei nostri crimini, fa` che possiamo vedere giubilanti la gloria del tuo volto, nella beatitudine dell`eterna pace.
(Sacramentario Mozarabico, Praefatio)
5. Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi
Noi che onoriamo il Signore per tanti altri motivi, non dobbiamo soprattutto celebrarlo, glorificarlo e ammirarlo per aver sofferto il martirio della croce e subito una morte così esecrabile? Forse che Paolo non ci propone e ripropone continuamente come prova della sua carità verso di noi il fatto che sia morto? E in che modo è morto per gli uomini? Tralasciando ciò che Cristo ha fatto in nostro favore e per nostro conforto, ritorna sempre alla croce: «Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Ma poi ci solleva a una grande speranza: «Se infatti,quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rm 5,10). Egli stesso si gloria soprattutto di questo, e si compiace, gode ed esulta con immenso piacere, scrivendo ai Galati: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14).
Perché meravigliarsi se Paolo esulta, erompe nella gioia e si vanta di ciò, quando anche colui che patì, considera gloria la croce? «Padre, disse, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo» (Gv 17,1). E il discepolo che scrisse queste cose diceva: «Non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Gv 7,39), volendo significare con tali parole la gloria della croce.
E quando volle mettere in evidenza la carità di Cristo, che cosa disse? Forse che accennò a qualche miracolo o prodigio? Niente affatto, non mette avanti che la croce, dicendo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,6).
E Paolo: «Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8,32).
E per incitare all'umiltà, esorta con queste parole: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,5). E quando dà consigli riguardo alla carità,scrive ancora: «Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,2).
Per indicare, inoltre, con quanto zelo lo stesso Signore desiderasse la croce e da quale ardore fosse animato, ascolta in che modo apostrofa il capo e principe degli Apostoli, il fondamento della Chiesa,quando per ignoranza aveva protestato dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai»; gli risponde: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo» (Mt 16,23). Con l'aspro e duro rimprovero volle significare con quanto ardore andasse egli incontro alla croce. Perché dunque meravigliarsi che in questa vita la croce sia tanto celebre, dal momento che Cristo la chiama gloria e Paolo in essa si gloria?
Dal trattato «Sulla Provvidenza di Dio» di san Giovanni Crisostomo, vescovo.
6. L`amore per le realtà eterne è un giogo soave
Quale grave sacrificio impone la vita eterna ai suoi amanti, quando esige di essere amata allo stesso modo che questa nostra vita è amata dai suoi innamorati? E` forse cosa degna o almeno tollerabile che, mentre si trascurano tutte le cose che si amano nel mondo per poter conservare la vita destinata dopo un breve spazio a finire, per conservarla - dico - almeno per quel breve spazio nel mondo, non si disprezzi egualmente il mondo, per conseguire la vita che è senza fine presso colui dal quale fu creato il mondo? Or non è molto, quando Roma medesima, sede della potenza più famosa del mondo, era devastata dall`invasione dei barbari [i visigoti condotti da Alarico, nell`anno 410], quante persone innamorate di questa vita temporale, pur di prolungarla nell`infelicità e riscattarla nella miseria, donarono tutti i beni che avevano in serbo non solo per renderla piacevole e bella, ma per sostentarla e proteggerla?
Certo gli innamorati sono soliti recare molti doni alle donne che amano, per possederle; costoro invece non possederebbero la loro amata, se amandola non l`avessero resa povera, né le farebbero molti doni, ma piuttosto la spoglierebbero di tutto, per non farsela portare via dal nemico. Ma io non voglio biasimare la loro perspicacia: chi ignora infatti che essa sarebbe perita se non fossero stati distrutti quei beni già messi in serbo per lei? Con tutto ciò, alcuni hanno perso prima questi tesori e subito dopo l`amata; altri, pur disposti a perdere ogni bene per amore di lei, l`hanno persa prima. Da questi esempi dobbiamo trarre monito per ricordarci quali ardenti innamorati dobbiamo essere della vita eterna, sì da disprezzare, per amore di essa, ogni cosa superflua, dal momento che per questa vita transitoria furono disprezzati perfino i beni ad essa indispensabili.
Noi invece non spogliamo, come fanno quelli, la nostra amata per conservarla, ma, per ottenere la vita eterna, facciamo servire la vita temporale come un`ancella più libera da impedimenti, se non la teniamo legata con vincoli di ornamenti inutili e non l`appesantiamo con fardelli di pensieri dannosi, ma porgiamo ascolto al Signore, che ci promette nel modo più veridico la vita eterna degna d`essere desiderata con ardentissimo amore e che ci grida come in un`assemblea di tutto il mondo: Venite da me, voi tutti che siete affaticati e stanchi e io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre; poiché il mio giogo è soave e il mio carico è leggero (Mt 11,28-30).
Questa lezione di santa umiltà scaccia dall`animo la vana e torbida cupidigia, avida di beni non sottoposti al nostro potere, e in qualche modo la fa esalare. Ci si affanna infatti quando si ricercano e amano molti beni, per il cui acquisto e possesso non è sufficiente la volontà, poiché non ha il potere necessario a raggiungerli. La vita giusta, invece, noi l`abbiamo quando la vogliamo, giacché il volerla pienamente è già la giustizia, e la giustizia, per essere perfetta, non richiede altro che una perfetta volontà. Guarda se c`è fatica, dove è sufficiente il volere.
Ecco perché divinamente fu detto: Pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2,14). Dov`è pace, ivi è tranquillità, ivi è il termine di ogni desiderio e non c`è alcun motivo di penare. Ma a far sì che questa volontà sia piena, occorre che sia sana; sarà sana poi se non respingerà il medico per grazia del quale soltanto può esser risanata dal male di desideri nocivi. Orbene, il medico è proprio colui che ad alta voce proclama: Venite da me voi tutti che siete affaticati, e dice che il suo giogo è dolce e lieve il suo peso, poiché quando per mezzo dello Spirito Santo sarà stata diffusa la carità nei nostri cuori (cf. Rm 5,5), si amerà certo ciò che ci verrà comandato; il giogo di Cristo non sarà duro né gravoso, se sotto questo unico giogo quanto meno superbamente tanto più liberamente serviremo Dio.
Questo è l`unico fardello da cui il portatore non è aggravato, ma alleviato. Se si ama la ricchezza, venga custodita là dove non può perire; se si ama l`onore, lo si riponga là dove non è onorato se non chi lo merita; se si ama la salute, si aspiri a conseguirla là dove per essa non si teme più quando si sia ottenuta; se si ama la vita, la si acquisti là dove non è troncata da nessuna morte.
Agostino, Le Lettere, II, 127,4-5 (ad Armentario e Paolina)
Lunedì 9 marzo 2015
Abbazia Santa Maria di Pulsano
Commenti
Posta un commento