Don Giorgio Scatto Monastero Marango"Prendere in mano le pietre scartate e riconoscervi un fratello da amare "

IV DOMENICA di PASQUA (anno B) Letture: At 4,8-12; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18
1)Uomini come pietre, gettati senza pietà, come per un gioco violento e assurdo, in fondo al mare. Pietre di scarto, perché si vuol colpire, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive: in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì
si sta fuori (cfr EG 53). Pietre di scarto. C’è un mondo che non riconosce più i suoi figli, perché ha ucciso il Padre.
Si moltiplicano i mercenari, i trafficanti, gli assassini, perché non interessa più a nessuno la vita dell’uomo, ma solo comprare e vendere, al miglior prezzo. Terminato il ‘secolo breve’ che ha visto la devastazione di ben due guerre mondiali, sembra di essere sprofondati di nuovo entro una storia negativa e oscura, nella quale si sta perdendo velocemente la memoria di altri tempi. Dopo stagioni di violenza e di distruzione, c’era la voglia di ripartire e nelle case della gente comune l’uscio di casa rimaneva aperto giorno e notte e si preparava un posto in più a tavola per il povero che poteva sempre capitare. Dopo l’esperienza terribile dell’odio, della negazione del diritto alla diversità dell’altro, dopo l’euforia devastante delle ideologie totalizzanti, le nazioni avevano tentato di percorrere nuovamente insieme vie di pace e di dialogo, sul fondamento del diritto e della giustizia, desiderando lasciarsi alle spalle, per sempre, i giorni del terrore, dell’inimicizia, e della volontà fratricida.
Ora quella stagione sembra perduta.
Migliaia di persone, che fuggono dalla violenza e dalla guerra, vengono buttate a mare, sepolte in una tragica tomba d’acqua; e anche la loro memoria, dopo un superficiale cordoglio, viene presto dissacrata in una colpevole indifferenza. Mercanti di morte, trafficanti di carne umana, gelidi custodi dei templi del denaro e del profitto, uomini che hanno venduto la loro coscienza insieme a immondi scambi di merce di ogni tipo affollano la scena, recitando un copione sempre uguale. Qualcuno aveva scritto: “La notte della ragione genera mostri”.

In tanta devastazione della coscienza qualcuno, tuttavia, non ha cessato mai di prendere in mano la pietre scartate, di riconoscere nell’altro un fratello da amare, figlio di un Dio comune, di scorgere pastori che con fedeltà e amore, custodiscono il gregge e lo conducono in luoghi sicuri.
Qualcuno ci ha aperto gli occhi e ci ha fatto vedere come in tanti luoghi della terra con le ‘pietre scartate’ si organizza la resistenza al sistema di iniquità e di ingiustizia, si costruiscono torri di speranza, si edificano le case e le città dell’uomo, si gettano le fondamenta per tempi e giorni decisamente migliori di questi.
Qualcuno ci ha aperto gli occhi e abbiamo potuto scoprire con stupore che ancora il fratello dà la mano al fratello, che l’amicizia solidale accorcia le distanze ritenute prima incolmabili. Abbiamo potuto costatare più volte che la famiglia umana, nella diversità delle esperienze e delle situazioni, è ancora capace della ‘rivoluzione della tenerezza’, e che il fuoco dell’amore incendia ancora i cuori. Non raramente abbiamo incontrato sulla nostra strada la testimonianza di fratelli e sorelle capaci di portare responsabilità non indifferenti, di aprire nuove vie di speranza, di portare sulle loro spalle gli umiliati e gli affaticati, gli sconfitti da questa società dell’indifferenza e dell’inganno.
Qualcuno ci h aperto gli occhi e ancora abbiamo visto guide prudenti e sagge che, come pastori del gregge, non solo ci hanno indicato l’orizzonte verso cui andare, ma che hanno anche donato la loro vita, perché l’umanità non dovesse perire.

Per chi ha fede – parlo di una fede radicata nell’ascolto della Parola – tutto questo trova una conferma, un fondamento e una prospettiva, nella esperienza di Gesù di Nazareth. Un potere cieco e sordo l’ha condannato a morte, e gli uomini l’hanno crocefisso. Ma Dio l’ha resuscitato dai morti. La pietra, rigettata da coloro che avevano il compito di edificare la santa assemblea del popolo di Dio, Lui l’ha posta a fondamento del suo vero tempio, edificato con pietre viventi. L’uomo Gesù, nel quale è stabilito che noi siamo salvati, mediante il dono del suo Spirito, ci ha costituiti figli di Dio, e ha reso possibile l’esperienza di una nuova e dilatata fraternità. Siamo figli, ma anche lo diventeremo, nella misura in cui riconosceremo il fratello. Siamo figli, ma anche diventeremo pienamente somiglianti al Figlio di Dio, se ascolteremo la sua parola. Siamo figli, ma giungeremo a vedere Dio, così come egli è, con lo stesso sguardo innamorato e divino di Gesù, se non verrà mai meno l’amore.

Il vangelo ci permette di soffermarci  ancora un istante sulla figura di Gesù. Egli si propone come ‘il pastore buono’. Possiamo anche leggere: bello. Sono almeno tre i motivi addotti da Gesù per proporsi come pastore del gregge. Altre persone si sono proposte come guide autorevoli, ma si sono rivelate ladri e briganti. Tutt’al più mercenari, ai quali interessa solo lucrare sul gregge, il che non è meglio.
Gesù è pastore buono  perché ‘depone’ la sua vita per le pecore. Dà la sua vita perché ama. Fino alla fine. L’amore non lo porta soltanto a percorrere le strade polverose della Galilea, a sostare nei luoghi della tribolazione e della sofferenza, a cercare chiunque si sentisse perduto, ma lo conduce a perdere lui stesso la vita. Gesù è consapevole che quanto rende bella la vita non è solo averla, ma donarla. Con larghezza di cuore. Con assoluta libertà. Al mercenario non è chiesto di morire per il suo lavoro, per il compito che gli è affidato. Gesù può chiamarsi pastore perché ha ‘l’odore delle pecore’ e le ama fino a morire.
Gesù è pastore buono perché egli conosce profondamente il suo gregge: “egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. Cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce”. Conoscere, ancora una volta, significa amare intensamente. Essere conosciuti significa essere personalmente amati.
Gesù è il pastore bello perché ha il coraggio di amare anche quelli che non gli appartengono. Il suo amore abbatte muri di separazione e montagne di odio e di indifferenza. Per il pastore nessuno è mai così lontano da essere irraggiungibile. Alla fine, ascoltandolo, saremo tutti un solo gregge, nella ricchezza multiforme dei doni e delle risorse messe al servizio del bene di tutti. E saremo tutti un solo pastore quando, nell’unico gregge, saremo capaci di ‘deporre’ la vita come il pastore grande delle nostre anime. Lui è il pastore che si è fatto agnello. Noi, talvolta, agnelli che diventiamo lupi.

Giorgio Scatto

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