P. Ermanno Rossi O.P. "C'erano delle persone che, nel “nome” di Gesù, compivano prodigi”

XXVI Domenica Ordinaria – Anno B
(Mc 9,38-43.45.47-48)
 Il dialogo tra l'apostolo Giovanni e Gesù è generato da un episodio singolare: un uomo, pur non essendo del seguito di Gesù, scaccia i demoni nel suo nome. Gli apostoli ne restano infastiditi - quasi usurpasse un diritto riservato a
loro - e glielo vietano. Venuto a conoscenza della cosa Gesù li disapprova: fa loro notare che chi opera prodigi nel suo nome sta già dalla sua parte; anzi, il non mettersi contro di Lui è già stare con Lui.
Quando Marco scrive il Vangelo, la comunità cristiana vive situazioni simili: «… C'erano delle persone che, nel “nome” di Gesù, cioè nella potenza del suo Spirito, compivano prodigi”. Questo fatto era causa di discordia. “Ciò che turbava la chiesa (gerarchica?) era il fatto che queste persone stavano ai margini (o forse erano emarginate) dell'istituzione ecclesiale, e non seguivano quello strano “noi” ben costituito, come qui i discepoli si definiscono (v.38)…»[1].
Il problema non è di poco conto. Marco porta, perciò, il suo contributo riferendo il dialogo avvenuto tra Gesù e Giovanni.
Per comprendere bene il pensiero dell'evangelista, occorre chiarire il motivo profondo delle perplessità.
Il vero motivo per cui si vuol impedire, a quel discepolo “libero”, di operare è “perché non segue noi” (v. 38). La stessa cosa si verifica- in generale, a chi opera il bene fuori del circuito della chiesa istituzionale. Ora - da tutto il Vangelo di Marco - è chiaro, invece, che l'unico da seguire è Gesù: nessun discepolo a sua volta diventa Maestro, ma resta sempre discepolo, “dietro a Gesù” (cf v. 8,34), alla sequela di Gesù, l'unico Maestro. Non dice, infatti, Gesù:  Voi non fatevi rabbì - cioè maestri - perché uno solo è il Vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 8)? Può sembrare una distinzione sottile; in realtà è una distinzione importante. Come non ricordare le altre parole di Gesù: “Chi vuol venire dietro a me”, “perderà la vita per me e per il Vangelo”, “non si vergognerà di me e delle mie parole” (Mc 8, 34.35.38)[2].
«Il termine di confronto della sequela non siamo, (dunque), noi, ma è il suo “nome” (v.39): gli altri devono seguire solo Lui, che anche noi tutti dobbiamo seguire. Per tutte le nostre azioni l'unico segno di autenticità, di appartenenza al regno è il sigillo del suo nome. Esso deve essere impresso su tutti i discepoli, che devono seguire l'unico Maestro e Signore senza parlare male, cioè vergognarsi di Lui, ossia testimoniandolo (cf 8, 38)»[3].
«Dietro l'iniziativa degli apostoli non è difficile scoprire quel meschino spirito di gruppo, di intolleranza verso chi non la pensa come noi, di concorrenza verso altri gruppi, così frequente nel mondo. E' un atteggiamento che spesso si maschera di amore per la causa di Dio e per l'integrità della fede; ma in realtà, dietro questo zelo apparente si nascondono chiusura ai disegni di Dio, pretesa di possedere l'esclusiva dei suoi doni, orgoglio e presunzione spirituale, tutte cose che fanno mal vedere la fede cristiana ed ostacolano quel bene che Dio vorrebbe fare attraverso noi.
Quanto diverso, invece, è l'atteggiamento di Gesù! Egli gioisce per la grande liberalità con cui l'amore del Padre celeste distribuisce i suoi doni sulla terra e porta a compimento il piano della salvezza.
Egli vede questa azione del Padre in tutte le iniziative di bene promosse dalle persone di buona volontà; anzi, considera come alleati ed amici suoi tutti quegli uomini che lottano contro il male e lavorano, tante volte senza rendersene conto, per l'attuazione del regno di Dio.
Dobbiamo cercare di acquistare anche noi questa larghezza di mente e di cuore. Certamente non saremo mai abbastanza riconoscenti al Padre celeste per i tesori inestimabili di luce e di grazia che Egli ci ha donato attraverso Gesù. Questa consapevolezza, però, dovremmo custodirla e testimoniarla sempre con una profonda umiltà e sapendo riconoscere nello stesso tempo l'azione di Dio ed i suoi doni in tutto il bene, in tutto il positivo che scopriamo attorno a noi.
Gesù qui ci chiede un amore capace di farsi dialogo, cioè un amore che, lungi dal chiudersi orgogliosamente nel proprio recinto, sappia aprirsi verso tutti e collaborare con tutte le persone di buona volontà per costruire insieme la pace e l'unità nel mondo.
Cerchiamo, dunque, di aprire gli occhi sui prossimi che incontriamo per ammirare il bene che operano, qualsiasi siano le loro convinzioni; per sentirci solidali con loro e incoraggiarci a vicenda nella via della giustizia e dell'amore»[4].

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