CIPRIANI SETTIMO SDB "Dette queste cose, fu elevato in alto sotto i loro occhi"

17 maggio 2015 | 7a Domenica: Ascensione - Anno B | Appunti per la Lectio
In fin dei conti, la festa di oggi dovrebbe essere più espressione di tristezza che di gioia: è Gesù che si allontana definitivamente dai suoi, fino a che non gli piacerà di "ritornare" per l'incontro ultimo con gli uomini.
E sembra che in questo senso abbiano percepito il fatto i suoi apostoli, i quali rimangono non solo interdetti, ma anche rattristati quando lo vedono svanire davanti ai loro occhi, se è vero che due esseri angelici "in bianche vesti"
dovettero rassicurarli dicendo loro: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo" (At 1,11).
Solo il preannuncio del suo "ritorno" poteva compensare l'amarezza e il senso di vuoto che provarono in quel momento gli apostoli.

"Cantate inni al nostro re, cantate inni"
Come va allora che la Liturgia odierna è tutta piena di giubilo, quasi più che la stessa festa di Pasqua?
Basti leggere il salmo responsoriale, che descrive l'ascesa trionfale di Jahvè al tempio in mezzo alle acclamazioni rituali e che qui viene applicato a Cristo che sale al cielo: "Applaudite, popoli tutti, / acclamate Dio con voci di gioia; / perché terribile è il Signore, l'Altissimo, / re grande su tutta la terra... / Cantate inni a Dio, cantate inni; / cantate inni al nostro re, cantate inni" (Sal 46,2-3.7).
Il salmo responsoriale stesso dà in parte risposta al nostro interrogativo: se l'Ascensione è un distacco, è però anche l'ingresso di Cristo nella gloria, la sua "intronizzazione" come "re" universale presso il Padre. È giusto perciò che la Chiesa gioisca oggi di questo grande evento, che non è solo commemorazione di un fatto passato, ma contemplazione di ciò che Cristo è nella sua realtà attuale: il Cristo, "asceso" nella gloria, è il Cristo che è presente in mezzo a noi e che opera nella storia. Non una "presenza" allontanata, dunque, ma una presenza "ravvicinata"!

"Con il Cristo siamo penetrati nell'altezza dei cieli"
Oltre a questo, però, c'è un altro motivo di gioia che fa sussultare di commozione il cuore della Chiesa: ed è il fatto che, con Cristo, è ascesa nella gloria quella "umanità" che egli ha preso in prestito da noi.
È quanto esprimeva mirabilmente già a suo tempo san Leone Magno: "L'Ascensione di Cristo significa anche elevazione per noi, e là dove è giunta in anticipo la gloria del capo, è come un invito alla speranza per il corpo: per questo dobbiamo giustamente esultare, e piamente ringraziando rallegrarci. Oggi non solo abbiamo ricevuto la conferma di possedere il paradiso, ma siamo penetrati con il Cristo nell'altezza dei cieli".
È quanto troviamo mirabilmente espresso anche nella colletta: "Esulti di santa gioia la tua Chiesa, Signore, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché in Cristo asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere il nostro capo nella gloria". Pensiero analogo troviamo nella preghiera dopo la comunione.
Più mirabile ancora è il prefazio: "Il Signore Gesù, re della gloria, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al di sopra dei cieli tra il coro festoso degli angeli. Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell'universo, non ci ha abbandonati nella povertà della nostra condizione umana, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria".
Salendo al cielo Cristo non solo non ci ha abbandonati, ma addirittura ci ha indicato la "strada" per raggiungerlo nella gloria. Una festa di gioia e di grande attesa, dunque, quella che celebriamo oggi, più che di rimpianto e di rammarico. Proprio come egli aveva detto ai suoi apostoli: "È bene per voi che io me ne vada" (Gv 16,7).

"Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi"
Le letture bibliche ci aiutano a penetrare meglio il mistero dell'Ascensione nella molteplicità e nell'intreccio di questi diversi motivi.
Ad esempio, la prima lettura, ripresa dalla introduzione del libro degli Atti e che sembra sottolineare più un senso di velata nostalgia che di festa, in realtà è anch'essa aperta al futuro della speranza, in quanto preannuncia la venuta dello Spirito, che darà agli apostoli la forza di "testimoniare" davanti al mondo la sovrana "signoria" di Cristo.
"Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre, "quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni... Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra"" (At 1,4-5.7-8).
È interessante questo esplicito riferimento allo Spirito Santo, come "dono" del Cristo vittorioso, che prende finalmente possesso della sua gloria.
Molti studiosi hanno definito il libro degli Atti come il "Vangelo dello Spirito", perché di fatti lo Spirito ne è il protagonista, e non solo nell'evento di Pentecoste che viene descritto subito dopo (cap. 2), ma anche in tutta la storia successiva. La Pentecoste è il "contrassegno" della Chiesa, in quanto essa deve vivere continuamente sotto il fuoco dello Spirito.
Non si deve però dimenticare che è precisamente Cristo asceso al cielo che ci manda lo Spirito. Vorrei dire che l'Ascensione "spiritualizza" lo stesso Cristo e ci permette di comunicare con lui più direttamente e intensamente: non c'è più fra noi e lui la "distanzialità" che la materia pone fra gli esseri, ma la capacità di "interiorizzarlo" in forza della "spiritualizzazione" che è avvenuta in lui e, in parte, avviene anche in noi.
Anche il simbolismo della "nube", che lo avvolge, si muove in questo senso: "Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo" (v. 9). La "nube", infatti, è una caratteristica delle teofanie bibliche. Cristo si muove ormai nel mondo del divino, dove l'esperienza umana non può penetrare: solo il suo Spirito può farci da intermediario.

"Ascendendo in cielo... ha distribuito doni agli uomini"
La seconda lettura, ripresa dalla lettera agli Efesini, contiene una accorata esortazione all'"unità" della comunità, per mezzo dell'amore. E questo proprio sul modello della Trinità Santissima che, pur distinta nelle persone e nelle relative operazioni salvifiche, è "una" per la comune natura divina: "Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ef 4,4-6).
È evidente il rimando "trinitario" nei versetti appena citati, proprio per esortare quei cristiani all'unità di fede e di reciproco amore: si incomincia dallo "Spirito", che è già operante nella comunità, si passa per il "Signore" Gesù; si arriva finalmente al "Dio Padre di tutti", fonte e origine di tutto.
L'"unità", che deve fare di tutti i cristiani un "corpo solo" (v. 4), non esclude però la "molteplicità" dei doni e dei ministeri in seno alla Chiesa, che ha bisogno di tutti i suoi figli per realizzarsi e "costruirsi" come autentico "corpo di Cristo" (v. 12). Anzi, questa molteplicità di "doni" è proprio il Cristo risorto e "asceso" al cielo (vv. 7-10) che la distribuisce alla Chiesa quasi come segno del suo trionfo definitivo, adesso che si asside di nuovo "alla destra del Padre" con la sua propria umanità che lo ha accomunato a ciascuno di noi.
È quanto si dice a conclusione di questo densissimo brano paolino: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (4,11-14).
Con l'Ascensione Cristo non si distacca dunque dalla sua Chiesa; anzi le diventa più intimo e può disporre per lei di tutte le sue ricchezze di amore e di grazia e della sua "signoria" universale.
"Signoria" che si realizza proprio attraverso quei "doni" che qui vengono elencati e che di fatto tendono ad espandere la "conoscenza" di Gesù come "Figlio di Dio" ("apostoli", ecc.). La "piena maturità di Cristo" (v. 13) di cui qui si parla, infatti, non è solo la crescita di ognuno di noi, nella penetrazione del suo mistero, ma è soprattutto la sempre più dilatata "edificazione del suo corpo" (v. 12), che si otterrà attraverso la più ampia "conoscenza" di Cristo ad opera di coloro che hanno il particolare compito di "annunciarlo" al mondo, quali sono appunto "gli apostoli, i profeti, gli evangelisti, i pastori, i maestri", sopra ricordati (v. 11).
In fin dei conti, è la tensione "missionaria" della Chiesa che è chiamata in causa dall'Ascensione del Signore nostro Gesù Cristo.

"Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura"
È quello che emerge anche più chiaramente dalla finale del Vangelo di Marco, che sembra essere un'aggiunta posteriore (16,9-20), di altro autore; questo, comunque, non ha alcuna rilevanza per quanto riguarda la canonicità del brano. Vi si descrive l'ultima apparizione del Risorto agli apostoli, tutta concentrata nel "mandato" missionario: l'Ascensione vi fa solo da sfondo ed appare come l'elemento che lo giustifica, lo stimola e addirittura lo rende efficace. Sembra strano, ma non lo è: proprio il Cristo, che si allontana dai suoi, rende più efficace la loro azione missionaria!
"Alla fine, Gesù apparve agli undici... e disse loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno". Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano" (Mc 16,15-20).
Pur avendo notevoli punti di contatto con l'analoga finale di Matteo (28,16-20), il testo di Marco è più ricco, e anche più significativo.
Ad esempio, è del tutto singolare il riferimento a certi fatti carismatici (cacciare demoni, ecc.) come "segni" della "fede", che appare qui come una forza che sconvolge l'ordine stesso delle cose: indubbiamente s'intende dire che con l'accettazione del Vangelo interviene qualcosa di totalmente "nuovo", che non solo cambia i cuori degli uomini, ma introduce rapporti nuovi nella compagine stessa della creazione. È la "signoria", di cui Cristo ha preso possesso, che già si manifesta nella nostra storia!
A condizione però che il Vangelo sia davvero predicato "ad ogni creatura" (v. 15). Di qui la responsabilità della Chiesa, che in questo suo servizio diventa quasi arbitra della salvezza degli uomini. Davanti al suo annunzio, infatti, e in conseguenza del suo annunzio, avviene come un "giudizio" di vita o di morte: "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato" (v. 16).
È il rimando al dovere della "testimonianza", sia della dottrina sia della vita, che ci ricordava all'inizio il libro degli Atti: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8).

"Il Signore operava insieme con loro"
Particolarmente significativo, poi, l'ultimo versetto che afferma sia l'obbedienza degli apostoli al mandato di Cristo, sia la sua fedeltà alla promessa di assisterli sempre con la forza della sua grazia: "Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano" (v. 20). I "segni", di cui egli aveva prima parlato, si verificano puntualmente come espressione dell'assoluta "sovranità" del Cristo risorto e asceso al cielo, che qui viene presentato appunto come il "Signore" (K´yrios).
"Quest'aggiunta è molto importante, non solo perché ci permette di gettare uno sguardo in un momento della storia della comunità nel quale si attribuiva un grande valore ai miracoli e ai doni carismatici, ma soprattutto perché si afferma che il vero scopo della risurrezione di Gesù consiste nella proclamazione del Vangelo in tutto il mondo. E questo avviene proprio ad opera dei discepoli riassunti in servizio dal Risorto: lui solo può superare la loro incredulità. In questo si manifestano la potenza, la signoria e la vittoria del Risorto".
La festa dell'Ascensione, perciò, non è solo la festa della "signoria" di Cristo, ma anche di quella della Chiesa, che "vince" soprattutto con l'annunzio del Vangelo, che di fatto è un "portare in trionfo" Cristo per il mondo.

           CIPRIANI SETTIMO

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