Gianfranco Ravasi"Lo Spirito e la Sposa"

Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista
Nella solennità di Pentecoste interrompiamo il nostro percorso nel Lezionario del rito del matrimonio per una breve riflessione su una particolare simbologia nuziale, quella tra lo Spirito e
la Chiesa, «sposa adorna per il suo sposo», secondo l’Apocalisse.

Il testo più emblematico è nella finale dell’opera quando i due sono presentati in un dialogo in cui è coinvolta tutta l’assemblea dei credenti e in cui si inserisce anche lo Sposo, Cristo: «Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni!... Colui che attesta queste cose dice: Sì, vengo presto! Amen. Vieni, Signore Gesù!» (22,17.20). Forse siamo all’interno di una liturgia della Chiesa giovannea. Come scrive un importante studioso dell’Apocalisse, il gesuita Ugo Vanni, «l’assemblea liturgica, animata dallo Spirito Santo che la guida nel discernimento degli eventi e dei segni dei tempi, aspira a una presenza totale di Cristo anche nella storia.

Una presenza che darà origine ai cieli nuovi e alla terra nuova». Per questo la parola dominante è il verbo greco érchomai, “venire”, che rende fremente l’attesa della Chiesa, animata dallo Spirito di Dio. Emerge, così, il legame intimo nuziale della Chiesa con il suo Sposo, Cristo, attraverso lo Spirito Santo. Come la sposa attende sulla spiaggia che all’orizzonte si profili la nave del marito marinaio che sta per rientrare a casa, così la Chiesa aspetta con ansia che Cristo ritorni nelle strade della storia, nella comunità, nelle nostre vicende a portare il dono del suo amore.

L’immagine, di sant’Ambrogio, ci aiuta a rileggere la nostra esperienza ecclesiale. Spesso, infatti, le nostre comunità sono flaccide, stanche, abituate al grigiore in cui è immersa la società contemporanea. Risuona, allora, forte l’appello dell’Apocalisse a ritrovare la freschezza nuziale, quella del fidanzamento, e a rivivere la tensione dell’attesa per un nuovo abbraccio perfetto e totale. Lo Spirito ha proprio questa funzione: tenere viva in noi la speranza di rivedere in pienezza lo Sposo Cristo.

Gesù sta alla porta della Chiesa, anche di quella “Chiesa domestica” che è la famiglia, e bussa: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Quest’attesa amorosa è espressa anche in una sorta di giaculatoria che san Paolo ci ha conservato nella lingua di Gesù e dei primi cristiani, l’aramaico Maranatha’ (1Corinzi 16,22). Si tratta in realtà di due parole che si possono dividere in due forme.

La prima sarebbe Maran ’atha’, «il Signore è venuto». È la professione di fede nell’Incarnazione, cioè nella venuta storica di Cristo nel mondo, per cui egli è presente nella Chiesa con la sua salvezza già a noi offerta. La seconda lettura è implicitamente sottesa al greco dell’Apocalisse: Marana’ tha’, «Signore, vieni!» (in greco, Kyrie, érchou). È il sospiro della Sposa, spinta a questa invocazione dallo Spirito Santo, nella certezza della venuta futura quando il seme del Regno di Dio, cresciuto in albero, avrà raggiunto la sua pienezza e maturità perfetta.

DAL SITO:FAMIGLIA CRISTIANA .IT

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