P. Ermanno Rossi O.P"Che significa vivere la sequela di Cristo"

XXIX Domenica Ordinaria – Anno B (Mc 10, 35-45)
Il capitolo decimo del Vangelo di Marco - che stiamo leggendo in queste settimane - tenta, da una
parte, di chiarire ulteriormente il concetto di sequela del Cristo; e, dall'altra, di applicarla a tre situazioni che per la comunità primitiva erano di grande importanza: il matrimonio, la ricchezza e l'autorità. Che significa vivere la sequela di Cristo nel matrimonio, nell'uso delle ricchezze, in una posizione di autorità? Questo interrogativo è di grande attualità anche per noi. Oggi Marco affronta il problema dell’autorità.
Egli ha appena riportato la terza predizione di Gesù sulla sua morte e risurrezione: “Il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà”(10, 32-34).
Ebbene, dopo una descrizione così viva e puntuale, i discepoli non solo non rimangono sconcertati, ma si avventurano in una gara di vanità a chi sarà il primo nel regno dei cieli.
Allora Gesù, con grande pazienza, precisa qual è lo statuto del suo regno: l'unica condizione per l'avanzamento è la partecipazione al suo destino di umiliazione, di sofferenza e di morte violenta (10, 38): «Siete voi pronti - chiede loro - a bere il calice che io bevo o essere battezzati col battesimo con cui io sono battezzato?».
Si tratta del calice della collera di Dio, cioè del suo giudizio di rovina sul peccato dei popoli (cf Gr 25, 15); Ez 23, 32-34). Ora Gesù solidarizza con questo destino di peccato dell’umanità. Egli berrà questo calice sino alla feccia. La coppa che egli farà circolare tra gli amici nella cena di addio, prima della morte, richiamerà questo impegno di solidarietà con l'umanità peccatrice.
I due discepoli - con la stessa disinvoltura con la quale avevano avanzato lo loro domanda - si dichiararono pronti a condividere il destino di Gesù (10, 39).
Ma la domanda - che, come abbiamo visto, irrita gli altri discepoli - dà a Gesù l'occasione di precisare il significato e il valore dei ruoli nella comunità cristiana (10, 41-45). Così Gesù ha l’occasione per presentare il nuovo tipo di autorità, valido per la comunità cristiana.
Prima di tutto egli esclude che l’autorità si esprima come potere e dominio sugli altri. Questo tipo di autorità noi lo conosciamo bene, perché è continuamente sotto i nostri occhi. Poi propone il tipo di autorità che lui desidera.
Per rendere chiaro il suo pensiero, Gesù adopera immagini e modelli sociali inequivocabili per il suo tempo: il servo e lo schiavo.
Chi é realmente senza ruolo e senza prestigio nella società - come lo sono gli schiavi e i servi - e veramente serve gli altri, questi esercita l'autorità come Gesù la vuole. Sono questi i grandi e i primi nella comunità che si ispira al Vangelo (10, 43).E qui Gesù propone se stesso come modello: «Perché lo stesso Figlio dell'uomo é venuto non per essere servito ma per servire…» (10, 45). Egli è il Servo Sofferente di Jahweh di cui parla Isaia, l’agnello condotto al macello, sacrificato per i nostri peccati.
Noi dobbiamo ispirarci a questo modello nel portare avanti le responsabilità che ci sono affidate, in tutti gli ambienti in cui operiamo. E' l'autorità di servizio che nasce da una condivisione piena della situazione dell'altro. E' un’utopia? Sconvolgerebbe, forse, gli assetti della società? O non, piuttosto, la ordinerebbe a misura di uomo, nella fraternità e nel servizio? Il Vangelo é l’unico codice capace di trasformare la società in una convivenza di fratelli che si aiutano reciprocamente.

Oggi in tutte le chiese della cristianità si celebra la Giornata missionaria.
Dopo la pubblicazione del documento Dominus Jesus - a firma del Card. Ratzinger -, sulla stampa nazionale si è scatenato un dibattito sul ruolo della fede in Gesù. Molti si sono scandalizzati di  questa affermazione: il Cristo è l’unico Salvatore e Mediatore dell’uomo di tutti i tempi. Ma noi sappiamo bene che questa è una verità incontrovertibile. E’ chiaro che chi senza propria colpa non arriva alla fede può salvarsi, ma sempre per i meriti di Gesù. Egli viene giudicato in base alla adesione ai dettami della sua coscienza. Ma rimane vero che solo per Cristo e attraverso di Cristo l’uomo di tutti i tempi potrà salvarsi.
Da qui l’urgenza di far arrivare la buona novella più al largo possibile e di aiutare in tutti i modi i missionari del Vangelo. E’ quello che noi ci proponiamo con la Giornata Missionaria mondiale.

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