P. Ermanno Rossi O.P.“Varcare la soglia della speranza”
XXXII Domenica Ordinaria – Anno B (Mc 12, 38-44)
La liturgia della parola ci presenta, oggi, due vedove povere e abbandonate, ma piene di fede e di generosità - l'una pagana, l'altra ebrea -; e due personaggi
eccezionali: Elia e Gesù. La loro fedeltà a Dio arriva fino al dono totale di quanto possiedono, vita compresa. Di contro a questa bontà, c’è la cattiveria di un re – quello che cerca Elia per ucciderlo -, e la cupidigia di scribi e farisei divoratori delle case delle vedove.
Scrive H. Urs von Balthassar:
«La storia d’Elia e della vedova di Sarepta mostra tutta la grandezza dell'Antico Patto. Si tratta di un'obbedienza per la vita e per la morte. Il profeta pretende dalla donna quel poco che ancora le rimane per preparare un ultimo misero pasto, per sé e per suo figlio, e poi morire. Elia pretende questa cosa estrema da lei non con cattiveria. Comincia [col dire] “non temere”, le parole che Dio usa tanto spesso con le persone spaventate, quando rivolge ad esse un comando»[2].
«Disse l'angelo a Maria: “Non aver paura” - nota il Papa nel suo libro-intervista “Varcare la soglia della speranza” -. Lo stesso a Giuseppe: “Non aver paura”. Cristo diceva così agli apostoli, in specie a Pietro: “Non aver paura!”. Sentiva, infatti, che avevano paura. Ebbero paura quando venne arrestato, ebbero ancora più paura quando, risorto, apparve loro»[3].
«L'episodio della povera vedova nel Vangelo è in Marco e Luca il punto supremo conclusivo dei discorsi e delle azioni di Gesù, prima della “piccola Apocalisse” e della storia della passione. Qui ha luogo un'ultima decisione. I ricchi gettano del loro superfluo nel tesoro, il che non significa per essi nessuna perdita e li distingue davanti agli uomini (…). La vedova getta, con le due piccole monete, tutto il sostentamento della sua vita; ella lo fa liberamente e senza che nessuno, tranne, Dio lo noti: in questo, ella supera ancora l'azione della donna veterotestamentaria. Non viene scambiata nessuna parola, neppure tra lei e Gesù, ma Gesù la presenta come esempio in conclusione a tutti i suoi insegnamenti…»[4].
Ma c'è un altro aspetto di questa situazione. Lo espone Khalil Gibran, profeta:
«Vi sono alcuni che danno poco del molto che hanno e per essere ricambiati, e questo desiderio segreto avvelena il loro dono.
«Vi sono altri che hanno poco e lo danno tutto. Essi credono nella vita e nella sua generosità, e le loro mani non sono mai vuote. C'è chi dà con gioia, e questa gioia è la sua ricompensa.
«C'è chi dà con rimpianto, e questo rimpianto lo rattrista.
«E c'è chi dà senza provare né rimpianto né gioia, inconsapevole della propria virtù; costoro sono come il mirto laggiù nella valle, che sparge nell'aria il suo profumo. Attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra.
«E' bene dare se ci chiedono, ma è meglio capire quando non ci chiedono nulla; e - per chi è generoso - cercare chi riceverà il dono è una gioia più grande del dono stesso.
«Che cosa vorresti mai trattenere? Tutto quanto possiedi sarà dato un giorno. Per questo dà oggi, perché la stagione dei doni sia tua e non dei tuoi eredi.
«Si dice spesso: “Vorrei dare, ma soltanto a quelli che lo meritano”.
«Non fanno così le piante del tuo orto, né le greggi del tuo pascolo. Esse danno per vivere, perché tenere è morire.
«Senza dubbio colui che è degno di ricevere i suoi giorni e le sue notti, è degno di ricevere tutto da te.
«E chi ha meritato di bere all'oceano della vita merita di dissetarsi al tuo ruscello».
La liturgia della parola ci presenta, oggi, due vedove povere e abbandonate, ma piene di fede e di generosità - l'una pagana, l'altra ebrea -; e due personaggi
eccezionali: Elia e Gesù. La loro fedeltà a Dio arriva fino al dono totale di quanto possiedono, vita compresa. Di contro a questa bontà, c’è la cattiveria di un re – quello che cerca Elia per ucciderlo -, e la cupidigia di scribi e farisei divoratori delle case delle vedove.
Scrive H. Urs von Balthassar:
«La storia d’Elia e della vedova di Sarepta mostra tutta la grandezza dell'Antico Patto. Si tratta di un'obbedienza per la vita e per la morte. Il profeta pretende dalla donna quel poco che ancora le rimane per preparare un ultimo misero pasto, per sé e per suo figlio, e poi morire. Elia pretende questa cosa estrema da lei non con cattiveria. Comincia [col dire] “non temere”, le parole che Dio usa tanto spesso con le persone spaventate, quando rivolge ad esse un comando»[2].
«Disse l'angelo a Maria: “Non aver paura” - nota il Papa nel suo libro-intervista “Varcare la soglia della speranza” -. Lo stesso a Giuseppe: “Non aver paura”. Cristo diceva così agli apostoli, in specie a Pietro: “Non aver paura!”. Sentiva, infatti, che avevano paura. Ebbero paura quando venne arrestato, ebbero ancora più paura quando, risorto, apparve loro»[3].
«L'episodio della povera vedova nel Vangelo è in Marco e Luca il punto supremo conclusivo dei discorsi e delle azioni di Gesù, prima della “piccola Apocalisse” e della storia della passione. Qui ha luogo un'ultima decisione. I ricchi gettano del loro superfluo nel tesoro, il che non significa per essi nessuna perdita e li distingue davanti agli uomini (…). La vedova getta, con le due piccole monete, tutto il sostentamento della sua vita; ella lo fa liberamente e senza che nessuno, tranne, Dio lo noti: in questo, ella supera ancora l'azione della donna veterotestamentaria. Non viene scambiata nessuna parola, neppure tra lei e Gesù, ma Gesù la presenta come esempio in conclusione a tutti i suoi insegnamenti…»[4].
Ma c'è un altro aspetto di questa situazione. Lo espone Khalil Gibran, profeta:
«Vi sono alcuni che danno poco del molto che hanno e per essere ricambiati, e questo desiderio segreto avvelena il loro dono.
«Vi sono altri che hanno poco e lo danno tutto. Essi credono nella vita e nella sua generosità, e le loro mani non sono mai vuote. C'è chi dà con gioia, e questa gioia è la sua ricompensa.
«C'è chi dà con rimpianto, e questo rimpianto lo rattrista.
«E c'è chi dà senza provare né rimpianto né gioia, inconsapevole della propria virtù; costoro sono come il mirto laggiù nella valle, che sparge nell'aria il suo profumo. Attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra.
«E' bene dare se ci chiedono, ma è meglio capire quando non ci chiedono nulla; e - per chi è generoso - cercare chi riceverà il dono è una gioia più grande del dono stesso.
«Che cosa vorresti mai trattenere? Tutto quanto possiedi sarà dato un giorno. Per questo dà oggi, perché la stagione dei doni sia tua e non dei tuoi eredi.
«Si dice spesso: “Vorrei dare, ma soltanto a quelli che lo meritano”.
«Non fanno così le piante del tuo orto, né le greggi del tuo pascolo. Esse danno per vivere, perché tenere è morire.
«Senza dubbio colui che è degno di ricevere i suoi giorni e le sue notti, è degno di ricevere tutto da te.
«E chi ha meritato di bere all'oceano della vita merita di dissetarsi al tuo ruscello».
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