Don Giorgio Scatto "L’idolo chiede tutto. Dio dona ogni cosa"

21° Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Letture: Gs 24,1-2.15-17.18; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
MONASTERO MARANGO CAORLE (VE)
1)E’ bene, di tanto in tanto, fermarsi per capire dove siamo, con chi stiamo camminando, dove siamo diretti, cosa vogliamo ottenere dal nostro viaggio.
E’ quello che ha fatto Giosuè, dopo aver introdotto il popolo nella Terra promessa. Questa non è certamente una
terra ‘tohu va vohu’, deserta e priva di forma, com’era all’inizio della creazione. In essa vi abitano popoli numerosi, ciascuno con la propria cultura e religione, con le proprie leggi e i propri eserciti. Ci sono città e campagne lavorate, vigne e oliveti che producono raccolti abbondanti.
Quando, per lunghi anni, il popolo ha soggiornato nel deserto, sotto le tende, più volte ha avuto nostalgia delle cipolle e delle pentole di carne bollita che mangiava in Egitto. Era la tentazione, molto diffusa anche oggi, di rinunciare alla faticosa ricerca della propria libertà, in cambio di una pigra soddisfazione di un bisogno immediato. Forse il popolo uscito dall’Egitto avrebbe preferito che il Signore lo avesse fatto perire di fame e di sete, piuttosto che avventurarsi dietro di lui lungo sentieri appena tracciati tra deserti aridi e inospitali. Spesso hanno mormorato, hanno sperimentato la loro durezza di cuore, hanno danzato davanti all’idolo, ma hanno proseguito il cammino. Il Signore ha sempre aperto per loro una strada, ha procurato loro il cibo per vivere, ha sconfitto davanti a loro nemici potenti. Ora abitano terre che non hanno lavorato, città che non hanno costruito, possono mangiare i frutti di vigne e oliveti che non avevano piantato.
Ora che abitano al sicuro sono afferrati da una tentazione ancora più grande, che è quella di vivere come se Dio non fosse. Nell’abbondanza, sovente l’uomo si dimentica di Dio. Pensa di essere lui stesso l’artefice della sua fortuna. Arriva a dire che Dio non c’è. «Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, guardati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dalla terra di Egitto, dalla condizione servile. Temerai il Signore, tuo Dio, e lo servirai» (Dt 6,11-13).
Proviamo a tradurre. Non possiamo tenere tutto insieme: la presunzione di vivere nella fede cattolica e l’essere asserviti all’idolo del denaro e del proprio interesse. Non possiamo tenere insieme l’osservanza formale dei comandamenti, almeno quelli che sono ritenuti da molti i più importanti – non uccidere, non rubare – e poi rubare la speranza di un futuro migliore a tanti fratelli piccoli che chiedono aiuto, o essere corresponsabili della loro morte, perché vuoi lasciarli affogare nel mare, senza tendere loro una mano amica.
Siamo giunti ad un punto in cui le posizioni devono essere nette: o di qua o di là. Il servizio di Dio o il servizio dell’idolo. Così hanno scritto recentemente due vescovi, veri pastori del loro gregge: “Sentiamo emergere più che mai l’interrogativo su che cosa significa, oggi, l’essere cristiani. Lo siamo davvero? Lo siamo nella maniera che ci è richiesta dal Vangelo o secondo un cristianesimo accomodante che ci siamo rimodellati sulle nostre ideologie o sulle nostre chiusure? Forse questo è il momento di verificare se abbiamo ‘il coraggio del Vangelo’, se l’essere discepoli di Gesù è un’esperienza che solo ci sfiora o che realmente ci penetra. Dobbiamo confessare che rimaniamo sconcertati di fronte alla deformazione di un cristianesimo professato a gran voce, e magari ‘difeso’ con decisione nelle sue tradizioni e nei suoi simboli, ma svuotato dell’attenzione ai poveri, agli ultimi; dunque svuotato del Vangelo, dunque svuotato di Cristo” ( G. Agostino Gardin, vescovo di Treviso e Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto).
E’ urgente che qualcuno, oggi, convochi una grande assemblea del popolo dei credenti, come ha fatto Giosuè a Sichem, e chieda a tutti, coraggiosamente:« Scegliete oggi chi volete servire: l’idolo dell’avere, del potere, dell’apparire, o il Signore, che ha fatto salire noi e i nostri padri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile?».
Chi non sceglie Cristo e il suo insegnamento, ha già scelto gli idoli.
Conosco la reazione di molti di fronte alla necessità di prendere posizioni nette, soprattutto quando veniamo disturbati nella nostra quiete, o sono messe in discussione le nostre certezze ideologiche, spesso semplice fotocopia delle arringhe violente e cariche di risentimento dei tribuni di turno. Qualcuno, recentemente, ha chiamato questi capipopolo “megafoni della paura degli altri”.
«Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
E’ duro credere che Gesù, all’apparenza uomo come noi, è il pane offerto gratuitamente  perché tutti possano ricevere la vita. Accettiamo con minor difficoltà il pane secco, venduto da altri a caro prezzo. E’ duro aderire alla proposta di una vita fondata sulla gratuità e sul dono, nonostante tutti i rifiuti, le contrarietà, e anche le minacce che si possono ricevere. Meglio farsi i propri affari, e guadagnarci pure sulle disgrazie degli altri. Noi giustifichiamo il nostro cristianesimo, ormai svuotato della sua forza rivoluzionaria, nascondendoci in una religiosità individualistica e priva di radicamento nella storia, nei suoi drammi e nelle sue ferite aperte. Il nostro è, spesso, un cristianesimo di evasione. La parola del Vangelo, letta con l’occhio disarmato e innocente dei bambini, ci scandalizza. Solo questa parola, quella che esce come spada affilata dalla bocca di Gesù, è “spirito e vita”. Quella di Gesù è una parola vera, che riempie il vuoto del cuore, lo risana, gli dona vigore e pienezza di vita.
Chi vogliamo servire? Un governatore che ritiene che la Chiesa debba interessarsi solo delle ‘anime’ (cioè di nessuno); un capopartito che alimenta l’intolleranza razziale e l’egoismo di molti; un burattinaio che fa teatro con le persone, come se fossero dei pagliacci? Domandiamoci: tutti costoro sono più veri, danno più sicurezza, mostrano un orizzonte più nobile e umanizzante di quello proposto da Gesù? Rispondendo, siamo liberi di scegliere.
Il vangelo dice che, sentendo la radicalità della parola di Gesù, «molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui». Non c’è problema. Ripeto: siamo liberi di scegliere.
Gesù insiste, guardando negli occhi ciascuno di noi che lo stiamo ascoltando: «Volete andarvene anche voi?». Lasciamo che questa domanda spacchi la durezza del nostro cuore, lo faccia sanguinare. Ricordiamoci che dalla parte di Gesù non troviamo soltanto lui: ci sono tutti i peccatori, i poveri, i derelitti, i profughi, tutti coloro che non sono amati, i condannati, gli uccisi, tutti i piccoli della terra.
Dall’altra parte ci sei solo tu, con le tue paure, con i tuoi idoli di carta, con i tuoi fantasmi che ti inseguono. Gli altri, quelli che fanno rumore, quelli che vogliono guadagnare sulle disgrazie degli altri, ti avranno già abbandonato. E i tuoi idoli, a poco a poco, ti inghiottiranno, con le loro fauci sempre aperte. L’idolo chiede tutto. Dio dona ogni cosa.
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».



Giorgio Scatto  

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