MACHETTA Domenico SDB " Il comandamento dell'amore fraterno"

10 maggio 2015 | 6a Domenica di Pasqua Anno B | Appunti per la Lectio
1ª LETTURA: At 10,25-27.34-35.44-48
Cornelio: primo pagano che entra nel cristianesimo. Uno dei tre centurioni (con quello di Cafarnao e quello del Golgota) che fanno da contrappeso alla brutta figura di Roma nella vicenda di Gesù.
"Dio non fa preferenze di persone". La posizione della Chiesa non è di elevazione, ma di servizio per tutti.
È la grande pagina della Pentecoste dei pagani. Viene spezzata per sempre ogni possibile interpretazione restrittiva della missione della
Chiesa al mondo: "Forse che si può proibire che siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?".
VANGELO: Gv 15,9-17
"Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Gv 15,12). Il comandamento dell'amore fraterno, così caratteristico di Giovanni, nei discorsi dell'Ultima Cena è presentato solo in due brevissimi passi: 13,34-35 e 15,12-13.17; ma con una forza straordinaria da diventare uno dei grandi temi del quarto Vangelo. È il comando di Gesù ("il mio"), e per questo è "nuovo". Il "nuovo", secondo la Bibbia, appartiene al mondo di Dio.
Gesù non è solo un sapiente, un saggio, che forma un gruppo di persone sul principio del "volersi bene"; Gesù è il Salvatore, che libera l'uomo dall'incapacità di amare in modo gratuito. Quel tipo di "amore" l'uomo da solo non può darselo; può solo riceverlo. Possono sorgere parecchi gruppi per fare del bene, ma non sono ancora la Chiesa: è la presenza di Cristo-Salvatore che fa la Chiesa. Gesù fonda una comunità come Salvatore, sacrificando se stesso:
"Li amò sino alla fine". E dirà ai suoi: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati". "Come io": l'amore si misura dalla capacità di sacrificarsi.
L'amore dunque non si misura dalle cose che facciamo, ma dalla capacità di consegna di se stessi, come ci avverte Paolo nell'inno alla carità del capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi. Vivendo l'amore fraterno, la comunità cristiana diventa missionaria, emanando una forza centripeta: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (13,35). Essere "uno" perché il mondo creda, come dice Gesù nella preghiera sacerdotale del capitolo 17.
Qui si sprigiona una delle più forti tendenze di Giovanni: non è con la sua azione che la Chiesa si scopre missionaria, ma prima di tutto vivendo nel suo interno l'amore vicendevole. Tema che sarà sviluppato ampiamente nella prima lettera di Giovanni, che da qualche domenica ci accompagna come seconda lettura della Messa. La sintesi di tutta la lettera possiamo trovarla nel versetto 23 del capitolo terzo: "Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato". Questo amore gratuito, disinteressato, universale è possibile solo con la fede, ci viene dato dall'alto, perché la sorgente dell'amore è Dio: "Dio è amore".
Solo Giovanni ha l'audacia di definire Dio! Notiamo la forza di quel "è". Non dice: "Dio ama", ma: "Dio è amore". Non si tratta semplicemente di un invito pastorale a volerci bene, Giovanni va alla radice dell'amore. L'amore, per Giovanni, è un fatto ecclesiale, è comunione nella Chiesa. Questo è sempre stato il problema principale delle comunità fin dalle origini, come ci fanno capire le lettere del Nuovo Testamento. Il punto dolente non è l'amore agli ultimi, ai poveri, ai lontani, ma l'amore vicendevole, l'amore tra fratelli: "Amatevi gli uni gli altri" (en all¯elois, ad invicem).
È l'amore collegato alla croce, è perdere la propria vita. Questa lettera presenta l'amore non come un'unione di sentimenti, ma come comunione di vita, un'unione di fede. Ma non è possibile la fede senza l'umiltà: "E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?" (Gv 5,44). Viene fuori allora un trinomio giovanneo: umiltà-fedecarità.

MACHETTA Domenico

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