Don Giorgio Scatto "In ogni avvenimento del presente ci giochiamo il nostro futuro

MONASTERO MARANGO
33° Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Letture : Dn 12,1-3; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32
In ogni avvenimento del presente ci giochiamo il nostro futuro
1«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la
luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte».
Il genere letterario usato da Marco in questo capitolo del suo vangelo è quello escatologico-apocalittico.
L’escatologia pone domande sulle realtà ultime, definitive, su ciò che troveremo “alla fine”.
Apocalisse deriva da un verbo che significa “sollevare il velo” che impedisce di vedere la verità delle cose.
Ambedue le prospettive cercano di leggere la storia, senza tuttavia fermarsi al presente, spesso segnato da oscurità, ma guardano al futuro, che rimane sempre aperto ad una inattesa novità, posta tutta nelle mani di Dio.
In tempi particolarmente drammatici, che sembrano contraddire in modo brutale il disegno di Dio sul mondo, ci si chiede “come andrà a finire”. Si vorrebbe sollevare in fretta questa pesante tenda che ci impedisce di vedere “al di là” delle cose; si vorrebbe abbattere un muro che ci imprigiona dentro un presente diventato ormai insopportabile.
Mentre l’escatologia ha una visione della realtà futura grandiosa, ma sempre discreta, l’apocalittica è quasi ossessionata dal “come” e dal “quando”: vuole saper ad ogni costo come si manifesteranno i tempi della fine, e quando tutto ciò avverrà. Usa immagini stupefacenti e si compiace di esasperare i toni drammatici, a mettere in scena elementi catastrofici e terrificanti. Tutto questo per dirci che, sollevato il velo della storia presente, Dio si rivelerà in tutta la sua potenza e gloria. La pazienza delle lunghe attese non viene messa in conto, e si perde molto tempo a fantasticare sui segni premonitori della fine. Questo ci rende come statue di sale, incapaci di vedere realmente il futuro, del tutto inerti e inutili nella edificazione del Regno.

Ai discepoli che chiedono dell’imminenza della fine – “quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi” – Gesù risponde innanzitutto che non bisogna lasciarsi ingannare dai falsi messia o dalle tribolazioni del tempo presente. Guerre, terremoti, carestie, non sono i segni della fine imminente, quanto piuttosto “l’inizio dei dolori del parto” (Mc 13,8). Dalle macerie di un mondo che ha distrutto se stesso sta nascendo una umanità nuova.
Questo avvertimento a non lasciarsi fuorviare non è tutto. Il discepolo non può guardare alla storia degli uomini come se fosse un semplice spettatore di eventi che non lo riguardano. Il discepolo di Gesù è chiamato a entrare nel “mistero dell’iniquità” coinvolgendosi in modo particolare: «Comparirete davanti a governatori e re per causa mia». I discepoli dovranno portare la responsabilità del Vangelo, che sarà «proclamato a tutte le nazioni». Non dovranno aver paura di nulla, perché saranno sostenuti in ogni circostanza dallo Spirito santo. Sperimenteranno la divisione e l’odio, anche all’interno della loro famiglia, a causa del nome di Gesù. Anche questi segni non sono i segni di una fine, come se la comunità dei discepoli dovesse soccombere sotto il peso di forze avverse, quanto piuttosto l’inizio di un tempo nuovo. Papa Giovanni soleva ripetere a quanti vedevano solo rovine e minacce per la Chiesa: «Tantum aurora est: è solo l’inizio di un nuovo giorno».

«Quando vedrete l’abominio della desolazione presente là dove non è lecito – chi legge, comprenda -,  allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti».
Gesù vuole ancora una volta ricordare ai discepoli che il tempio, nel quale essi continuavano a confidare – guarda che pietre e che costruzioni! – sia stato molte volte profanato, non solo dalla violenza di dominatori stranieri, ma dagli stessi capi religiosi, che ne hanno fatto un luogo di mercato e una incredibile copertura per occultare i loro loschi interessi. I mercanti del tempio sono la prima causa della sua rovina. Ed è una triste realtà, che ammorba l’aria fino ai nostri giorni. Non ne possiamo più.
Sono questi i segni inequivocabili di una fine imminente? Non lo credo. Dobbiamo solo fuggire, prendere le distanze, senza voltarci indietro, senza possibilità di cercare giustificazioni religiose e senza rimpianti. Il segno annunciato (l’abominio della desolazione nel cuore stesso dell’istituzione religiosa) non si contempla, si evita, si fugge e basta.

«Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria».
Questo non è uno dei segni della fine, ma la fine stessa. La storia non è destinata a perire miseramente, in un’esplosione di fuochi d’artificio, ma a ritrovare in Cristo il suo senso e il suo orientamento. I segni che sono letti dai più come segni di una fine imminente (carestie, guerre, disordine, profanazione della religione) appartengono alla realtà della storia che viviamo. Dicono di una umanità lacerata, che genera odio, violenza, distruzione. Ciò è sotto gli occhi di tutti. Il segno del Figlio dell’uomo, il crocifisso glorificato, è la vera novità della storia, il fine verso il quale essa tende. Attorno a lui verrà radunata una nuova umanità «dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo».

«Dalla pianta del fico imparate la parabola».
Sembra che Gesù voglia dire: «Siate prudenti e avveduti, come il contadino che veglia sul suo campo».
C’è un forte richiamo all’attesa vigilante, che esclude sia l’impazienza che la rinuncia, le fughe in avanti quanto la triste prigionia nel passato. Ogni istante è un tempo di grazia, un momento importante per prendere una decisione, per dare una risposta, senza rimanere in balìa di catastrofiche previsioni. In ogni avvenimento del presente ci giochiamo il nostro futuro.
La fine è presente in ogni inizio. Ogni seme contiene in sé anche il frutto.

Giorgio Scatto      

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