D. Severino GALLO sdb"LA MORTE E LA VITA IN GESU'"

28 giugno 2015 | 13a Domenica - T. Ordinario B | Omelia
Una delle esperienze più comuni a tutti gli uomini è quella del dolore causato dalla malattia e dalla morte di una persona cara: esperienza che presto o tardi faremo tutti, ma con atteggiamenti molto diversi: per chi non crede, c'è fatalismo, pessimismo e disperazione; per chi crede in Gesù invece, anche la morte è vista con serenità e gioia.
Oggi la liturgia ci aiuta appunto ad affrontare il problema della morte.

LA MORTE

La morte è una cosa spaventosa. Non abbiamo paura di fare quest'affermazione. Gesù stesso di fronte alla morte ha tremato, ha supplicato per la sua liberazione: "Padre, se è possibile passi da me questo calice…" (Lc 22,42).

Di più: anche di fronte alla morte degli altri Gesù ha sentito turbamento. Questo è avvenuto presso la bara del figlio della vedova di Naim: "Il Signore sentì compassione" (Lc 7,1). E' avvenuto presso la tomba di Lazzaro: "Gesù si commosse profondamente, si turbò… Gesù scoppiò in pianto…" (Gv 11,4-35)

E ancora: Gesù di fronte alla morte ha messo in opera la sua divina onnipotenza per sconfiggerla. E' il caso della figlia di Giairo di cui ci parla il Vangelo odierno…
Gesù dunque è nemico della morte. Come lo siamo noi. Noi siamo fatti per la vita. E' incoercibile nel nostro essere il richiamo alla vita e alla vita senza fine. E' potentissimo in noi l'istinto della conservazione, dell'integrità del nostro essere spirituale-corporeo, che la morte distrugge sacrilegamente.

Perciò la nostra ripugnanza alla morte è giustificata: "Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece ad immagine della propria natura" (prima Lettura). Come poteva essere altrimenti se il nostro Dio è il "Dio vivente" (Gios 3,10; Os 2,1), il "Dio dei vivi" (Lc 20,8), "il vivente nei secoli" (Ap 4,9)? Si può giustamente affermare che la morte è "l'anti-Dio" e infatti San Paolo la chiama: "L'ultima nemica…" (1 Cor 15,26).

La morte è castigo. E' invenzione del demonio: "E' salario del peccato" (Rm 6,2). "E' per invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo" (prima Lettura). E San Paolo conferma: "A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte" (Rm 5,12).
Perciò Dio non "ha creato la morte, non gode per la rovina dei viventi" (prima Lettura) e non ci rimprovera se di fronte allo sfacelo della nostra natura, noi gemiamo, noi sentiamo orrore. Anzi è proprio questa ripugnanza la più bella manifestazione di quel disegno di vita cui Dio ci aveva primitivamente destinati…

… E LA VITA…

Ma c'è stato chi ha voluto soccorrere la nostra miseria. C'è stato chi ha vinto la morte: è Gesù.
Tale è il significato che assumono, presso gli evangelisti, i miracoli operati da Gesù per restituire la vita. Il Vangelo d'oggi ce ne presenta uno, perché riconfermiamo la nostra fede in Gesù vincitore della morte e restauratore della vita:

"Se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo" (Rm 5,17).

Nella festa di Pasqua abbiamo cantato: "Il Signore della vita che era morto, ora, vivo, trionfa" (Sequenza).

Gesù ha vinto la morte mediante la sua stessa morte: apprendiamo così che Gesù non ha voluto distruggere la morte fisica. L'ha anzi accettata per Sè, ignominiosa, dolorosa, lunga. Ne ha solo svuotato il significato. Non è più castigo, non è più il nulla, non è più distruzione della vita. Diventa invece la porta della vita. Della vera vita, della vita eterna; quella, appunto che Gesù, con la sua risurrezione, ha iniziato per Sé e per tutti noi…

(Nel suo aspetto umano, dunque, la morte mantiene tutta la sua ripugnanza: è il prezzo che paghiamo, anche noi, all'appartenenza alla stirpe peccatrice d'Adamo, ed è anche il prezzo che paghiamo al nostro desiderio di vita. 
Tuttavia, mediante la fede dobbiamo superare questa visione limitata alla sfera naturale, dobbiamo guardare oltre. Dobbiamo guardare in alto, dove Gesù vive e regna, "primizia di coloro che sono morti" (1 Cor 15,20). 
"Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Gesù" (1 Cor 1t, 22).

Perciò il grido con cui Gesù richiama alla vita la fanciulla morta dell'odierno Vangelo - "Talità kum: fanciulla, alzati!" - è il grido che tutti sentiremo quando Gesù "consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà… Ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte" (1 Cor 15,24.26).

Per un cristiano la via normale per arrivare ad accettare e valorizzare il dolore e la stessa morte, è quella della preghiera e del contatto vivo e vitale con Gesù nell'Eucaristia.
Lo stesso dolore offerto al Padre per mezzo di Gesù Crocifisso diventa preghiera implorante e a volte più benefica d'altre forme di preghiera. Le pene unite alla preghiera di S. Monica ottennero la conversione del figlio Agostino.

Le sofferenze silenziose e martellanti di S. Teresina del Bambino Gesù hanno convertito più anime che non l'attività di tanti sacerdoti in terra dimissione.
I 24 anni di martirio di Elisabetta Leseur, ammalatasi pochi mesi dopo il matrimonio, ottennero la conversione del marito incredulo. Ella pregava così: "Le mie tribolazioni, i miei patimenti, le mie rinunce, siano la strada che Tu, o Signore, prenderai per arrivare al cuore di Felice". La preghiera di Elisabetta fu esaudita: alla sua morte nel 1913, il marito si convertì, si fece sacerdote e religioso domenicano.

… IN GESU'…

Perciò nella luce di Gesù s'illumina anche il mistero della morte. Essa rimane sempre pensiero conturbante, richiamo di un castigo meritato con le nostre colpe e di una riparazione dovuta alla solidarietà con i nostri progenitori e con tutti gli uomini.
Tuttavia diventa pensiero sereno, o addirittura gioioso, nella luce di Gesù risorto, come è stato per alcune anime privilegiate: diventa richiamo alla patria che ci aspetta, alla gioia, che in Gesù ci ricolmerà.

* Nel 1897 moriva Teresa di Lisieux, la bionda "sventatella di Dio", tutta luce, tutta amore, vera sposa di Gesù. Poco prima della sua partenza per l'eternità scriveva al missionario Don Bellière: "Forse, quando leggerete queste righe, io non sarò più sulla terra, ma in seno alle delizie eterne! Non conosco l'avvenire, eppure vi posso dire con sicurezza che lo Sposo è alla porta… Fratello mio, come sono felice di morire! Sono felice di morire, perché sento che tale è la volontà di Dio misericordioso e che , molto più che quaggiù, potrò essere utile alle anime, che mi sono care, particolarmente alla vostra!" (lettera del 1 luglio 1897).
Quando qualche Consorella cercava di farle coraggio, la santa rispondeva: "Farmi coraggio a morire? A vivere ci vuole coraggio, non già a morire! Non avrei mai creduto che fosse così dolce morire!… Com'è dolce pensare che voghiamo verso l'eterna riva!".
Gli estremi suoi aneliti furono queste parole: "Andiamo, andiamo… Oh! Non vorrei soffrire di meno!…". Poi, fissando il crocifisso: "Oh, io Lo amo! Mio Dio, io vi amo!". Così dicendo morì. Aveva solo 24 anni.

La morte in Gesù è una delizia e apre le porte alla delizia senza fine: il Paradiso.
Ma ciò che renderà particolarmente dolce la nostra morte sarà il pensiero e la presenza della Madonna: "Che bella cosa io vedo mai!", esclamò San Domenico Savio sul letto di morte.
Per noi morire sarà come un addormentarci sul Cuore della nostra diletta Mamma.              
                                                                        D. Severino GALLO sdb

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