CIPRIANI SETTIMO SDB"Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì"

26 luglio 2015 | 17a Domenica - Tempo Ordinario B | Appunti per Lectio
Subito dopo l'osservazione dolente, con cui si chiudeva il brano evangelico che abbiamo commentato Domenica scorsa ("Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore...": 6,34), Marco
racconta il miracolo della prima moltiplicazione dei pani, certamente vedendo in esso un gesto di immediata premura "pastorale" di Cristo nei riguardi della gente che lo seguiva con sì grande passione.
Ed è precisamente il miracolo della moltiplicazione dei pani, che la Liturgia odierna propone alla nostra considerazione: però il racconto è ripreso dal Vangelo di san Giovanni (6,1-15), che fa così una specie di irruzione nel ciclo liturgico riservato a Marco.
Perché questa sostituzione del secondo col quarto evangelista? Credo che la ragione consista nel fatto che in san Giovanni il miracolo della moltiplicazione dei pani è seguito dal lungo "discorso" eucaristico (6,22-66), che per la sua insuperabile ricchezza dottrinale si presta meravigliosamente a una diffusa catechesi sul sacramento dell'Eucaristia, "culmine e fonte" di tutta la vita cristiana. Di fatti, fino alla prossima 21ª Domenica la Liturgia ci presenterà quasi per intero il discorso eucaristico, riferitoci dal solo san Giovanni.

"Eliseo disse: "Dallo da mangiare alla gente""
Ma adesso cerchiamo di concentrare la nostra attenzione sulle letture bibliche di questa Domenica, di cui mi sembra abbastanza chiaro un certo filo unitario non solo fra la prima e la terza, ma anche con la seconda, almeno nel senso che tra poco accenneremo.
La prima lettura ci descrive una moltiplicazione dei pani in anticipo, compiuta ad opera del profeta Eliseo (2 Re 4,42-44).
I punti di contatto con il racconto evangelico sono molteplici: anche il profeta con poco cibo (primizie e venti pani d'orzo e di farro) sfama una folla piuttosto rilevante (cento persone), e perfino ne avanza: "Lo pose davanti a quelli, che mangiarono, e ne avanzò, secondo la parola del Signore" (v. 44). Anche il senso di sorpresa del generoso donatore, cui il profeta ordinò di distribuire alla gente il pane: "Come posso mettere questo davanti a cento persone?" (v. 43), rimanda all'analoga considerazione di Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo!" (Gv 6,7).
Si sarebbe quasi tentati di pensare ad un "plagio" da parte degli evangelisti! Ed in realtà, non si può negare una loro precisa volontà di "imitazione" letteraria non solo dell'episodio della vita di Eliseo, ma anche di diversi episodi dell'intensa attività taumaturgica di Mosè: si pensi al miracolo della manna, delle quaglie e dell'acqua che scaturisce dalla roccia durante la interminabile peregrinazione dei quarant'anni nel deserto.

Rassomiglianze e dissomiglianze fra "vecchio" e "nuovo"
Giovanni soprattutto fa riferimento a Mosè nei molteplici accenni alla "manna" che ricorreranno nel discorso eucaristico. I Giudei, infatti, attendevano per il tempo messianico il rinnovamento del miracolo della manna. Ecco perché, di fronte alla moltiplicazione dei pani, vedono in Gesù il "profeta" lungamente atteso e promesso da Mosè al suo popolo: "Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!"" (6,14).
Anche l'ambientazione geografica, almeno in Giovanni, rimanda volutamente ai miracoli alimentari operati da Mosè: Gesù infatti opera il miracolo in una zona appartata, nella montagna (vv. 5.15). Come pure il riferimento alla Pasqua, esclusivo di san Giovanni, è sulla linea di un confronto di quanto aveva operato Mosè nell'Antico Testamento per il suo popolo: "Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei" (v. 4). Il "pane" miracoloso, dato da Gesù alle più che cinquemila persone nel deserto (v. 10), simboleggia ed è la nuova Pasqua cristiana.
A questo punto comprendiamo il perché della voluta imitazione "descrittiva" di alcuni episodi dell'Antico Testamento da parte degli evangelisti: non è solo per trovarvi un cliché letterario e tanto meno delle pezze di appoggio per procurare credibilità alle azioni straordinarie di Gesù, quanto piuttosto per affermare che egli è la "somma" del messaggio salvifico dell'Antico Testamento: il "profeta" vero è lui, così come il "Mosè" vero è lui! In lui hanno compimento tutte le "prefigurazioni" salvifiche del passato.
Il che equivale a dire che egli non è solo la "somma" del vecchio, ma la "novità" radicale che, pur nascendo dal vecchio, lo trascende all'infinito!
Del resto, l'evangelista stesso ci aiuta ad afferrare questa superiore "novità" del miracolo operato da Cristo, oltre che con il discorso eucaristico che seguirà, con una quantità di particolari descrittivi, a cui bisogna fare attenzione: quello che Gesù ha compiuto è un "segno" (v. 13), che deve portare a scoprire qualcosa di più grande e misterioso nell'essere e nell'agire di Gesù; è lui stesso che è coinvolto fino in fondo nel miracolo compiuto, nel senso che, a differenza che nei Sinottici, egli personalmente distribuisce il pane del miracolo ("Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero": v. 11); la folla, a cui è destinato il pane, è immensa ("circa cinquemila uomini": v. 10), e non appena "cento persone" come nel caso di Eliseo; anche gli "avanzi" che Gesù ordina espressamente di raccogliere, "perché nulla vada perduto" (v. 12), a differenza della manna che, se veniva raccolta in eccedenza, periva, dicono l'eccezionalità del miracolo. Il numero dodici ("dodici canestri", riempiti con i pezzi di cinque pani d'orzo: v. 13), al di là del rimando ad Israele (le dodici tribù), vuol forse indicare il numero perfetto: il pane di Gesù, cioè il pane "messianico", non è destinato solo a cinquemila persone, ma a tutti gli uomini!
Infine, c'è tutta la coloritura "eucaristica", espressa dai gesti di Gesù e perfino dal verbo eucharistéo (= rendo grazie: v. 11), che dice la "novità" dell'evento; in un certo senso Giovanni, che non ci ha descritto la istituzione dell'Eucaristia nell'ultima cena, anticipa qui allusivamente quel fatto, in cui si manifesta il "massimo" dell'amore di Cristo per gli uomini (cf 13,1).

Gesù, "sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò sulla montagna"
Questo senso di "novità" sembra che sia stato percepito anche dalla folla che, presa dall'entusiasmo, non solo confessa che Gesù "è davvero il profeta che deve venire nel mondo" (v. 14), ma addirittura vorrebbe proclamarlo re. Gesù però, "sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo" (v. 15).
La scena, come si vede, sembra chiudersi con un gesto di incomprensione e di volontaria fuga di Gesù dalla folla, che pur aveva dimostrato di amare senza riserve.
Come si spiega tutto questo? Nonostante la commozione che il miracolo suscita nella folla, che si lascia prendere dall'entusiasmo, essa non ha afferrato il significato del gesto di Gesù: si è fermata al pane e alla sua materiale fruizione senza intravederne il valore di "segno", come dirà più tardi Gesù stesso: "Voi mi cercate non perché avere visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati" (6,26). È il Messia potente quello che essi cercano; il Messia che risolve perfino i loro problemi materiali, che dà tutto senza richiedere nulla! Un "messianismo" facile, dunque, quello che la gente di allora, e di sempre, sembra inseguire freneticamente e instancabilmente.
È davanti a questa falsa ricerca che Gesù si sottrae, fugge quasi spaventato e addolorato: è possibile che gli uomini, anche quando sembra che ricerchino Cristo, di fatto cerchino soltanto se stessi?

"Dove possiamo comprare il pane perché abbiano da mangiare?"
Proprio per questo dramma d'incomprensione fra Gesù e la folla, che san Giovanni così mirabilmente mette in evidenza, credo che non sia giusto insistere troppo sulla dimensione "sociale" del miracolo della moltiplicazione dei pani, come da parecchi oggi si fa, quasi che l'ammaestramento fondamentale del presente brano sia quello della lotta alla "fame" nel mondo. Certo, Gesù vuole insegnare anche questo. La sua domanda, rivolta a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?" (v. 15), tende a corresponsabilizzare anche gli apostoli al problema, così profondamente umano, della fame e della sofferenza degli altri.
Però il miracolo di Gesù va molto oltre, intende rispondere a delle esigenze anche più profonde dello spirito umano, è "segno" di realtà più grandi che la folla, tutta presa dall'aspetto "utilitaristico" del gesto compiuto dal Signore, non riesce a percepire. Di qui l'incomprensione; di qui la fuga di Gesù dalla folla, quasi a dire che la riduzione del Vangelo a mero fatto "sociale" lo svuota del suo contenuto più autentico, nasconde più che svelare il Cristo!
Se mai, il discorso è un altro: nella misura in cui il credente riesce ad afferrare la profondità del "segno", allusivo all'Eucaristia quale capacità immensa di donarsi del Cristo, anch'egli dovrà "donarsi" ai fratelli secondo tutte le dimensioni delle loro necessità, ivi incluse quelle materiali. Perciò direi che il cammino è inverso: andare oltre il fatto materiale, afferrarne il valore di "segno", e ritornare infine nell'ampio regno della quotidianità sofferente, nostra e degli altri, per dimostrare che "l'amore di Dio" non "si è riversato" invano nei nostri "cuori".

"Un solo corpo, un solo Spirito..."
E adesso un riferimento, sia pure assai rapido, alla seconda lettura, ripresa dalla lettera di san Paolo agli Efesini, in chiave eucaristica.
È un pressante invito all'"unità" che nasce però dall'"amore", quello che l'apostolo rivolge ai suoi cristiani: "Fratelli, vi esorto io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto..., sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo Spirito... un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ef 4,1-6).
Sono molti, come si vede, gli elementi che trascinano, come in un moto convergente, il cristiano verso l'unità della fede: l'unico e identico Spirito, la stessa speranza, un solo Padre nei cieli, ecc. Accanto a questi c'è anche "un solo corpo", che è quello della Chiesa, costituito però e come plasmato dal "corpo" eucaristico del Signore, secondo quello che Paolo dice altrove: "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1 Cor 10,17).
L'Eucaristia come fattore di "unità" e di "carità", dunque. La moltiplicazione dei pani, percepita nel suo valore di "segno", non può non rimandarci ai fratelli perché anche noi "moltiplichiamo" e "distribuiamo", con loro e per loro, il "pane" della nostra fede, quello della mensa del Signore e anche quello materiale, che tantissime volte manca sulla mensa di molti uomini.

                      CIPRIANI SETTIMO SDB

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