mons. Roberto Brunelli"Quante morti evitabilissime"

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (28/06/2015)
Vangelo: Mc 5,21-43 
Tra le letture di oggi, sembra appena scritta una frase che si direbbe rivolta a quanti vorrebbero respingere chi arriva qui da lontano a cercare più sopportabili condizioni di vita. Chiedendo aiuto ai benestanti cristiani di Corinto per quelli poveri di Gerusalemme, l'apostolo Paolo dice (seconda lettura, 2Corinzi 8,13): "Non si tratta di mettere
in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza". Nel nome della comune umanità, quanto c'è da riflettere!
Passando al vangelo (Marco 5,21-43), oggi vi si intrecciano due episodi distinti. Tra la folla che si accalca attorno a Gesù, un uomo di nome Giàiro gli si getta ai piedi e lo supplica di andare a casa sua, dove la sua figlioletta dodicenne sta morendo. Gesù si avvia, sempre pressato da ogni parte, quand'ecco una donna, da dodici anni sofferente di emorragie che nessun medico ha saputo guarire, riesce ad avvicinarglisi alle spalle e a toccare le sue vesti, convinta che ciò basti a ridarle la salute. Così avviene; ma Gesù si ferma, si guarda intorno e chiede: "Chi mi ha toccato?"
La domanda sembra assurda: stretto com'è tra la gente, chissà quanti l'hanno toccato. I discepoli glielo fanno notare; ma egli insiste: vuole che la donna esca allo scoperto, per beneficarla anche su un altro piano. Ella non lo sa; teme piuttosto un rimprovero, per avere agito di frodo nel profittare della potenza di lui; perciò gli si palesa gettandosi in ginocchio, impaurita e tremante. Ma egli la rassicura; con tenerezza la chiama figlia, e la rimanda a casa guarita: "La tua fede ti ha salvata", le dice.
L'argomento della fede torna subito dopo, quando riprende la vicenda di Giàiro. Da casa sua arrivano per annunciargli che la bambina è morta, e dunque è inutile disturbare ancora il Maestro. Se a quel povero padre lo strazio dell'annuncio lascia un poco di lucidità, lo immaginiamo d'accordo: tante grazie per la disponibilità del Maestro, ma ormai è accaduto l'irreparabile. Gesù però non gli dà neppure il tempo di aprir bocca: "Non temere" gli dice; "soltanto abbi fede!" Si stacca dalla folla; prende con sé, oltre al padre, i suoi tre discepoli Pietro Giacomo e Giovanni e si reca alla casa di Giàiro, da dove manda via i parenti che all'uso orientale strepitano piangendo e urlando, non curandosi se lo deridono quando dice: "La bambina non è morta, ma dorme". Con i quattro, più la madre della fanciulla, entra nella sua camera, le prende la mano e le ordina: "Talità kum!", cioè "Fanciulla, alzati!" Così avviene; ella si alza, si mette a camminare, e quasi a riprova che sta proprio bene egli ordina di darle da mangiare.
Talità kum: sono tra le poche parole che i vangeli tramandano nella lingua in cui Gesù le ha pronunciate, l'aramaico. Più importante, ai fini della conoscenza di lui, è notare come, dopo le tante guarigioni, dopo aver placato la bufera sul lago, egli si riveli qui capace di vincere anche la morte: dunque è il Signore di tutto, è Dio. Egli usa la sua potenza sempre e soltanto a beneficio degli uomini, e qui dimostra di amare la vita di cui è il creatore, implicitamente invitando gli uomini a fare altrettanto. Secondo le loro possibilità, è ovvio: che però sono molteplici. Ad esempio, relativamente alla morte, c'è quella inevitabile, ma ce ne sono tante evitabilissime; basti pensare a quelle causate dalle guerre, dalla fame, dalla droga, dall'imprudenza sulle strade e nei posti di lavoro, dallo sfruttamento di interi popoli, dall'inquinamento e dalla manipolazione delle risorse alimentari...
Le possibilità sono anche il ricorso a Dio. La speranza è una virtù, quando si accompagna alla fede autentica: quella fede che Gesù coglie nella donna e raccomanda a Giàiro; quella fede che si nutre di speranza e nel contempo non pretende, perché è aperta ad accogliere, quale che sia, la volontà di Dio.

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