FIGLIE DELLA CHIESA LECTIO DIVINA "Esaltazione della Santa Croce"
Esaltazione della Santa Croce
Antifona d'ingresso
Di null’altro mai ci glorieremo
se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati. (cf. Gal 6,14)
Colletta
O Padre, che hai voluto salvare gli uomini
con la Croce del Cristo tuo Figlio,
concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra
il suo mistero di amore,
di godere in cielo i frutti della sua redenzione.
PRIMA LETTURA (Nm 21,4b-9)
Chiunque sarà stato morso e guarderà il serpente, resterà in vita.
Dal libro dei Numeri
In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero».
Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì.
Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo.
Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.
SALMO RESPONSORIALE (Sal 77)
Rit: Non dimenticate le opere del Signore!
Ascolta, popolo mio, la mia legge,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.
Aprirò la mia bocca con una parabola,
rievocherò gli enigmi dei tempi antichi.
Quando li uccideva, lo cercavano
e tornavano a rivolgersi a lui,
ricordavano che Dio è la loro roccia
e Dio, l’Altissimo, il loro redentore.
Lo lusingavano con la loro bocca,
ma gli mentivano con la lingua:
il loro cuore non era costante verso di lui
e non erano fedeli alla sua alleanza.
Ma lui, misericordioso, perdonava la colpa,
invece di distruggere.
Molte volte trattenne la sua ira
e non scatenò il suo furore.
SECONDA LETTURA (Fil 2,6-11)
Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.
Canto al Vangelo ()
Alleluia, alleluia.
Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo,
perché con la tua croce hai redento il mondo.
Alleluia.
VANGELO (Gv 3,13-17)
Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Preghiera sulle offerte
Ci purifichi, o Padre, da ogni colpa
il sacrificio del Cristo tuo Figlio,
che sull’altare della Croce espiò il peccato del mondo.
PREFAZIO
La croce albero della vita.
È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno.
Nell’albero della Croce
tu hai stabilito la salvezza dell’uomo,
perché donde sorgeva la morte
di là risorgesse la vita, e chi dall’albero traeva vittoria,
dall’albero venisse sconfitto,
per Cristo nostro Signore.
Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria,
le Dominazioni ti adorano,
le Potenze ti venerano con tremore.
A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini,
uniti in eterna esultanza.
Al loro canto concedi, o Signore,
che si uniscano le nostre umili voci
nell’inno di lode: Santo...
Oppure Prefazio della Passione del Signore I.
Antifona di comunione
“Quando sarò elevato da terra,
attirerò tutti a me”, dice il Signore. (Gv 12,32)
Oppure:
“Chi crede nel Figlio di Dio, non muore,
ma ha la vita eterna”, dice il Signore. (cf. Gv 3,16)
Preghiera dopo la comunione
Signore Gesù Cristo,
che ci hai nutriti alla mensa eucaristica,
fa’ che il tuo popolo,
redento e rinnovato dal sacrificio della Croce,
giunga alla gloria della risurrezione.
Lectio
La festa della Santa Croce è strettamente legata alla basilica costantiniana del Santo Sepolcro a Gerusalemme: secondo le antiche fonti il 14 settembre 320 fu esposta e adorata per la prima volta la reliquia della croce. In Oriente questa ricorrenza venne celebrata sempre con grande solennità. Il mistero celebrato è quello del Venerdì Santo: la croce di Cristo è il segno più alto dell’amore di Dio per l’umanità.
Nella prima lettura il popolo inveisce contro Dio e contro Mosè perché il viaggio sta diventando insopportabile, per la durata e per i disagi; il popolo disprezza addirittura il cibo offerto da Dio e rimpiange l’Egitto: la fatica del viaggio fa dimenticare il grido innalzato a Dio nella schiavitù, e la precarietà che il deserto impone rende addirittura desiderabile la precedente condizione di schiavitù, in cui almeno la sopravvivenza era garantita. Il narratore riferisce allora la punizione inflitta da Dio al popolo: l’invio di serpenti velenosi. L’aspetto singolare di questo episodio è che la calamità sarà superata solo da coloro che dimostreranno di confidare nella fedeltà di Dio: il Signore promette che chiunque “guarda” il serpente di bronzo vivrà. Lo stesso animale che provocava la morte, ora diventa simbolo di vita che per grazia è ridonata a coloro che si affidano al Dio di Israele. Non è il serpente a donare la vita, ma la grazia di Dio a coloro che, guardando il serpente, dimostrano di riporre la loro speranza non nelle proprie forze, ma nella misericordia di Dio.
v. 13:
È posta fine alla inaccessibilità di Dio mediante il fatto che il Figlio dell’uomo è disceso dal cielo attraverso il mistero dell’incarnazione del Signore. Ogni accessibilità che Dio ci concede è resa possibile dal mistero dell’incarnazione, dal suo farsi carne. Dunque, l’origine di Gesù è in Dio; di conseguenza ora Egli è il tramite indispensabile per accedere al mistero di Dio. L’opera di Dio in Gesù non ha tuttavia solo una finalità conoscitiva: essa è in grado di realizzare un’autentica trasformazione dell’essere umano, perché lo guarisce dalla sua distanza da Dio e lo rimette di nuovo in comunione con lui.
v. 14:
Il cammino del deserto, tra l’Egitto e la terra promessa, è diventato uno dei principali simboli biblici della vita umana. Esso è narrato come un “uscire da”, un “camminare attraverso” e un “entrare in”. Il luogo da cui si esce, l’Egitto, ha nella Bibbia senso di terra straniera, esilio, schiavitù, peccato. La meta dove si giunge, la terra di Canaan, è simbolo di terra promessa, luogo in cui Dio abita, vita di comunione con Dio. Il deserto è simbolo di condizione transitoria, tempo intermedio, cammino verso. Ora, questo luogo, tempo o condizione è segnato da ostacoli, ribellioni, disobbedienze, ma anche da conversione e aiuto divino. In questo contesto si colloca l’episodio del serpente. Nel significato biblico originale il serpente innalzato rappresentava il segno del perdono di Dio che ridona la comunione e quindi la vita a chi, dopo la ribellione, si pentiva e si rivolgeva con fiducia al Signore. La ribellione porta morte; tornare ad obbedire al Signore avendo fiducia in Lui come liberatore ridona la vita.
Anche il vangelo mette in evidenza la volontà salvifica di Dio, tuttavia il riferimento è al concreto innalzamento del Figlio dell’uomo, come mostra il verbo “bisogna” (dèi). C’è una condizione propria di Gesù ed è una condizione che Egli “deve” compiere: l’innalzamento. Questo vuol dire che la condizione di coloro che “devono” è condizione che li pone in grado di aprirsi al mistero stesso di Dio. Coloro per i quali si può dire che “devono”, che “bisogna” sono coloro che sono una cosa sola con il Signore, perché Gesù interpreta la loro condizione come condizione che lui ha avuto davanti a Dio.
Gesù risponde alle obiezioni di Nicodemo: la generazione per mezzo dello Spirito può avvenire solo come risultato della crocifissione, risurrezione e ascensione di Gesù. Il tema dell’innalzamento sarà ripreso dal quarto vangelo anche in 8,28 e 12,32-34, dove risalta maggiormente il collegamento tra innalzamento e morte in croce. Ma l’innalzamento cui Gesù si riferisce non implica solo la crocifissione: con la croce ha inizio un movimento che porta al definitivo innalzamento, cioè l’ascesa al Padre. La croce di Gesù, allora, non ci ottiene soltanto la remissione dei peccati, ma ci apre la strada per il ritorno alla comunione di vita con Dio. Se, attraverso l’incarnazione, Dio è entrato nel mondo e si è aperto il movimento di discesa di Dio verso l’uomo, ora, con l’innalzamento del Figlio dell’uomo, si opera il movimento di ascesa verso il Padre: in Gesù è aperta, per l’umanità, la via di ritorno alla comunione con Dio. Attraverso l’innalzamento di Gesù, Dio vuole attirare a sé l’umanità intera.
v. 16:
Dio ha amato il mondo. Secondo la visione della Bibbia c’è all’origine del mondo una benedizione di Dio. Quando Dio ha creato il mondo lo ha anche benedetto e quella benedizione voleva dire approvazione del mondo. Ora, questa benedizione non è stata ritirata, Dio non l’ha tolta nemmeno a causa del peccato: nemmeno la punizione del peccato, nemmeno l’esperienza del diluvio hanno cancellato questa benedizione originaria di Dio nei confronti del mondo e dell’uomo; anzi, la storia la si può descrivere proprio come rinnovato dono di questa benedizione. Quando Dio chiama Abramo e quindi lo sceglie, manifesta ancora la gratuità del suo amore, almeno nella concezione biblica. Abramo non viene chiamato perché migliore degli altri, ma perché Dio vuole benedire l’umanità. E quando Dio sceglie Israele il motivo è lo stesso. Se Dio sceglie Israele è per una gratuità assoluta del suo amore. Dio ha tanto amato il mondo da benedirlo fin dalle origini, nella creazione.
Per “mondo” non si deve intendere la creazione buona, santa e bella, ma l’umanità peccatrice, l’umanità ribelle, l’umanità che ha rifiutato Dio. Questo ‘mondo’ che gli era nemico, Dio lo ha amato e lo ha amato in un modo così serio da donare il suo Figlio unigenito.
Quando si dice che Dio ha donato il suo Figlio unigenito, il senso è che Dio ha donato se stesso nel suo Figlio, ha donato la ricchezza della sua vita e del suo amore. In Dio, amare e dare vengono a coincidere. Amare vuol dire dare. Il dare è il modo di essere di Dio. Se per il Figlio dell’uomo “bisogna”, per Dio si tratta di “dare”. Dal dare di Dio si misura il suo amare il mondo. Se consideriamo che il mondo è tutto ciò che si oppone a Dio, allora capiamo bene come, nei confronti di ciò che si oppone a lui, Dio si sia posto come colui che dà e che, nel suo Figlio, “si dà”, cioè dona se stesso.
v. 17:
In questo versetto ci viene dato il contenuto della nostra fede, che è questo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Il credere in lui è il credere all’amore con cui Dio ha amato il mondo. La fede ci porta a credere e a sapere il mondo amato fino al punto che Dio, per esso, ha donato suo Figlio. Il mondo quindi non è condannato; per questo mondo Dio non ha esitato a dare il suo Figlio unigenito.
La luce della risurrezione e dell’incarnazione illuminano la scena della crocifissione. Gesù è risorto e asceso al cielo perché di là lui era venuto. Allora, Gesù innalzato sulla croce non è un giustiziato, un abbandonato da Dio, ma è la manifestazione più grande dell’amore di Dio agli uomini. In Gesù Dio dona se stesso al mondo, dona la sua stessa vita, perché l’uomo possa essere fatto partecipe della vita divina, della comunione eterna con Dio.
Appendice
Anche se Gesù è venuto a fare entrambe le cose, a giudicare il mondo e a salvarlo, tuttavia l’una cosa avviene in virtù dell’altra. Infatti egli è venuto nel mondo per un giudizio, cioè per salvarlo (perché non lo salva per giudicarlo), come un medico si reca da un malato per guarirlo (Origene, Comm. a Gv fr. 41).
Il legno della vita è stato piantato nella terra perché questa, dapprima esecrata, ottenesse la benedizione ed i morti venissero liberati. Non vergogniamoci, allora, di confessare il Crocifisso. In qualsiasi occasione, con fede, tracciamo con le dita un segno di croce: quando mangiamo il pane o beviamo, quando entriamo o usciamo, prima di addormentarci, quando siamo coricati e quando ci alziamo, sia che siamo in movimento o rimaniamo al nostro posto. É un aiuto efficace: gratuito, per i poveri, e, per chi è debole, non richiede alcuno sforzo. Si tratta, infatti, d’una grazia di Dio: contrassegno dei fedeli e terrore dei demoni. Con questo segno, infatti, il Signore ha trionfato su di essi, esponendoli alla pubblica derisione (cf. Col 2,15). Allorché, dunque, vedranno la croce, essi si ricorderanno del Crocifisso ed avranno timore di colui che ha abbattuto le teste del dragone. Non disprezzare, perciò, quel segno, soltanto perché è un dono; al contrario, onora per questo ancor di più il tuo benefattore (Cirillo di Gerusalemme, Catech., 13,35-36).
Quantunque, poi, ogni azione e manifestazione del Cristo sia splendida, divina, meravigliosa: niente, tuttavia, fra tutte è più degna di ammirazione, che la croce, di per sé degna di ogni venerazione (Giovanni Damasceno, Sulla Fede ortodossa, 4, 11).
L’estremo dell’abbandono in cui si trova ridotto il perfetto servo di Dio (il Cristo, ndr) rivela, come sua ragion d’essere, un altro abbandono, quello del Padre che consegna se stesso a noi in colui che egli ci consegna, del Padre che si dona interamente a Cristo nell’atto stesso in cui Cristo si abbandona a lui. Il silenzio scandaloso di Dio sul Calvario, interrogato alla luce della Pasqua, diventa rivelazione: Dio si manifesta scomparendo nella morte di Cristo, si manifesta come l’interiorità di quell’evento di morte, come l’abbandono dell’amore assoluto che li fa passare l’uno nell’altro, come lo scambio di relazione e di dono che li costituisce, l’uno e l’altro, nel loro essere di Padre e di Figlio (J. Moingt, ‘Montre-nous le Père’ in RSR 65/2 p. 324).
Con Cristo … il mondo ha preso una nuova dimensione, la dimensione di quelli che danno la vita per coloro che amano. La croce è l’unità di misura di questa nuova dimensione umana che sconfina sull’Eterno: il crocifisso è la Presenza di questa nuova realtà; senza la quale non si capisce niente tutto diventa disumano, quaggiù … Che io lo voglia o no, la mia vita è legata al mio perdermi per coloro che amo. Chi perde la propria vita, la ritrova. La più illogica affermazione, la più folle pretesa urge nel mio cuore. L’amore di Cristo ci spinge … se riesco a capire questo nuovo aspetto della mia vita, dove il perdere è il solo guadagno vero che posso fare, non sono più povero. La povertà non è mancanza né di denaro, né di successo, ma l’impossibilità di spendermi, cioè la mancanza assoluta di amore. Se posso dare, sono ricco. Donando, mi apro un credito senza limiti su Dio stesso: dissuggello in me la sorgente che zampilla per la vita eterna. (…) Chi crede nella carità non esige l’uguaglianza, non vanta diritti, non è un defraudato, non porta alcun risentimento. Come il Crocifisso, tiene le braccia spalancate e il cuore aperto: può donare il perdono ai crocifissori e il Paradiso al Buon Ladrone (P. Mazzolari, Tempo di passione pp. 87-9).
Antifona d'ingresso
Di null’altro mai ci glorieremo
se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati. (cf. Gal 6,14)
Colletta
O Padre, che hai voluto salvare gli uomini
con la Croce del Cristo tuo Figlio,
concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra
il suo mistero di amore,
di godere in cielo i frutti della sua redenzione.
PRIMA LETTURA (Nm 21,4b-9)
Chiunque sarà stato morso e guarderà il serpente, resterà in vita.
Dal libro dei Numeri
In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero».
Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì.
Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo.
Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.
SALMO RESPONSORIALE (Sal 77)
Rit: Non dimenticate le opere del Signore!
Ascolta, popolo mio, la mia legge,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.
Aprirò la mia bocca con una parabola,
rievocherò gli enigmi dei tempi antichi.
Quando li uccideva, lo cercavano
e tornavano a rivolgersi a lui,
ricordavano che Dio è la loro roccia
e Dio, l’Altissimo, il loro redentore.
Lo lusingavano con la loro bocca,
ma gli mentivano con la lingua:
il loro cuore non era costante verso di lui
e non erano fedeli alla sua alleanza.
Ma lui, misericordioso, perdonava la colpa,
invece di distruggere.
Molte volte trattenne la sua ira
e non scatenò il suo furore.
SECONDA LETTURA (Fil 2,6-11)
Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.
Canto al Vangelo ()
Alleluia, alleluia.
Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo,
perché con la tua croce hai redento il mondo.
Alleluia.
VANGELO (Gv 3,13-17)
Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Preghiera sulle offerte
Ci purifichi, o Padre, da ogni colpa
il sacrificio del Cristo tuo Figlio,
che sull’altare della Croce espiò il peccato del mondo.
PREFAZIO
La croce albero della vita.
È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno.
Nell’albero della Croce
tu hai stabilito la salvezza dell’uomo,
perché donde sorgeva la morte
di là risorgesse la vita, e chi dall’albero traeva vittoria,
dall’albero venisse sconfitto,
per Cristo nostro Signore.
Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria,
le Dominazioni ti adorano,
le Potenze ti venerano con tremore.
A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini,
uniti in eterna esultanza.
Al loro canto concedi, o Signore,
che si uniscano le nostre umili voci
nell’inno di lode: Santo...
Oppure Prefazio della Passione del Signore I.
Antifona di comunione
“Quando sarò elevato da terra,
attirerò tutti a me”, dice il Signore. (Gv 12,32)
Oppure:
“Chi crede nel Figlio di Dio, non muore,
ma ha la vita eterna”, dice il Signore. (cf. Gv 3,16)
Preghiera dopo la comunione
Signore Gesù Cristo,
che ci hai nutriti alla mensa eucaristica,
fa’ che il tuo popolo,
redento e rinnovato dal sacrificio della Croce,
giunga alla gloria della risurrezione.
Lectio
La festa della Santa Croce è strettamente legata alla basilica costantiniana del Santo Sepolcro a Gerusalemme: secondo le antiche fonti il 14 settembre 320 fu esposta e adorata per la prima volta la reliquia della croce. In Oriente questa ricorrenza venne celebrata sempre con grande solennità. Il mistero celebrato è quello del Venerdì Santo: la croce di Cristo è il segno più alto dell’amore di Dio per l’umanità.
Nella prima lettura il popolo inveisce contro Dio e contro Mosè perché il viaggio sta diventando insopportabile, per la durata e per i disagi; il popolo disprezza addirittura il cibo offerto da Dio e rimpiange l’Egitto: la fatica del viaggio fa dimenticare il grido innalzato a Dio nella schiavitù, e la precarietà che il deserto impone rende addirittura desiderabile la precedente condizione di schiavitù, in cui almeno la sopravvivenza era garantita. Il narratore riferisce allora la punizione inflitta da Dio al popolo: l’invio di serpenti velenosi. L’aspetto singolare di questo episodio è che la calamità sarà superata solo da coloro che dimostreranno di confidare nella fedeltà di Dio: il Signore promette che chiunque “guarda” il serpente di bronzo vivrà. Lo stesso animale che provocava la morte, ora diventa simbolo di vita che per grazia è ridonata a coloro che si affidano al Dio di Israele. Non è il serpente a donare la vita, ma la grazia di Dio a coloro che, guardando il serpente, dimostrano di riporre la loro speranza non nelle proprie forze, ma nella misericordia di Dio.
v. 13:
È posta fine alla inaccessibilità di Dio mediante il fatto che il Figlio dell’uomo è disceso dal cielo attraverso il mistero dell’incarnazione del Signore. Ogni accessibilità che Dio ci concede è resa possibile dal mistero dell’incarnazione, dal suo farsi carne. Dunque, l’origine di Gesù è in Dio; di conseguenza ora Egli è il tramite indispensabile per accedere al mistero di Dio. L’opera di Dio in Gesù non ha tuttavia solo una finalità conoscitiva: essa è in grado di realizzare un’autentica trasformazione dell’essere umano, perché lo guarisce dalla sua distanza da Dio e lo rimette di nuovo in comunione con lui.
v. 14:
Il cammino del deserto, tra l’Egitto e la terra promessa, è diventato uno dei principali simboli biblici della vita umana. Esso è narrato come un “uscire da”, un “camminare attraverso” e un “entrare in”. Il luogo da cui si esce, l’Egitto, ha nella Bibbia senso di terra straniera, esilio, schiavitù, peccato. La meta dove si giunge, la terra di Canaan, è simbolo di terra promessa, luogo in cui Dio abita, vita di comunione con Dio. Il deserto è simbolo di condizione transitoria, tempo intermedio, cammino verso. Ora, questo luogo, tempo o condizione è segnato da ostacoli, ribellioni, disobbedienze, ma anche da conversione e aiuto divino. In questo contesto si colloca l’episodio del serpente. Nel significato biblico originale il serpente innalzato rappresentava il segno del perdono di Dio che ridona la comunione e quindi la vita a chi, dopo la ribellione, si pentiva e si rivolgeva con fiducia al Signore. La ribellione porta morte; tornare ad obbedire al Signore avendo fiducia in Lui come liberatore ridona la vita.
Anche il vangelo mette in evidenza la volontà salvifica di Dio, tuttavia il riferimento è al concreto innalzamento del Figlio dell’uomo, come mostra il verbo “bisogna” (dèi). C’è una condizione propria di Gesù ed è una condizione che Egli “deve” compiere: l’innalzamento. Questo vuol dire che la condizione di coloro che “devono” è condizione che li pone in grado di aprirsi al mistero stesso di Dio. Coloro per i quali si può dire che “devono”, che “bisogna” sono coloro che sono una cosa sola con il Signore, perché Gesù interpreta la loro condizione come condizione che lui ha avuto davanti a Dio.
Gesù risponde alle obiezioni di Nicodemo: la generazione per mezzo dello Spirito può avvenire solo come risultato della crocifissione, risurrezione e ascensione di Gesù. Il tema dell’innalzamento sarà ripreso dal quarto vangelo anche in 8,28 e 12,32-34, dove risalta maggiormente il collegamento tra innalzamento e morte in croce. Ma l’innalzamento cui Gesù si riferisce non implica solo la crocifissione: con la croce ha inizio un movimento che porta al definitivo innalzamento, cioè l’ascesa al Padre. La croce di Gesù, allora, non ci ottiene soltanto la remissione dei peccati, ma ci apre la strada per il ritorno alla comunione di vita con Dio. Se, attraverso l’incarnazione, Dio è entrato nel mondo e si è aperto il movimento di discesa di Dio verso l’uomo, ora, con l’innalzamento del Figlio dell’uomo, si opera il movimento di ascesa verso il Padre: in Gesù è aperta, per l’umanità, la via di ritorno alla comunione con Dio. Attraverso l’innalzamento di Gesù, Dio vuole attirare a sé l’umanità intera.
v. 16:
Dio ha amato il mondo. Secondo la visione della Bibbia c’è all’origine del mondo una benedizione di Dio. Quando Dio ha creato il mondo lo ha anche benedetto e quella benedizione voleva dire approvazione del mondo. Ora, questa benedizione non è stata ritirata, Dio non l’ha tolta nemmeno a causa del peccato: nemmeno la punizione del peccato, nemmeno l’esperienza del diluvio hanno cancellato questa benedizione originaria di Dio nei confronti del mondo e dell’uomo; anzi, la storia la si può descrivere proprio come rinnovato dono di questa benedizione. Quando Dio chiama Abramo e quindi lo sceglie, manifesta ancora la gratuità del suo amore, almeno nella concezione biblica. Abramo non viene chiamato perché migliore degli altri, ma perché Dio vuole benedire l’umanità. E quando Dio sceglie Israele il motivo è lo stesso. Se Dio sceglie Israele è per una gratuità assoluta del suo amore. Dio ha tanto amato il mondo da benedirlo fin dalle origini, nella creazione.
Per “mondo” non si deve intendere la creazione buona, santa e bella, ma l’umanità peccatrice, l’umanità ribelle, l’umanità che ha rifiutato Dio. Questo ‘mondo’ che gli era nemico, Dio lo ha amato e lo ha amato in un modo così serio da donare il suo Figlio unigenito.
Quando si dice che Dio ha donato il suo Figlio unigenito, il senso è che Dio ha donato se stesso nel suo Figlio, ha donato la ricchezza della sua vita e del suo amore. In Dio, amare e dare vengono a coincidere. Amare vuol dire dare. Il dare è il modo di essere di Dio. Se per il Figlio dell’uomo “bisogna”, per Dio si tratta di “dare”. Dal dare di Dio si misura il suo amare il mondo. Se consideriamo che il mondo è tutto ciò che si oppone a Dio, allora capiamo bene come, nei confronti di ciò che si oppone a lui, Dio si sia posto come colui che dà e che, nel suo Figlio, “si dà”, cioè dona se stesso.
v. 17:
In questo versetto ci viene dato il contenuto della nostra fede, che è questo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Il credere in lui è il credere all’amore con cui Dio ha amato il mondo. La fede ci porta a credere e a sapere il mondo amato fino al punto che Dio, per esso, ha donato suo Figlio. Il mondo quindi non è condannato; per questo mondo Dio non ha esitato a dare il suo Figlio unigenito.
La luce della risurrezione e dell’incarnazione illuminano la scena della crocifissione. Gesù è risorto e asceso al cielo perché di là lui era venuto. Allora, Gesù innalzato sulla croce non è un giustiziato, un abbandonato da Dio, ma è la manifestazione più grande dell’amore di Dio agli uomini. In Gesù Dio dona se stesso al mondo, dona la sua stessa vita, perché l’uomo possa essere fatto partecipe della vita divina, della comunione eterna con Dio.
Appendice
Anche se Gesù è venuto a fare entrambe le cose, a giudicare il mondo e a salvarlo, tuttavia l’una cosa avviene in virtù dell’altra. Infatti egli è venuto nel mondo per un giudizio, cioè per salvarlo (perché non lo salva per giudicarlo), come un medico si reca da un malato per guarirlo (Origene, Comm. a Gv fr. 41).
Il legno della vita è stato piantato nella terra perché questa, dapprima esecrata, ottenesse la benedizione ed i morti venissero liberati. Non vergogniamoci, allora, di confessare il Crocifisso. In qualsiasi occasione, con fede, tracciamo con le dita un segno di croce: quando mangiamo il pane o beviamo, quando entriamo o usciamo, prima di addormentarci, quando siamo coricati e quando ci alziamo, sia che siamo in movimento o rimaniamo al nostro posto. É un aiuto efficace: gratuito, per i poveri, e, per chi è debole, non richiede alcuno sforzo. Si tratta, infatti, d’una grazia di Dio: contrassegno dei fedeli e terrore dei demoni. Con questo segno, infatti, il Signore ha trionfato su di essi, esponendoli alla pubblica derisione (cf. Col 2,15). Allorché, dunque, vedranno la croce, essi si ricorderanno del Crocifisso ed avranno timore di colui che ha abbattuto le teste del dragone. Non disprezzare, perciò, quel segno, soltanto perché è un dono; al contrario, onora per questo ancor di più il tuo benefattore (Cirillo di Gerusalemme, Catech., 13,35-36).
Quantunque, poi, ogni azione e manifestazione del Cristo sia splendida, divina, meravigliosa: niente, tuttavia, fra tutte è più degna di ammirazione, che la croce, di per sé degna di ogni venerazione (Giovanni Damasceno, Sulla Fede ortodossa, 4, 11).
L’estremo dell’abbandono in cui si trova ridotto il perfetto servo di Dio (il Cristo, ndr) rivela, come sua ragion d’essere, un altro abbandono, quello del Padre che consegna se stesso a noi in colui che egli ci consegna, del Padre che si dona interamente a Cristo nell’atto stesso in cui Cristo si abbandona a lui. Il silenzio scandaloso di Dio sul Calvario, interrogato alla luce della Pasqua, diventa rivelazione: Dio si manifesta scomparendo nella morte di Cristo, si manifesta come l’interiorità di quell’evento di morte, come l’abbandono dell’amore assoluto che li fa passare l’uno nell’altro, come lo scambio di relazione e di dono che li costituisce, l’uno e l’altro, nel loro essere di Padre e di Figlio (J. Moingt, ‘Montre-nous le Père’ in RSR 65/2 p. 324).
Con Cristo … il mondo ha preso una nuova dimensione, la dimensione di quelli che danno la vita per coloro che amano. La croce è l’unità di misura di questa nuova dimensione umana che sconfina sull’Eterno: il crocifisso è la Presenza di questa nuova realtà; senza la quale non si capisce niente tutto diventa disumano, quaggiù … Che io lo voglia o no, la mia vita è legata al mio perdermi per coloro che amo. Chi perde la propria vita, la ritrova. La più illogica affermazione, la più folle pretesa urge nel mio cuore. L’amore di Cristo ci spinge … se riesco a capire questo nuovo aspetto della mia vita, dove il perdere è il solo guadagno vero che posso fare, non sono più povero. La povertà non è mancanza né di denaro, né di successo, ma l’impossibilità di spendermi, cioè la mancanza assoluta di amore. Se posso dare, sono ricco. Donando, mi apro un credito senza limiti su Dio stesso: dissuggello in me la sorgente che zampilla per la vita eterna. (…) Chi crede nella carità non esige l’uguaglianza, non vanta diritti, non è un defraudato, non porta alcun risentimento. Come il Crocifisso, tiene le braccia spalancate e il cuore aperto: può donare il perdono ai crocifissori e il Paradiso al Buon Ladrone (P. Mazzolari, Tempo di passione pp. 87-9).
Commenti
Posta un commento