D. Severino GALLO sdb,"PASTORI - GUIDE"

19 luglio 2015 | 16a Domenica - Tempo Ordinario B | Omelia
E' interessante - ma tutt'altro che divertente - il gioco cui ricorre Geremia nella prima Lettura per denunciare le inadempienze dei pastori. Dice:
- "non vi siete occupati" delle pecore
- Dio "si occuperà" di voi e delle vostre malefatte.

Il verbo ebraico significa, letteralmente, far conto, rendere conto.

Ossia: dal momento che "non avete fatto conto" del prezioso tesoro che vi è stato affidato - il popolo di Dio -, dovrete rendere conto al legittimo Signore delle vostre malvagie azioni.
Resta il fatto che, per stornare la minaccia ("guai ai pastori che fanno perire e disperdono le pecore del mio gregge"), esiste un solo rimedio: "occuparsi" di quella realtà che prima era stata colpevolmente disattesa.

Lasciamo stare le colpe specifiche dei capi: interesse personale, sfruttamento del gregge, volontà di potenza, abusi di vario genere, defezioni al momento del pericolo…
E la lista potrebbe allungarsi considerevolmente, con aggiornamenti scoraggianti.
Resta una colpa fondamentale: trascurare le persone.

E' il rischio sempre attuale. Ci si occupa e preoccupa di tante cose - per il bene del gregge, - almeno nelle intenzioni - ma si omette l'occupazione principale: l'attenzione alle singole pecore.
Occorre ribadire con vigore che un ministero essenziale è quello dell'attenzione.
E che un dovere primario è quello di "farsi trovare".

"E' di te che abbiamo bisogno, non delle tue opere!".
Questo è il lamento che sentiamo sovente. Ci sono in circolazione pastori sempre "occupati" e che non hanno tempo per occuparsi veramente delle persone.

Ricordo l'amara confidenza di un missionario in Africa. Svolgeva un'attività senza soste, una serie d'iniziative che avevano del prodigioso.
Opere tirate su a prezzo di sacrifici e fatiche inenarrabili, che apparivano urgenti: dispensario, scuola, laboratorio, chiesa, mulino…
All'inaugurazione di una di quelle costruzioni indispensabili, una donna gli butta in faccia una verità estremamente amara:
- Ma che cosa credi? Non è delle tue cose che abbiamo bisogno. Che cosa ce ne facciamo di tutte queste opere, se tu ci manchi sempre?

Dobbiamo riconoscerlo con onestà. Troppi pastori, oggi, risultano perennemente indaffarati, affannati, perfino esagitati, "presi" da una molteplicità di compiti, strangolati da mille impegni. Per cui non riescono a dare alla loro comunità la cosa indispensabile: se stessi.
Costantemente "occupati" in faccende importanti, in svariate attività pastorali. E indisponibili per quell'occupazione assai costosa che consiste nel "dare tempo" agli altri, ascoltarli, interessarsi ai problemi e alle vicende dei singoli.
A furia di lavorare per il gregge, si finisce col perdere di vista le pecore.
Non viene il dubbio che, in certi casi, il lavoro più importante possa essere proprio quello di "perdere il tempo"?
Ci dimostriamo allarmati perché mancano i pastori. E non avvertiamo un problema ancora più drammatico: troppi pastori "mancano" al gregge.

Non è consentito delegare alle opere, alle attività, alle iniziative, l'occupazione essenziale che è il dono di se stessi nella dimensione specifica del "tempo". Il pastore deve "dar conto" a Dio se lascia mancare al gregge il proprio tempo.
Ricordiamo però che pastori e guide non sono solo i Vescovi, i Sacerdoti e i Religiosi, ma un po' tutti partecipiamo al ministero pastorale, abbiamo cioè il compito di guida: tali - per esempio - sono gl'insegnanti, gli amministratori, i genitori.
Quando attorno a noi, nella famiglia e nella società o nella comunità scopriamo che tante cose vanno male, dobbiamo riflettere sulle nostre responsabilità.


Qualche tempo fa una ragazzina fuggì da casa - come purtroppo tante volte succede - in cerca di libertà e d'avventura.
Fortunatamente fu presto rintracciata dalla polizia. Appena in questura la si fece telefonare alla famiglia.
Il papà era felice, la invitava a ritornare a casa. "Non preoccuparti, figlia mia! - le diceva. - Torna, e se hai qualche desiderio, dimmelo e sarai accontentata. Ricordi quel bassottino che volevi comprare? E' ancora là, e sarà tuo!".
A questo punto la figlia che era rimasta piuttosto silenziosa e perplessa, esplose gridando: "Papà, ma non hai ancora capito che ho bisogno di un padre e non di un cane?".
Quanti figli hanno dei genitori che dànno soldi e vestiti, cagnolini e capricci a non finire, ma non dànno se stessi: il loro tempo, il loro consiglio, il loro affetto, e soprattutto la loro fede (che forse hanno perso…): queste sono le uniche cose che possono dar senso alla vita.
Farsi trovare "sottraendosi"

Un altro modo per "occuparsi" efficacemente del gregge è quello proposto da Gesù agli Apostoli, di ritorno dalla missione: "Venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un po'".
La disponibilità a dare la vita non annulla il diritto-dovere di impedire che la vita si spenga a causa di un'attività senz'anima, che, invece di liberare delle energie, le esaurisce.

"Infatti era molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare…", dice il Vangelo.
C'è un "darsi" alla folla. Ma c'è anche un indispensabile "sottrarsi". E ciò a vantaggio del pastore e del suo equilibrio, ma anche della folla stessa. La quale ha tutto da guadagnare da una guida che ha il "coraggio" di "partire" verso luoghi solitari per dedicarsi a quell'attività improduttiva che è l'orazione.

Resta l'irrinunciabile esigenza di appartarsi con Gesù, per le opportune verifiche delle esperienze e della fedeltà alla missione ricevuta, come condizione indispensabile per non deludere le attese della folla.
La solitudine diventa così mezzo privilegiato di comunione.
Il proprio "riposo" (cioè il riferimento alla preghiera) può essere l'espressione più evidente della "compassione" nei confronti degli altri.

Il silenzio diventa il "luogo" dove il pastore accoglie la parola destinata alla fame del suo gregge.
Ancora una volta: le eccessive occupazioni e preoccupazioni non devono oscurare l'occupazione principale che consiste nel frequentare le profondità della preghiera.
Un pastore è in grado di "annunciare pace e gioia", solo quando realizza in sé armonia, pace e gioia.
Gesù invita i suoi Apostoli a ritirarsi per riposare un poco.
E' assurdo , infatti, che l'uomo assoggetti sé e gli altri ai lavori forzati, per motivi economici o di mercato, mentre c'è gente che implora di poter lavorare, e non ottiene lavoro e muore di fame.
E' l'uomo che deve controllare il lavoro, e non il lavoro a condizionare l'uomo.


Confidava Madre Teresa di Calcutta: "Voglio che le mie Suore abbiano sempre un grande sorriso sul volto.
Ho mandato a casa diverse ragazze aspiranti, perché non erano abbastanza allegre, non avevano sufficiente capacità di sorridere.
Quando incontro sorelle che escono per il loro lavoro, ma non sono abbastanza sorridenti, dico loro: - Tornate indietro, andate a dormire e poi uscirete per il lavoro: siete troppo stanche".
Che cuore di Superiora! Che cuore di madre! Averne tante come lei!
Anche noi siamo avvisati: dobbiamo fare una buona cura di sorriso, se vogliamo lavorare per Gesù e per le anime.
E allora, mettiamoci alla scuola della Madonna: fonte della nostra gioia.
                                                                        D. Severino GALLO sdb, (+)

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