Ileana Mortari" Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!"
Domenica delle Palme (Anno B) (29/03/2015)
Vangelo: Mc 14,1-15,47
La liturgia romana della Domenica delle Palme ha come vangelo la lettura dell'intera Passione di Cristo (dall'istituzione dell'Eucarestia alla sepoltura del corpo di Gesù) in uno dei tre sinottici, quest'anno Marco. Si tratta del testo
evangelico più lungo dell'anno liturgico, un testo particolare, come lo è la settimana introdotta dalle Palme: la Settimana Santa o la "Grande settimana". C'è il rischio di lasciar fluire le parole del lettore, quasi senza farvi attenzione (tanto le sappiamo quasi a memoria!); e invece la Chiesa ci chiede di ascoltare e meditare tutta insieme questa vicenda tragica, che non a caso inizia con l'istituzione dell'Eucarestia, nel corso della quale Gesù spiega il senso della sua morte: corpo dato e sangue sparso "per il perdono dei peccati" (specifica Matteo). Questo per evitare che si vedesse la fine di Cristo come semplicemente dovuta a un tragico destino subito ineluttabilmente.
No. Fin dagli inizi il Nazareno sapeva bene che, parlando e agendo in un certo modo (secondo la Verità), sarebbe andato incontro a ostilità e persecuzioni e il culmine era proprio la condanna a morte più infamante che allora esistesse: la morte di croce era quella del "maledetto da Dio", la pena comminata a chi era considerato gravemente pericoloso per la società, il genere di morte più doloroso in assoluto.
Ora, quello che sconcerta è proprio questo: com'è possibile che il Figlio di Dio, da Lui assistito nei tre anni di missione terrena (negli straordinari discorsi e negli stupefacenti miracoli), ora muoia come "maledetto da Dio"? e da Lui abbandonato? (cfr. Mc.15,34)
O almeno, questo è quanto emerge da una lettura puramente umana del testo e svincolata da un contesto biblico indispensabile per la sua corretta comprensione. Infatti Gesù è stato definito un "maledetto da Dio" non certo dal Padre, ma da parte delle autorità religiose giudaiche del tempo, che avevano rifiutato il messaggio del Nazareno e Lo consideravano un bestemmiatore, mentre Egli aveva detto la Verità.
Del tutto diverso è il piano di Dio, ben presente nelle Scritture (= il contesto di cui non si può fare a meno): la sofferenza e la morte di Gesù erano "necessarie" per la salvezza dell'uomo. Lo stesso Gesù risorto lo spiega chiaramente ai due discepoli di Emmaus: Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. (Luca,24,26-7).
"Bisognava....."; fa problema questa "necessità divina" della morte del Figlio, che sembra contraddire l'onnipotenza di Dio stesso: non poteva Dio, con tutte le sue infinite capacità e possibilità, evitarla?
Per questo nei secoli passati (fino al 1970 circa) si spiegava tale "necessità" con la cosiddetta "teologia della soddisfazione": Gesù, con la sua morte in croce, avrebbe offerto a Dio, l'Infinito, e infinitamente offeso dal peccato dell'uomo, l'unica "riparazione" adeguata, in quanto realizzata dall'uomo-Dio, che partecipa appunto dell'infinito. Ma questa teoria non ha niente di biblico; infatti è nata nel Medioevo, sulla scorta di categorie giuridiche del tempo.
Fortunatamente, nel 1972, Moltmann, con "Il Dio crocefisso", avviò il superamento di tale teologia ed oggi si è recuperato il retroterra biblico del sacrificio di Gesù: anzitutto non c'è alcuna contrapposizione tra il Figlio che "paga" il fio all'ira del Padre e il Padre stesso che in Lui punisce l'intera umanità! In secondo luogo c'è piuttosto una compresenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, mirabilmente espressa nella famosa "Trinità" di Masaccio a Firenze. E' chiaro che, nell'ambito della Trinità, è solo Gesù che subisce la passione, perché è la sola Persona della Trinità che si è incarnata, è Dio e uomo ad un tempo; ma il Padre e lo Spirito sono accanto a Lui e soprattutto soffrono con Lui.
Ora non fa più scandalo parlare di "sofferenza di Dio"; Egli non è mai la controparte cui chiedere "Perché l'hai permesso? Perché l'hai voluto? Perché non l'hai evitato?", dal momento che mai Dio manda la sofferenza e il male, i quali sono piuttosto connessi con la limitatezza del nostro essere creature e spessissimo sono frutto di malvagità, peccati, scelte scellerate, o anche solo insensatezze commesse dagli uomini, di cui peraltro il Padre rispetta la libertà.
Il fatto è che, anche dopo migliaia di anni, non ci siamo ancora liberati dall'idea del Dio onnipotente, perfetto, impassibile, proprio della cultura greca, e, nonostante il "risveglio biblico" che data ormai da un secolo anche nel mondo cattolico, stenta a farsi strada una corretta conoscenza del Dio cristiano. Sia nel 1° che nel Nuovo Testamento parecchie sono le descrizioni di un Dio che si rivela Padre misericordioso, che soffre per il peccato degli uomini, che attende con ansia il loro ritorno, che ama tanto le sue creature da non esitare ad inviare il suo stesso Figlio con tutto quello che ne è seguito, fino però ad un esito positivo: la vittoria sulla morte, la resurrezione, la salvezza, la vita eterna.
Non c'era altro modo per salvare l'umanità dal peccato e dalla morte? Probabilmente no, altrimenti Dio l'avrebbe utilizzato; perché le cose siano andate così lo sapremo solo quando saremo alla Sua presenza. Ma intanto cerchiamo almeno di renderci conto, di prendere coscienza, di quale immenso dono ci ha fatto il Signore: nella croce sta la nostra salvezza, sì, ma nel senso che è l'AMORE con cui Gesù ha vissuto la Sua passione e morte che ci ha salvati. Come è sempre questo amore incredibile che Lo ha spinto a condividere in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana. Da quel momento nessun uomo è solo al mondo, e soprattutto chi soffre, fisicamente e moralmente, sa di avere dalla sua parte Dio stesso. Infatti, il nostro non è "il motore immobile dell'universo" di Aristotele, ma un Dio vicino all'uomo, addirittura vulnerabile, che non fa sfoggio della sua onnipotenza, perché la sua logica non è di potere, ma di condivisione; non trasforma le situazioni come un mago: ci passa dentro assumendole con amore e riscattandole dal male. Pensiamo anche solo a quanto sia prezioso e vivificante il Suo illimitato perdono!
S.Efrem, un dottore della Chiesa siriaca del 4° sec. d. Cr., esprime suggestivamente questo straordinario mistero della salvezza portata da Cristo: "La morte ha ucciso Gesù nel corpo, che egli aveva assunto. Ma con le stesse armi Egli trionfò sulla morte. La divinità si nascose sotto l'umanità e si avvicinò alla morte, la quale uccise e a sua volta fu uccisa. La morte uccise la vita naturale, ma venne uccisa dalla vita soprannaturale. Siccome la morte non poteva inghiottire il Verbo senza il corpo, né gli inferi accoglierlo senza la carne, Egli nacque dalla Vergine, per poter scendere mediante il corpo al regno dei morti. Ma una volta giunto colà col corpo che aveva assunto, distrusse e disperse tutte le ricchezze e tutti i tesori infernali."
Vangelo: Mc 14,1-15,47
La liturgia romana della Domenica delle Palme ha come vangelo la lettura dell'intera Passione di Cristo (dall'istituzione dell'Eucarestia alla sepoltura del corpo di Gesù) in uno dei tre sinottici, quest'anno Marco. Si tratta del testo
evangelico più lungo dell'anno liturgico, un testo particolare, come lo è la settimana introdotta dalle Palme: la Settimana Santa o la "Grande settimana". C'è il rischio di lasciar fluire le parole del lettore, quasi senza farvi attenzione (tanto le sappiamo quasi a memoria!); e invece la Chiesa ci chiede di ascoltare e meditare tutta insieme questa vicenda tragica, che non a caso inizia con l'istituzione dell'Eucarestia, nel corso della quale Gesù spiega il senso della sua morte: corpo dato e sangue sparso "per il perdono dei peccati" (specifica Matteo). Questo per evitare che si vedesse la fine di Cristo come semplicemente dovuta a un tragico destino subito ineluttabilmente.
No. Fin dagli inizi il Nazareno sapeva bene che, parlando e agendo in un certo modo (secondo la Verità), sarebbe andato incontro a ostilità e persecuzioni e il culmine era proprio la condanna a morte più infamante che allora esistesse: la morte di croce era quella del "maledetto da Dio", la pena comminata a chi era considerato gravemente pericoloso per la società, il genere di morte più doloroso in assoluto.
Ora, quello che sconcerta è proprio questo: com'è possibile che il Figlio di Dio, da Lui assistito nei tre anni di missione terrena (negli straordinari discorsi e negli stupefacenti miracoli), ora muoia come "maledetto da Dio"? e da Lui abbandonato? (cfr. Mc.15,34)
O almeno, questo è quanto emerge da una lettura puramente umana del testo e svincolata da un contesto biblico indispensabile per la sua corretta comprensione. Infatti Gesù è stato definito un "maledetto da Dio" non certo dal Padre, ma da parte delle autorità religiose giudaiche del tempo, che avevano rifiutato il messaggio del Nazareno e Lo consideravano un bestemmiatore, mentre Egli aveva detto la Verità.
Del tutto diverso è il piano di Dio, ben presente nelle Scritture (= il contesto di cui non si può fare a meno): la sofferenza e la morte di Gesù erano "necessarie" per la salvezza dell'uomo. Lo stesso Gesù risorto lo spiega chiaramente ai due discepoli di Emmaus: Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. (Luca,24,26-7).
"Bisognava....."; fa problema questa "necessità divina" della morte del Figlio, che sembra contraddire l'onnipotenza di Dio stesso: non poteva Dio, con tutte le sue infinite capacità e possibilità, evitarla?
Per questo nei secoli passati (fino al 1970 circa) si spiegava tale "necessità" con la cosiddetta "teologia della soddisfazione": Gesù, con la sua morte in croce, avrebbe offerto a Dio, l'Infinito, e infinitamente offeso dal peccato dell'uomo, l'unica "riparazione" adeguata, in quanto realizzata dall'uomo-Dio, che partecipa appunto dell'infinito. Ma questa teoria non ha niente di biblico; infatti è nata nel Medioevo, sulla scorta di categorie giuridiche del tempo.
Fortunatamente, nel 1972, Moltmann, con "Il Dio crocefisso", avviò il superamento di tale teologia ed oggi si è recuperato il retroterra biblico del sacrificio di Gesù: anzitutto non c'è alcuna contrapposizione tra il Figlio che "paga" il fio all'ira del Padre e il Padre stesso che in Lui punisce l'intera umanità! In secondo luogo c'è piuttosto una compresenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, mirabilmente espressa nella famosa "Trinità" di Masaccio a Firenze. E' chiaro che, nell'ambito della Trinità, è solo Gesù che subisce la passione, perché è la sola Persona della Trinità che si è incarnata, è Dio e uomo ad un tempo; ma il Padre e lo Spirito sono accanto a Lui e soprattutto soffrono con Lui.
Ora non fa più scandalo parlare di "sofferenza di Dio"; Egli non è mai la controparte cui chiedere "Perché l'hai permesso? Perché l'hai voluto? Perché non l'hai evitato?", dal momento che mai Dio manda la sofferenza e il male, i quali sono piuttosto connessi con la limitatezza del nostro essere creature e spessissimo sono frutto di malvagità, peccati, scelte scellerate, o anche solo insensatezze commesse dagli uomini, di cui peraltro il Padre rispetta la libertà.
Il fatto è che, anche dopo migliaia di anni, non ci siamo ancora liberati dall'idea del Dio onnipotente, perfetto, impassibile, proprio della cultura greca, e, nonostante il "risveglio biblico" che data ormai da un secolo anche nel mondo cattolico, stenta a farsi strada una corretta conoscenza del Dio cristiano. Sia nel 1° che nel Nuovo Testamento parecchie sono le descrizioni di un Dio che si rivela Padre misericordioso, che soffre per il peccato degli uomini, che attende con ansia il loro ritorno, che ama tanto le sue creature da non esitare ad inviare il suo stesso Figlio con tutto quello che ne è seguito, fino però ad un esito positivo: la vittoria sulla morte, la resurrezione, la salvezza, la vita eterna.
Non c'era altro modo per salvare l'umanità dal peccato e dalla morte? Probabilmente no, altrimenti Dio l'avrebbe utilizzato; perché le cose siano andate così lo sapremo solo quando saremo alla Sua presenza. Ma intanto cerchiamo almeno di renderci conto, di prendere coscienza, di quale immenso dono ci ha fatto il Signore: nella croce sta la nostra salvezza, sì, ma nel senso che è l'AMORE con cui Gesù ha vissuto la Sua passione e morte che ci ha salvati. Come è sempre questo amore incredibile che Lo ha spinto a condividere in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana. Da quel momento nessun uomo è solo al mondo, e soprattutto chi soffre, fisicamente e moralmente, sa di avere dalla sua parte Dio stesso. Infatti, il nostro non è "il motore immobile dell'universo" di Aristotele, ma un Dio vicino all'uomo, addirittura vulnerabile, che non fa sfoggio della sua onnipotenza, perché la sua logica non è di potere, ma di condivisione; non trasforma le situazioni come un mago: ci passa dentro assumendole con amore e riscattandole dal male. Pensiamo anche solo a quanto sia prezioso e vivificante il Suo illimitato perdono!
S.Efrem, un dottore della Chiesa siriaca del 4° sec. d. Cr., esprime suggestivamente questo straordinario mistero della salvezza portata da Cristo: "La morte ha ucciso Gesù nel corpo, che egli aveva assunto. Ma con le stesse armi Egli trionfò sulla morte. La divinità si nascose sotto l'umanità e si avvicinò alla morte, la quale uccise e a sua volta fu uccisa. La morte uccise la vita naturale, ma venne uccisa dalla vita soprannaturale. Siccome la morte non poteva inghiottire il Verbo senza il corpo, né gli inferi accoglierlo senza la carne, Egli nacque dalla Vergine, per poter scendere mediante il corpo al regno dei morti. Ma una volta giunto colà col corpo che aveva assunto, distrusse e disperse tutte le ricchezze e tutti i tesori infernali."
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