dom Luigi Gioia " Il buon pastore dà la propria vita per le pecore"

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (26/04/2015)
Vangelo: Gv 10,11-18 
Questo passaggio dalla prima lettera di san Giovanni apostolo ci parla di conoscenza: Il mondo non ci conosce, perché non ha conosciuto lui.
Cosa vuol dire che il mondo non ci conosce? La nostra società, l'insieme di tutta quella parte del nostro mondo che non è cristiana, riconosce il cristianesimo perché sociologicamente i cristiani hanno una organizzazione, hanno una visibilità pubblica e possono anche essere contati. Però quello che il
mondo conosce dei cristiani è solo questa realtà sociologica, o economica, o istituzionale. Il mondo cioè conosce solo qualcosa di esteriore, imperfetto, spesso anche corrotto - ed è naturale che sotto questo punto di vista il "mondo", cioè la nostra società, giudichi a volte il cristianesimo con severità.
Quando però Giovanni dice che il mondo non ci conosce, si riferisce alla vera realtà dell'essere cristiani, che è qualcosa di invisibile.
Si dice spesso che il male si vede, che il male fa rumore, invece il bene non si vede. E potremmo fare una lista molto lunga di tutti i beni che non si vedono nel cristianesimo: l'amore di Dio non si vede, come non si vedono il cambiamento del cuore, il perdono, la conversione, la preghiera. E' il Vangelo stesso a dire che la preghiera cristiana si svolge nel segreto, vale a dire dove nessuno se non il Padre può esserne testimone. Tutti questi elementi si trovano tutti nel cuore di ogni uomo. Essi assumono certamente delle forme esteriori, in una maniera o nell'altra si lasciano intravedere, ma la loro realtà profonda non è conosciuta, non è visibile.
Il mondo dunque -dice Giovanni- non ci conosce, perché non ha conosciuto Dio.
Ma potremmo leggermente ampliare questa prospettiva e chiederci cosa ne è rispetto a noi stessi. Di noi stessi dobbiamo infatti chiederci: ci conosciamo davvero? Come guardiamo a noi stessi? Guardiamo a noi stessi come il mondo ci guarda, oppure guardiamo a noi stessi come Dio ci guarda?
Si tratta di una sfida capitale per la vita spirituale. Lo sguardo che portiamo su noi stessi è uno degli aspetti più fondamentali della maturazione non soltanto spirituale, ma già umana e affettiva della persona. Conosciamo veramente noi stessi?
Da un punto di vista umano possiamo cominciare col chiederci: conosciamo veramente le nostre capacità, i nostri doni, ciò di cui siamo capaci? La maggior parte del tempo siamo in preda all'insicurezza, alla sfiducia in noi stessi. Quanto spesso siamo tentati di sottovalutarci o di ritenerci inutili. Spesso cerchiamo di farci valere in un campo, mentre i nostri veri doni, le nostre vere capacità ci farebbero riuscire molto meglio in un altro campo. Da soli non siamo capaci di renderci conto del nostro errore di prospettiva, non sappiamo apprezzare i doni e le predisposizioni che abbiamo. Per conoscere noi stessi abbiamo bisogno degli altri. I nostri doni sono generalmente scoperti e messi in valore dalla società, dal gruppo al quale apparteniamo, almeno se è un gruppo nel quale regna non la competitività, ma realmente il rispetto e l'amore reciproco. Ognuna delle nostre comunità cristiane, a partire dalla famiglia, dovrebbe essere caratterizzata da questo sguardo sulle persone, dalla costante ricerca della valorizzazione di ciascuno.
Il secondo livello di conoscenza di sé stessi è quello della consapevolezza del proprio peccato. E' un livello non semplicemente psicologico, affettivo o umano, ma spirituale. Si produce a livello spirituale perché possiamo conoscere il nostro peccato solo alla luce della misericordia di Dio. Infatti, solo quando il peccato è perdonato da Dio prendiamo coscienza della sua vera portata e della sua gravità. Lasciati a noi stessi, siamo sempre tentati di ritenerci giusti, di giustificarci. Possiamo a volte accettare di aver sbagliato, o anche affermare genericamente che "siamo peccatori"; ma poi, nel concreto, siamo prigionieri dell'irrefrenabile istinto di considerarci superiori, migliori, o comunque dalla parte del giusto nei confronti degli altri. Se veramente vedessimo il nostro peccato, se veramente accettassimo quanto anche noi facciamo del male, quanto anche noi agiamo in modo negativo nei confronti degli altri, forse sarebbe più facile per noi perdonare.
Quindi ci sono due livelli di conoscenza di noi stessi: uno umano e uno spirituale - ed ad entrambi questi livelli non ci conosciamo o ci conosciamo soltanto superficialmente.
Ma vi è ancora un terzo livello di conoscenza di sé - ed è quello di fronte al quale vuole metterci la prima lettera di san Giovanni apostolo. Possiamo dire che è il livello del nostro valore. Qual è il nostro vero valore? In cosa consiste? La risposta di Giovanni è che siamo preziosi, siamo amati, siamo desiderati, siamo voluti.
Carissimi, vedete quale grande amore. Vedete! E' qualcosa che non bisogna soltanto sapere da un punto di vista teorico, ma è qualcosa che si constata, che si sperimenta, che si vede.
Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre. Il Padre! Dice Paolo: Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha predestinati fin dalla fondazione del mondo ad essere suoi figli per mezzo di Gesù Cristo. Ancora prima non solo della nostra nascita; ancora prima non solo dell'apparire dell'uomo sulla terra; ancora prima non solo della creazione o dell'apparire del pianeta terra - ma miliardi e miliardi di anni fa, ancora prima dell'apparire del nostro universo così come lo conosciamo, ebbene prima di tutto questo già eravamo desiderati, amati, voluti dal Padre. Già allora il Padre aveva questo disegno, che non è un disegno collettivo, globale, ma è un disegno che riguarda ciascuno di noi, ciascuno di noi conosciuto da Dio, conosciuto dal Padre, per nome.
Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre, per essere chiamati figli di Dio. E lo siamo realmente. Se meditassimo maggiormente questa verità: siamo figli di Dio. Dio si è fatto uomo - il Figlio si è fatto uomo - per diventare nostro fratello, per diventare nostro cibo, per unirci a lui, in modo tale che nel figlio, in lui, potessimo chiamare il Padre Abbà. E perché questa non fosse soltanto una realtà esteriore, ma una realtà interiore, abbiamo ricevuto lo stesso Spirito che c'è nel cuore del Padre e nel cuore del Figlio, perché nel nostro stesso cuore questo Spirito gridi: Abbà, Padre! Siamo chiamati Figli di Dio, e lo siamo realmente. Per questo allora Giovanni aggiunge: Il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto il Padre. Solo conoscendo il disegno del Padre sull'umanità esu ciascuno di noi, conosciamo la nostra realtà di figli.
In questa luce allora siamo invitati a guardare a noi stessi, a conoscere noi stessi. Abbiamo bisogno di imparare a valutare noi stessi non in funzione della nostra posizione nella società, non prima di tutto sulla base dalle nostre capacità, o del nostro lavoro, o delle nostre attività. Certo, tutte queste cose sono fondamentali per la costituzione della nostra identità e non bisogna sottovalutarne l'importanza. Per sapere chi siamo abbiamo bisogno di essere riconosciuti dagli altri nel nostro lavoro e nella società. Ma pur non sottovalutando questo aspetto della nostra identità, dobbiamo preservare un minimo di distanza rispetto ad esso, perché esso è provvisorio, può sempre venir meno. Se tutto il senso del nostro valore dipende da questo aspetto esteriore, quello che conosce il mondo, se e quando esso viene meno, tutto crolla e la nostra vita non ha più senso.
Per questo dobbiamo diventare consapevoli che il nostro vero valore si trova ad un livello più profondo. La nostra vera identità consiste nell'essere figli di Dio. Accediamo a questa vera identità solo se conosciamo il Padre ed essa è una realtà che continuamente si espande, cresce.
Se è vero infatti che, come dice Giovanni, fin da ora siamo figli di Dio, questo non è tutto, vi è ancora qualcosa di più, qualcosa che siamo destinati ad essere. La filiazione divina è destinata a crescere in noi; ci sono aspetti della nostra identità che ancora devono svelarsi a noi. C'è un qualcosa che siamo destinati ad essere e che non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Forse questa è una delle promesse più consolanti del nuovo testamento: noi saremo simili a lui, a Gesù, a Dio.
Quando guardiamo Gesù nel vangelo, quando guardiamo il suo amore, la sua mitezza, la sua capacità di perdono, la sua saggezza, abbiamo la tentazione di pensare che mai potremo essere come lui. Ebbene, invece, a causa dello Spirito che abbiamo ricevuto, siamo anche noi depositari di questa promessa: Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Più vediamo Gesù, più lo conosciamo, più diventiamo simili a lui e questa conoscenza è chiamata a crescere, fino a che un giorno lo vedremo faccia a faccia, saremo trasfigurati pienamente in lui, saremo simili a lui.
Impariamo dunque a conoscerci nella verità. Impariamo a conoscerci come il Padre ci conosce. E in questa conoscenza, nella consapevolezza di questo amore che ci fa figli, cerchiamo la vera pace.

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