don Marco Pozza "La tartaruga, la gallina e il catechismo."

Ascensione del Signore (Anno B) (17/05/2015)
Vangelo: Mc 16,15-20 
Adesso ci rido sopra, ma temo - anche se la memoria non mi viene in aiuto - che nemmeno quella volta mi sia parsa convincente la risposta della mia catechista. Quel giorno si era messa in testa di parlare dell'Ascensione al Cielo di Gesù - una delle solennità che, in seguito, imparai ad amare al pari di nessun'altra - e lo fece a modo suo, con quel sentimentalismo
tipico di chi, forse, scambia volentieri il Vangelo come una delle tante storie romantiche. Ricordo solo qualche traccia di quella che, a posteriori, si rivelò una vera e propria commedia d'arte, vorrei quasi dire una farsa: "Sapete, bambini, dopo aver fatto tanta fatica, Gesù aveva il diritto di andarsi a riposare un po' in Paradiso assieme a suo Papà Dio. E poi lo sapete, vero, che anche noi, al termine del nostro soggiorno in questa valle di lacrime..." Bastava solo che, in calce, ci facesse recitare il L'eterno riposo e il funerale era recitato in maniera impeccabile. Ovviamente con qualche caramella inframmezzo per festeggiare l'ennesimo anno di catechismo che, a maggio, andava concludendosi.
Hai capito, te, la mia catechista (Dio le renda gloria!): per lei l'Ascensione - uno dei picchi più alti di Luce, di Bellezza e di Trasporto di tutto il Vangelo - era tipo un periodo di convalescienza da passare in alta quota, dove l'aria è salubre, gli infermieri assai gentili e la struttura ospedaliera adatta. Insomma, un Gesù che, distante mille miglia dal suo essere uomo, sembrava un paziente in tempo di degenza. Non ricordo la faccia di noi bambini: temo, però, non avessimo mosso ciglio per due motivi: a quella catechista pochi di noi davano gran credito (si sa, però, che bisogna pure timbrare il cartellino, da qualche parte, per ricevere questi benedetti sacramenti), e poi si era verso fine maggio e tutto si sopportava grazie alle vacanze che ormai stavano bussando alle porte. Della scuola, della parrocchia e delle cose difficili. Certo che a distanza di anni oggi la mia catechista - che di sicuro ce l'avrà messa tutta, e anche di più, per farci apparire simpatico e convincente questo Dio del Vangelo - mi arreca un po' di tenerezza: come ha potuto trasformare uno dei picchi più alti di Vita in un istante di lungodegenza in alta quota?
«Incomincio a capire che vi possa essere gente, cui torni piacevole che Gesù sia un fantasma. E' l'unico personaggio della storia che si vorrebbe non fosse esistito. E non per gusto di sapere esatto o di documentata certezza, ma per un segreto inconfessato desiderio di non ritrovarselo vicino, neanche sulla strada del passato. Gli altri uomini, grandi o infami, sono memoria e polvere: Cristo, no, è presenza». (P. Mazzolari, Il compagno Cristo. Vangelo del reduce).
E' veramente un bozzetto formidabile questa pagina della Scrittura: più che spiegarti, ti lascia immaginare. E' come quando la mamma apre di colpo la finestra della tua camera e lascia che l'aria ti accenda vecchie memorie, ti spinga su nuove strade. Tanto che un potrebbe chiedersi: "Ma da dove è nata tutta quella gioia?". Perché, se ci pensi, è uno stupore che lascia perplessi: in un battibaleno gente che poc'anzi stava col naso all'insù, dopo qualche istante sta correndo verso Gerusalemme con la gioia nel cuore. E' davvero strano in certi passi il Vangelo. Strano e anche un po' tanto ingordo: perché, qui come altrove, non vuole spiegare il perché delle cose. E' come se ti dicesse: "C'è stato, non te ne devi dare una ragione". Un giorno Claude Monet, uomo capace di pittura e di capolavori, scrisse a margine di un suo taccuino: «Tutti discutono la mia arte e pretendono di comprenderla, quando invece basterebbe amare». C'è stata la gioia: di più non ci è dato sapere e non lo sapremo mai. Come non potremo mai sapere quali sono state le istruzioni date ai discepoli. Che poi, a ben pensarci, sarà stata la solita: fare della propria vita l'eco di una Bellezza antica e sempre nuova. Pensa: quante sono le cose di ogni giorno che non si vedono perché non si guardano. E che ci meraviglieremmo per primi di vedere se qualcuno ce le sapesse mostrare. Mostrare le cose di tutti i giorni: forse tutta l'Ascensione sta qui. Diventare occhi di poeti, carni di bimbi, fremiti di amanti. Nella storia, dentro il tumulto della storia, nel frastuono di ciò che si fa fatica a percepire. Con le mani in pasta a dire a tutti: «Guarda: io faccio nuove tutte le cose».
E' quasi un Dio impotente: l'onnipotenza di Dio che decide di confinarsi nella potenza umana. Un Dio che parte benedicendo, "dicendo bene" di te, di me, di noi. In silenzio: la tartaruga depone migliaia di uova senza che lo sappia nessuno, mentre la gallina quando fa un uovo informa tutto il vicinato. Siamo nei territori della follia d'amore. Quell'ultimo gesto lì - le mani stese sulla terra - è il gesto di chi ama e di chi, per amore, soffre. E' guardarti negli occhi e darti un sorriso. Darti un sorriso per dirti: "Per sempre dirò bene di te. La terra, sotto, è buona. E tu vali molto più di quello che gli altri hanno voluto farti credere finora". Un Dio che mi benedice. Che parla bene di me: penso sia la vera faccia dell'Ascensione. Altro che un Dio che va a riposarsi: questo è un Dio mai stanco di scommettere su di me. Di non scegliere nessun altro che non sia coloro che ha già scelto.

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