CIPRIANI SETTIMO"Vogliamo vedere Gesù"
22 marzo 2015 | 5a Domenica - Tempo di Quaresima B | Appunti per la Lectio
C'è come un "urgere", direi quasi condensato, dei temi più tipicamente quaresimali che tendono a sfociare nella contemplazione sofferta e gioiosa dell'"evento" pasquale ormai imminente, nella Liturgia di questa ultima Domenica di Quaresima: il richiamo sempre più palese alla morte di croce, che viene presentata più come mistero di "esaltazione" che di abbassamento, l'invito a seguire Gesù sulla via della rinuncia e della generosa
"obbedienza" alla volontà del Padre, il "giudizio" di salvezza o di condanna che si esprime nell'atteggiamento che ognuno di noi assumerà davanti allo scandalo della croce, la "nuova alleanza" offerta agli uomini come frutto dell'ultima e "definitiva" donazione di amore di Dio in Cristo.
Tutto questo esprime, per un verso, lo sforzo di purificazione che deve affinare il nostro spirito in queste ultime tappe dell'itinerario quaresimale e, per un altro verso, ci dà come una pregustazione della gioia e della forza di rinnovamento che ci apporterà la Pasqua.
"Ecco verranno giorni, nei quali concluderò una alleanza nuova"
Fermiamoci per un attimo sulla prima lettura, ripresa dal cosiddetto libretto della "consolazione", in cui il profeta Geremia, preannunciando il ritorno dall'esilio babilonese, lo paragona ad una "nuova alleanza", che Dio contrarrà con il suo popolo e la cui caratteristica essenziale sarà quella della "definitività", appunto perché afferrerà, trasformandolo, il cuore dell'uomo: proprio per questo sarà un'alleanza che, a differenza di quella del Sinai, non verrà più infranta!
"Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa d'Israele e con la casa di Giuda io concluderò un'alleanza nuova... Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo..." (Ger 31,31.33-34).
L'autore della lettera agli Ebrei ci dirà che tutto questo si è verificato in Cristo, offertosi per noi sulla croce (Eb 8,1-13).
In realtà, morendo per noi, Cristo si è legato per sempre agli uomini: un gesto di morte non può più essere ripreso indietro, è un fatto definitivo. E se è compiuto per amore, esprime un amore "eterno", di cui non ci può essere pentimento. È quello che l'autore della stessa lettera dice quando scrive che "come è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo (si è) offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti" (Eb 9,27-28).
Ma proprio perché si è legato per sempre agli uomini nell'offerta della sua morte, gli uomini dovranno pur dare una risposta d'amore definitiva a Cristo: è per questo che la "nuova" alleanza sarà scritta nel "cuore" e nell'"anima" di ogni credente. Se non sarà l'amore a legarci a Dio, nessuna altra "legge" ne sarà capace, anche se venisse promulgata tra le fiamme e i tuoni del Sinai sobbalzante per il timore della presenza di Jahvè. L'itinerario quaresimale dovrebbe aiutarci a scoprire e a raggiungere quest'ultima tappa del nostro incontro con Dio: l'"alleanza" nuova e definitiva che egli ci offre nel "sangue" di Cristo, quale pegno del suo amore e provocazione ad una nostra risposta di amore.
"Cristo nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime"
Tutto questo, però, passa per la via di una "docilità" interiore che sappia renderci sempre disponibili alle richieste di Dio: c'è "alleanza" finché e nella misura in cui l'uomo ascolta ed attua le esigenze di Dio, anche se esse torchiano la nostra carne e il nostro spirito, come è avvenuto per Cristo di fronte alla morte.
È quanto ci ricorda la seconda lettura, ripresa dalla già ricordata lettera agli Ebrei: "Cristo nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5,7-9).
È evidente qui il riferimento alla paura e all'orrore di Gesù davanti alla morte, ricordati dai Sinottici: pur non avendolo "liberato" dalla morte, il Padre lo ha "esaudito" lo stesso, perché gli ha dato forza di compiere la sua "volontà" che passava per la croce. Cristo così non ha rotto l'alleanza, ma l'ha "compiuta" con la forza di un amore inesauribile.
"Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo..."
È sul terreno di questi concetti che si muove, con senso fortemente drammatico, il brano di Vangelo di Giovanni (12,20-33) che, secondo il suo stile, in una forma molto teologizzata, ci descrive l'equivalente della scena del Getsemani, che si ritrova solo nei Sinottici, come affermano molti studiosi.
Gesù è a Gerusalemme, dove ha fatto il suo solenne ingresso messianico, per l'ultima Pasqua della sua vita. "Alcuni Greci" che si trovavano lì per l'occasione della grande festa ebraica, forse presi dall'ammirazione per quanto avevano visto, chiedono a Filippo: "Vogliamo vedere Gesù" (v. 21). Consigliatosi con Andrea, va a riferirlo a Gesù il quale, però, sembra non rispondere direttamente al desiderio semplice ed intenso di quei credenti nel Dio di Israele, provenienti dal grande mondo dei pagani: "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna" (vv. 23-25).
Il desiderio dei Greci di "vedere" Gesù non è da intendersi in senso materiale: sappiamo che in Giovanni il verbo "vedere" (= orào) significa un andare oltre le apparenze dei fatti e delle cose, per coglierne l'intimo significato. "Vogliamo vedere Gesù", perciò, esprime il desiderio di cogliere il mistero che c'è in lui e che forse era sfuggito alla maggior parte della folla, che pur l'aveva acclamato poco prima nel suo ingresso trionfale in Gerusalemme. In questo senso Gesù non delude la richiesta dei Greci, ma la soddisfa in pieno, perché le sue parole, che sembrano apparentemente un soliloquio con se stesso e con il Padre, in realtà svelano l'aspetto più segreto e più sconcertante del suo mistero: egli salverà gli uomini e darà la vita al mondo "sprecandosi" e consumandosi come "il chicco di grano" che deve morire per portare "molto frutto". È tutto il contrario di quella gloria e di quella "esaltazione" che la folla giubilante poco prima gli aveva tributato!
In tal modo Gesù svela ai Greci, che rappresentano un po' tutti noi, non solo il mistero della sua fecondità salvifica, ma anche il "mistero" della nostra esistenza quotidiana, che non può non essere uno sforzo di "seguirlo" per la stessa via: "Se uno mi vuol servire, mi segua" (v. 26).
E si noti che quel "perdere la vita" per "conservarla", non è tanto un invito alla mortificazione di se stessi, come più ordinariamente si intende svilendone il significato, quanto un invito a "darsi" per gli altri per diffondere il prodigio della salvezza, che non può venire se non dalla morte a noi stessi: il chicco di grano muore per dilatare la sua capacità di fruttificazione. Non è il morire per il morire che conta: anche questo potrebbe essere un gesto di volgare egoismo!
"Padre, glorifica il tuo nome"
Ma in questo sapersi "spendere" per gli altri c'è per Cristo il massimo di "gloria": "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo... Padre, glorifica il tuo nome" (vv. 23.28). E questo per un doppio motivo: primo, perché il lasciarsi "infrangere" come il grano di frumento è la manifestazione più radiante dell'amore; secondo, perché di fatto tutto questo avrà capacità di salvezza e di "calamitazione" degli spiriti. Solamente l'amore completamente gratuito è convincente!
I Greci, che domandano di "vedere" Gesù, sono la prima espressione del mondo pagano che viene come "attratto" entro l'orbita della salvezza: l'ombra della croce già irradia, in un certo senso, il volto di Cristo! Quando poi quell'ombra sarà diventata realtà, non ci sarà più nessuno che saprà resistere alla sua forza di attrazione: "Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (v. 32).
Di nuovo qui abbiamo il verbo "elevare", "esaltare" (= ypsóo), che abbiamo già incontrato in Giovanni 3,14; 8,28, e che esprime il materiale essere "sollevato" di Gesù in croce (cf v. 33), ma per essere posto come al cospetto del mondo perché tutti leggano e "decifrino" il senso e il valore di quel gesto: chi si sarà lasciato afferrare dalla forza dell'amore di Cristo, sarà come un trofeo di vittoria che aumenterà la "gloria" per il vincitore della morte. È a motivo di questo che per Giovanni la morte di croce è già un'"esaltazione" ancor prima della risurrezione del Signore.
Il fatto però di essere già un'"esaltazione", non toglie per niente alla morte di croce il suo orrore, la sua repellenza: ed è per questo che Cristo esprime in forma accorata tutto il suo turbamento, la sua paura davanti all'incalzare di quell'"ora" decisiva e tremenda. È quanto descrive il seguito delle parole di Gesù, che sono più una preghiera rivolta al Padre che una risposta agli uomini che lo hanno interpellato: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome" (vv. 27-28).
È un contrasto drammatico che si svolge all'interno dell'animo di Gesù: la morte spaventa anche lui!
Ma egli supera questa straziante tensione, che per un attimo lacera il suo spirito, con l'affidarsi completamente al Padre facendolo diventare protagonista soprattutto di quest'"ora", che è l'ora decisiva per la storia del mondo.
E il Padre risponde con un'ultima rivelazione: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò" (v. 28). È il sigillo misterioso che viene dall'alto e che dà senso a tutta la vita di Gesù: quella che è già trascorsa e quella che ancora dovrà cimentarsi con la morte e che diventerà "vita" anche più luminosa nella risurrezione. In tutto questo si è manifestato e si manifesterà, come in trasparenza, la rilucenza, cioè la "gloria", del Padre: "Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,9).
"Ora è il giudizio di questo mondo"
Nello stesso tempo, però, vi si manifesta il "giudizio", cioè la condanna, del "mondo". Giovanni ci ha già ricordato che davanti al Cristo, che è "luce" e "vita" nello stesso tempo, il mondo incredulo viene "giudicato": "E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" (3,19). Però, è soprattutto nella morte di Cristo che il "giudizio" definitivo viene pronunciato: "Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (vv. 31-32).
Per ben due volte Gesù dichiara che è "ora", cioè nel presente, mentre gli uomini, istigati da Satana, tramano la sua morte, che si pronuncia su di loro il "giudizio" tremendo e inappellabile. L'uccisione di Cristo è stato l'ultimo peccato contro la luce: come non cogliere nella grandiosità e nella dignità della sua morte il segno della "gloria" di Dio?
È questa incapacità di ricevere amore e di donare amore che "condanna" per sempre Satana e gli uomini che si lasciano da lui signoreggiare. D'altra parte, ognuno che si lasci fedelmente "attrarre" da Gesù e si apra al suo dono di amore, sta lì ad attestare che "il principe di questo mondo" è già stato spodestato. La vittoria di Cristo su Satana, perciò, passa attraverso coloro che credono fino in fondo all'amore che egli ha avuto per noi.
Da CIPRIANI SETTIMO
C'è come un "urgere", direi quasi condensato, dei temi più tipicamente quaresimali che tendono a sfociare nella contemplazione sofferta e gioiosa dell'"evento" pasquale ormai imminente, nella Liturgia di questa ultima Domenica di Quaresima: il richiamo sempre più palese alla morte di croce, che viene presentata più come mistero di "esaltazione" che di abbassamento, l'invito a seguire Gesù sulla via della rinuncia e della generosa
"obbedienza" alla volontà del Padre, il "giudizio" di salvezza o di condanna che si esprime nell'atteggiamento che ognuno di noi assumerà davanti allo scandalo della croce, la "nuova alleanza" offerta agli uomini come frutto dell'ultima e "definitiva" donazione di amore di Dio in Cristo.
Tutto questo esprime, per un verso, lo sforzo di purificazione che deve affinare il nostro spirito in queste ultime tappe dell'itinerario quaresimale e, per un altro verso, ci dà come una pregustazione della gioia e della forza di rinnovamento che ci apporterà la Pasqua.
"Ecco verranno giorni, nei quali concluderò una alleanza nuova"
Fermiamoci per un attimo sulla prima lettura, ripresa dal cosiddetto libretto della "consolazione", in cui il profeta Geremia, preannunciando il ritorno dall'esilio babilonese, lo paragona ad una "nuova alleanza", che Dio contrarrà con il suo popolo e la cui caratteristica essenziale sarà quella della "definitività", appunto perché afferrerà, trasformandolo, il cuore dell'uomo: proprio per questo sarà un'alleanza che, a differenza di quella del Sinai, non verrà più infranta!
"Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa d'Israele e con la casa di Giuda io concluderò un'alleanza nuova... Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo..." (Ger 31,31.33-34).
L'autore della lettera agli Ebrei ci dirà che tutto questo si è verificato in Cristo, offertosi per noi sulla croce (Eb 8,1-13).
In realtà, morendo per noi, Cristo si è legato per sempre agli uomini: un gesto di morte non può più essere ripreso indietro, è un fatto definitivo. E se è compiuto per amore, esprime un amore "eterno", di cui non ci può essere pentimento. È quello che l'autore della stessa lettera dice quando scrive che "come è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo (si è) offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti" (Eb 9,27-28).
Ma proprio perché si è legato per sempre agli uomini nell'offerta della sua morte, gli uomini dovranno pur dare una risposta d'amore definitiva a Cristo: è per questo che la "nuova" alleanza sarà scritta nel "cuore" e nell'"anima" di ogni credente. Se non sarà l'amore a legarci a Dio, nessuna altra "legge" ne sarà capace, anche se venisse promulgata tra le fiamme e i tuoni del Sinai sobbalzante per il timore della presenza di Jahvè. L'itinerario quaresimale dovrebbe aiutarci a scoprire e a raggiungere quest'ultima tappa del nostro incontro con Dio: l'"alleanza" nuova e definitiva che egli ci offre nel "sangue" di Cristo, quale pegno del suo amore e provocazione ad una nostra risposta di amore.
"Cristo nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime"
Tutto questo, però, passa per la via di una "docilità" interiore che sappia renderci sempre disponibili alle richieste di Dio: c'è "alleanza" finché e nella misura in cui l'uomo ascolta ed attua le esigenze di Dio, anche se esse torchiano la nostra carne e il nostro spirito, come è avvenuto per Cristo di fronte alla morte.
È quanto ci ricorda la seconda lettura, ripresa dalla già ricordata lettera agli Ebrei: "Cristo nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5,7-9).
È evidente qui il riferimento alla paura e all'orrore di Gesù davanti alla morte, ricordati dai Sinottici: pur non avendolo "liberato" dalla morte, il Padre lo ha "esaudito" lo stesso, perché gli ha dato forza di compiere la sua "volontà" che passava per la croce. Cristo così non ha rotto l'alleanza, ma l'ha "compiuta" con la forza di un amore inesauribile.
"Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo..."
È sul terreno di questi concetti che si muove, con senso fortemente drammatico, il brano di Vangelo di Giovanni (12,20-33) che, secondo il suo stile, in una forma molto teologizzata, ci descrive l'equivalente della scena del Getsemani, che si ritrova solo nei Sinottici, come affermano molti studiosi.
Gesù è a Gerusalemme, dove ha fatto il suo solenne ingresso messianico, per l'ultima Pasqua della sua vita. "Alcuni Greci" che si trovavano lì per l'occasione della grande festa ebraica, forse presi dall'ammirazione per quanto avevano visto, chiedono a Filippo: "Vogliamo vedere Gesù" (v. 21). Consigliatosi con Andrea, va a riferirlo a Gesù il quale, però, sembra non rispondere direttamente al desiderio semplice ed intenso di quei credenti nel Dio di Israele, provenienti dal grande mondo dei pagani: "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna" (vv. 23-25).
Il desiderio dei Greci di "vedere" Gesù non è da intendersi in senso materiale: sappiamo che in Giovanni il verbo "vedere" (= orào) significa un andare oltre le apparenze dei fatti e delle cose, per coglierne l'intimo significato. "Vogliamo vedere Gesù", perciò, esprime il desiderio di cogliere il mistero che c'è in lui e che forse era sfuggito alla maggior parte della folla, che pur l'aveva acclamato poco prima nel suo ingresso trionfale in Gerusalemme. In questo senso Gesù non delude la richiesta dei Greci, ma la soddisfa in pieno, perché le sue parole, che sembrano apparentemente un soliloquio con se stesso e con il Padre, in realtà svelano l'aspetto più segreto e più sconcertante del suo mistero: egli salverà gli uomini e darà la vita al mondo "sprecandosi" e consumandosi come "il chicco di grano" che deve morire per portare "molto frutto". È tutto il contrario di quella gloria e di quella "esaltazione" che la folla giubilante poco prima gli aveva tributato!
In tal modo Gesù svela ai Greci, che rappresentano un po' tutti noi, non solo il mistero della sua fecondità salvifica, ma anche il "mistero" della nostra esistenza quotidiana, che non può non essere uno sforzo di "seguirlo" per la stessa via: "Se uno mi vuol servire, mi segua" (v. 26).
E si noti che quel "perdere la vita" per "conservarla", non è tanto un invito alla mortificazione di se stessi, come più ordinariamente si intende svilendone il significato, quanto un invito a "darsi" per gli altri per diffondere il prodigio della salvezza, che non può venire se non dalla morte a noi stessi: il chicco di grano muore per dilatare la sua capacità di fruttificazione. Non è il morire per il morire che conta: anche questo potrebbe essere un gesto di volgare egoismo!
"Padre, glorifica il tuo nome"
Ma in questo sapersi "spendere" per gli altri c'è per Cristo il massimo di "gloria": "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo... Padre, glorifica il tuo nome" (vv. 23.28). E questo per un doppio motivo: primo, perché il lasciarsi "infrangere" come il grano di frumento è la manifestazione più radiante dell'amore; secondo, perché di fatto tutto questo avrà capacità di salvezza e di "calamitazione" degli spiriti. Solamente l'amore completamente gratuito è convincente!
I Greci, che domandano di "vedere" Gesù, sono la prima espressione del mondo pagano che viene come "attratto" entro l'orbita della salvezza: l'ombra della croce già irradia, in un certo senso, il volto di Cristo! Quando poi quell'ombra sarà diventata realtà, non ci sarà più nessuno che saprà resistere alla sua forza di attrazione: "Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (v. 32).
Di nuovo qui abbiamo il verbo "elevare", "esaltare" (= ypsóo), che abbiamo già incontrato in Giovanni 3,14; 8,28, e che esprime il materiale essere "sollevato" di Gesù in croce (cf v. 33), ma per essere posto come al cospetto del mondo perché tutti leggano e "decifrino" il senso e il valore di quel gesto: chi si sarà lasciato afferrare dalla forza dell'amore di Cristo, sarà come un trofeo di vittoria che aumenterà la "gloria" per il vincitore della morte. È a motivo di questo che per Giovanni la morte di croce è già un'"esaltazione" ancor prima della risurrezione del Signore.
Il fatto però di essere già un'"esaltazione", non toglie per niente alla morte di croce il suo orrore, la sua repellenza: ed è per questo che Cristo esprime in forma accorata tutto il suo turbamento, la sua paura davanti all'incalzare di quell'"ora" decisiva e tremenda. È quanto descrive il seguito delle parole di Gesù, che sono più una preghiera rivolta al Padre che una risposta agli uomini che lo hanno interpellato: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome" (vv. 27-28).
È un contrasto drammatico che si svolge all'interno dell'animo di Gesù: la morte spaventa anche lui!
Ma egli supera questa straziante tensione, che per un attimo lacera il suo spirito, con l'affidarsi completamente al Padre facendolo diventare protagonista soprattutto di quest'"ora", che è l'ora decisiva per la storia del mondo.
E il Padre risponde con un'ultima rivelazione: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò" (v. 28). È il sigillo misterioso che viene dall'alto e che dà senso a tutta la vita di Gesù: quella che è già trascorsa e quella che ancora dovrà cimentarsi con la morte e che diventerà "vita" anche più luminosa nella risurrezione. In tutto questo si è manifestato e si manifesterà, come in trasparenza, la rilucenza, cioè la "gloria", del Padre: "Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,9).
"Ora è il giudizio di questo mondo"
Nello stesso tempo, però, vi si manifesta il "giudizio", cioè la condanna, del "mondo". Giovanni ci ha già ricordato che davanti al Cristo, che è "luce" e "vita" nello stesso tempo, il mondo incredulo viene "giudicato": "E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" (3,19). Però, è soprattutto nella morte di Cristo che il "giudizio" definitivo viene pronunciato: "Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (vv. 31-32).
Per ben due volte Gesù dichiara che è "ora", cioè nel presente, mentre gli uomini, istigati da Satana, tramano la sua morte, che si pronuncia su di loro il "giudizio" tremendo e inappellabile. L'uccisione di Cristo è stato l'ultimo peccato contro la luce: come non cogliere nella grandiosità e nella dignità della sua morte il segno della "gloria" di Dio?
È questa incapacità di ricevere amore e di donare amore che "condanna" per sempre Satana e gli uomini che si lasciano da lui signoreggiare. D'altra parte, ognuno che si lasci fedelmente "attrarre" da Gesù e si apra al suo dono di amore, sta lì ad attestare che "il principe di questo mondo" è già stato spodestato. La vittoria di Cristo su Satana, perciò, passa attraverso coloro che credono fino in fondo all'amore che egli ha avuto per noi.
Da CIPRIANI SETTIMO
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