D. Severino GALLO sdb"LA VITE E IL VIGNAIOLO" 5a Domenica di Pasqua

3 maggio 2015 | 5a Domenica di Pasqua - Anno B | Omelia
Vangelo: "Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto" (Gv. 15,1-8)
Il Vangelo d'oggi ci parla della vite e del vignaiolo. La "vite" è l'albero che è dato vedere più frequentemente in Palestina, per questo l'immagine non poteva essere più felice ed efficace sulle labbra di Gesù.

L'immagine del vignaiolo è pure biblica, ma i particolari con cui Gesù l'ha arricchita sono terrificanti. Il padre, più che un custode attento, è un potatore implacabile. Egli non lascia in pace la sua piantagione: taglia, pota in modo da conservare la vite in stato di costante fruttuosità.

Da esperto agricoltore il Signore taglia i rami secchi e infruttuosi per non ritardare la crescita della pianta; fuori metafora , per non ostacolare la vita dei buoni. Le persone che non contribuiscono alla crescita comune, sono rami parassitari, che debbono essere eliminati!

La Beata Osanna da Mantova, mentre passava presso la riva del Po, udì una voce che sembrava chiamarla dall'acqua scorrente. Si fermò: ebbe allora una prima comunicazione interiore da parte di Dio e distinse queste parole: "Ricordati che quaggiù tutto consiste solo nell'amarsi, poiché ogni cosa passa, come quest'acqua che scompare lontano".

Sono parole di un'importanza fondamentale anche per la nostra vita! Tutto consiste solo nell'amare Dio. Per questo Gesù oggi ci ammonisce, affinché Lo ricerchiamo, Lo vediamo e riconosciamo ovunque. Soprattutto dobbiamo cercare di stare uniti a Lui come il tralcio alla vite, nonostante tutto e per sempre. "Per un poco non mi vedrete… e poi mi vedrete di nuovo".
Ecco l'oscillare dei due momenti del cristianesimo; quando non si vede Gesù, c'è dolore; quando Lo si rivede, c'è gioia.

Si badi bene: anche se Egli si nasconde, noi dobbiamo cercarlo, attenderlo, sperarlo, e in tale fiducia non si spegne mai la tranquilla letizia dei cuori, uniti al Signore.

"Se uno rimane in me e io in lui, porta molto frutto… Se uno non rimane in me, viene buttato via e dissecca".

Sono tutte alternative all'unione interiore di grazia, fra il tralcio e la vite.

Inevitabile il pendolo

Gesù disponeva così i suoi discepoli al distacco della prossima Ascensione ed al suo ritorno nel Giudizio finale; contemporaneamente li predisponeva alle alterne vicende dell'umanità, tra entusiasmo e abbattimento, tra santità e malvagità.
Il fattore tempo riveste, in queste alternative, una parte principale, vivendo ognuno all'insegna dell'incertezza circa il domani. Eppure soltanto nel tempo possiamo meritare qualcosa!

Non possiamo rimandare a domani proprio nulla, perché non siamo mai padroni del tempo. Il poeta indiano Rabindranath Tagore scrive:

"Non è in tuo potere far schiudere il bocciòlo. Scuotilo pure, forzalo, tu non riuscirai ad aprirlo. Le tue mani lo distruggono, ne laceri i petali e li butti nella polvere. Ma non è in tuo potere farlo fiorire".

Così è nel piano soprannaturale.
E così ci troviamo impotenti a sfuggire alle leggi del tempo: dobbiamo imparare ad attendere e pazientare, a continuare lo sforzo, a risollevarci ogni giorno, dopo ogni caduta ed ogni abbandono.

Le cose temporali sono pur ricche di possibilità eterne. Vedete? Quaggiù non siamo mai sicuri di noi, oscillanti sempre fra bene e male, perché tempo e occasioni di peccato risultano strettamente uniti come vento e tempesta, come luce e tenebre, fiamme ed incendi.

Ogni giorno S. Filippo Neri soleva protestare a Dio con il Santissimo Sacramento in mano:

"Signore, non fidarti di me oggi, perché sono capace di tradirti e di rivolgere contro di te la mia malizia". Altre volte diceva: "La ferita del costato di Gesù è grande, ma se Dio non mi protegge, io la renderei ancora più profonda".

E nella sua ultima malattia: "Signore, se guarisco, per quel che dipende da me, sono capace di far del male più che mai, perché anche nel passato altre volte ti avevo promesso di cambiare vita e poi non ho mantenuto la parola…" (Cfr. Lo spirito del Cardinale Newman, Brescia, 191, p. 156).

Le ali del passerotto

Nelle oscillazioni del tempo le luci e le tenebre si susseguono. Gesù purifica e perfeziona le anime, lasciandole talvolta nella solitudine, senza più alcun conforto, permettendo gravi tentazioni. Eppure anche in quei momenti dobbiamo stare uniti a Lui "se vogliamo portare molto frutto".
Quasi tutti i Santi hanno dovuto sperimentare un periodo in cui Gesù si è allontanato da loro per provarli. Come Egli stesso provò le angosce del Getsemani, così anche le anime più amate vengono provate con la "notte dei sensi", cioè una serie di aridità, di freddezza, di oscurità sensibili.

E' uno stato d'animo penosissimo, che numerose persone provano per lunghi mesi, a volte per anni. Tutto il fervore scompare, manca ogni dolcezza nelle pratiche di pietà, si piomba nella convinzione di essere abbandonati da Dio e si è tentati da dubbi atroci, perplessità e perfino da nausea per la vita spirituale. Eppure bisogna perseverare nel bene anche in quelle situazioni. Bisogna stare come tralci uniti alla vite.

Il Card. Bona afferma che

San Francesco d'Assisi rimase per 40 anni in tale aridità.
S. Teresa d'Avila ne passò diciotto.
Santa Chiara da Montefalco quindici:
S. Maria Maddalena de' Pazzi prima ne soffrì per cinque anni e dopo un certo periodo fu di nuovo provata per sedici anni.

Sono notissime le aridità di S. Giovanni della Croce, di S. Teresa del Bambino Gesù e del Beato Enrico Susone. Non meno compassionevoli furono le "notti dello spirito" di S. Veronica Giuliani, di S. Caterina da Genova, di S. Paolo della Croce e di cento altri (Cfr. A. ROJO MARIN, Teologia de la Perfecciòn Cristiana, Madrid 1954, pp. 400-414).

Anche senza essere all'altezza di tali illustri personaggi, spesso noi sperimentiamo qualcosa di simile quando - come dice Bazin - "Dio ci tratta a guisa di pastore geloso, il cui cane, il dolore, ha il dente duro, ma per ordine del padrone…".

Tuttavia le croci di ogni giorno, come dice S. Agostino: "Sono pesi leggeri, che sollevano chi li porta e lo aiutano a sopportare pesi maggiori; come nel passero le ali sono un peso: però provate a tagliarle; il passero cade e precipita a terra, mentre con esse s'impadronisce dello spazio" ( S. AGOSTINO).

Insomma i Santi pativano atrocemente, eppure non desistevano dal loro piano di perfezione: stavano uniti a Gesù crocifisso. Anzi giungevano a desiderare tanti tormenti spirituali, convinti che ciò fosse meglio per loro.

Il grande apostolo Edoardo Poppe codificò quest'ardore per la sofferenza dicendo:

"Operare è bene, pregare è meglio; ma la miglior cosa è soffrire".
Tutto sta nel rimanere uniti a Gesù come tralci alla vita; anch'Egli ha sofferto, ma ora non soffre più.
Infatti la prova e la sofferenza sono nel tempo che passa. Ma valgono per l'eternità, che rimane per sempre.

Ci aiuti la Madonna a stare uniti a Gesù nella gioia e nel dolore, a Betlemme e ai piedi della Croce, come Lei; per essere con Lei uniti a Gesù nella gloria senza fine.

                                                                        D. Severino GALLO sdb

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