Don Giorgio Scatto "L'Eucaristia deve aprire l'orizzonte delle nostre comunità "

20° Domenica del Tempo Ordeinario (anno B)
Letture: Pr 9,1-6; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58
L'Eucaristia deve aprire l'orizzonte delle nostre comunità  -MONASTERO MARANGO CAORLE (VE)
1«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
E’ l’umanità di Gesù che manifesta e comunica
la vita di Dio. Attraverso di essa il dono di Dio si rende concreto, storico, diventa realtà per l’uomo. Per mezzo di Gesù, nel dono della sua carne, Dio vuole stabilire una relazione d’amore stabile e fedele con noi, vuole farsi prossimo alla nostra umanità. Ma questo scandalizza. Mentre Dio pone ogni suo interesse nell’avvicinarsi all’uomo, questi tende continuamente ad allontanarlo dal suo mondo, situandolo in una sfera chiusa e trascendente. Una religione accettabile consisterebbe in una specie di culto reso ad un Dio impalpabile e invisibile, lasciando così campo libero a tutti coloro che si servono di Dio per incrementare il loro potere e ai numerosi mercanti di morte, che traggono profitto solo sulle tragedie e sul dolore di un’intera umanità.
Papa Francesco ha visto che anche la Chiesa vive oggi chiusa in se stessa, paralizzata da differenti paure e troppo lontana dai problemi e dalle sofferenze della gente. La sua reazione è stata immediata: «Il Regno di Dio ci interpella»; «Dobbiamo uscire verso le periferie esistenziali»; «Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e di procedimenti» (EG, 49).
In Gesù la Parola diventa carne, Dio entra definitivamente nella storia, insegue tutte le periferie dell’umano: è nell’uomo e nel tempo che si trova Dio. Quando capiremo ancora di più questa realtà, che è a fondamento della nostra fede, potremo schierarci con maggiore determinazione a favore di ogni persona che subisce violenza, che viene umiliata e uccisa, annegata in fondo al mare, venduta e mercificata, senza temere il giudizio di chi pretenderebbe di estromettere la comunità dei credenti e il suo compito profetico dalla compagnia degli uomini: stare a fianco del fratello che patisce nella sua carne, che fugge dalla guerra e dalla fame, non è impadronirsi di un compito che è proprio della politica, ma è offrire ad essa una urgente priorità e una indicazione di percorso.

«I Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?"».
Chi ha potere non può comprendere il linguaggio di Gesù. Coloro che hanno potere “dominano ed opprimono” e non sanno cosa voglia dire porsi a servizio, diventare servi della gioia del fratello. Anche i Giudei forse potevano accettare una nuova dottrina, un nuovo insegnamento morale, ma non potevano tollerare che Gesù si proponesse a tutti come il pane necessario per vivere. Questo scandalizza e divide.

«Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita».
A questo punto del discorso l’autore del Vangelo parla nella prospettiva della sua comunità, tenendo presente la celebrazione e il significato dell’Eucaristia. Parla per noi, che non abbiamo incontrato Gesù lungo le strade polverose della Galilea, né lo abbiamo mai sentito parlare nelle sinagoghe o dentro le case dei pescatori del lago. Noi non siamo stati nella cerchia dei suoi amici. Ma a noi l’evangelista vuole consegnare un dono straordinario dello Spirito, frutto della volontà stessa del Signore Gesù. Nell’ultima cena, prima della sua passione, egli parlava del suo corpo come di un pane spezzato per noi e di un calice versato: mangiando il pane dell’Eucaristia e bevendo al calice benedetto, noi partecipiamo della stessa vita di Gesù, entriamo in comunione con lui, come pegno sicuro di vita eterna e anticipo di resurrezione.

«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui».
La ‘Piccola regola’ che ho ricevuto in dono da don Giuseppe Dossetti, e che mi accompagna sulle vie del vangelo da più di trent’anni, dice così, a proposito dell’Eucaristia: «In essa è tutto: tutta la creazione, tutto l’uomo, tutta la storia, tutta la grazia e la redenzione: tutto Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: per Gesù, Dio e Uomo, nell’atto, operante in noi, della sua morte di croce, della sua risurrezione ed ascensione alla destra del Padre, e del suo glorioso ritorno».
Che cosa ne consegue per noi? Continua ancora la ‘Piccola regola’: «La messa opera in ciascuno la morte della creatura e la risurrezione e glorificazione del Verbo Incarnato, mistero per il quale il Padre, per Gesù, nello Spirito Santo, sempre crea, santifica, vivifica, benedice e concede a noi questo bene della comunione con Lui e della comunità tra noi suoi figli».
Nell’Eucaristia Gesù rimane in noi e noi dimoriamo in lui. Ma cosa vuol dire celebrare l’Eucaristia? «Il Regno di Dio ci spinge oggi a introdurre una trasformazione nella pratica religiosa che si promuove nelle nostre parrocchie e comunità. Non possiamo permettere che i sacramenti sostituiscano o spostino i segni liberatori del Regno che Gesù praticava nella vita: segni di compassione, di giustizia, di denuncia, di cura, di vicinanza solidale. Il cambiamento decisivo è aprire l’orizzonte delle nostre comunità. Fare passi verso comunità capaci di ‘farsi carico della realtà’, sintonizzandosi con il dramma della fame, della miseria, delle guerre che ci sono oggi nel mondo, e condividendo la sofferenza che è intorno a noi. Ha ragione J.B.Metz quando denuncia che nella religione cristiana ci sono troppi canti e poche grida di indignazione, troppa compiacenza e poca nostalgia di un mondo più umano, troppa consolazione e poca fame di giustizia. Che cosa sono comunità cristiane protette dalla loro pratica religiosa contro tutta la sofferenza che sconvolge?».
«Questo è il mio corpo donato».
«Fate questo in memoria di me».


Giorgio Scatto    

Commenti

Post più popolari