padre Ermes Ronchi" Se la profezia è mettersi in ascolto"

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48 
«Maestro, quel­l’uomo non è dei no­stri... Non importa se è bra­vo, fa miracoli e dalle sue mani germoglia vita. Ci o­scura, ci toglie pubblico, viene da un’altra storia, dobbiamo difendere la no­stra». L’istituzione prima di tutto, l’appartenenza prima del miracolo, l’ideologia prima della verità.
La risposta di Gesù, l’uomo senza barriere, è di
quelle che possono segnare una svolta della storia: gli uo­mini sono tutti dei nostri, come noi siamo di tutti. Pri­ma di tutto l’uomo. «Quan­do un uomo muore, non domandarti per chi suona la campana: essa suona sempre un poco anche per te» (John Donne). Tutti so­no dei nostri. Tutti siamo 'uno' in Cristo Gesù. Anzi, si può essere di Cristo an­che senza appartenere alla sua istituzione, perché la Chiesa è strumento del Re­gno, ma non coincide con il Regno di Dio, che ha altri confini.
Compito dei discepoli non è classificare l’altro, ma a­scoltarlo. Profeta è chi ascolta il soffio della prima­vera dello Spirito, che non sai da dove viene, che non conosce la polvere degli scaffali, la polvere delle fra­si già fatte, delle musiche già imparate. Ascoltare la sinfonia del gemito di un bambino: anche questa è profezia. Imparare a senti­re e a lasciarsi ferire dal gri­do dei mietitori defraudati ( Gc 5,4): anche questa è profezia. Ascoltare il mon­do e ridargli parola, perché tutto ciò che riguarda l’av­ventura umana riguarda me: «sono un uomo e nul­la di ciò che è umano mi è estraneo» (Terenzio).
Ma l’annuncio di Gesù è ancora più coraggioso: ti porta dal semplice non sen­tirti estraneo al gettarti den­tro: dentro il grido dei mie­titori, dentro lo Spirito dei profeti. Ti porta a vivere molte vite, storie d’altri co­me fossero le tue. Ti darò cento fratelli, dice, cento cuori su cui riposare, cento labbra da dissetare, cento bocche che non sanno gri­dare, di cui sarai voce.
Il Vangelo termina con pa­role dure: «Se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti scandalizzano, tagliali, get­tali via». Vangelo delle cica­trici, ma luminose, perché le parole di Gesù non sono l’invito a un’inutile auto­mutilazione, sono invece un linguaggio figurato, in­cisivo, per trasmettere la se­rietà con cui si deve pensa­re alle cose essenziali. An­che perdere ciò che ti è pre­zioso, come la mano e l’oc­chio, non è paragonabile al danno che deriva dall’aver sbagliato la vita. Ci invita il Signore a temere di più una vita fallita che non le ferite dolorose della vita.

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