Don Giorgio Scatto "Natale del Signore"

Natale del Signore
Letture: Is 9,1-3.5-6; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
MONASTERO MARANGO,
A Natale iniziamo un pellegrinaggio di fede e di amore
1)Non siamo una società senza Dio. Anzi, ce ne siamo fabbricati fin troppi, ciascuno secondo la propria immagine e il proprio desiderio. Abbiamo solo il bisogno di discernere quale sia quello vero.
In un mondo dove la tolleranza è diventata in-differenza; dove il senso della festa lo si vive circondandosi di bisogni artificialmente creati dal mercato; dove la festività dell’incarnazione del Figlio di Dio è stata ormai rimpiazzata dalla “festa
d’inverno” o da una più rassicurante “festa delle luci”, e non si osa più nominare il nome del bambino Gesù, per non disturbare chi potrebbe avere sentimenti e attese diverse dalle nostre, abbiamo bisogno, prima di tutto noi cristiani, di riscoprire il senso vero del Natale. Magari festeggiandolo in altra data.
Il Natale celebra innanzitutto il fatto che «il Verbo di Dio si è fatto carne». Leggiamo infatti: «E’ apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà».
Domandiamoci però: quale Dio si incarna e si rivela in Gesù? Credo che sia importante rispondere per non confondere questo «bambino nato per noi» con un «dio» qualsiasi, frutto delle nostre ambizioni, fantasie o paure, che nulla hanno a che vedere con l’esperienza di Dio vissuta e comunicata da Gesù. Nella confusione dei linguaggi religiosi, anche all’interno dell’esperienza cristiana, è giunto il tempo di apprendere, partendo da Gesù di Nazareth, com’è il volto di Dio, come ci cerca, cosa desidera veramente da ciascuno di noi.

«Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo».
Quale gioia si desterebbe in molti se potessero intuire in Gesù i tratti del vero Dio! Isaia profetizza una gioia paragonabile a ciò che prova il lavoratore dei campi al momento del raccolto; o la gioia di chi esulta quando viene spezzato il giogo dell’oppressore o il bastone dell’aguzzino. Non solo una gioia interiore, impalpabile, ma una gioia reale, che tocca la carne e riempie la vita tutta intera. A volte mi sorprendo a dire: «Non conosco nessun altro Dio se non Gesù».  Non è un’eresia, non fosse solo per il fatto che unicamente Gesù è la «porta» spalancata sull’immensità di Dio: solo lui è la «strada» lungo la quale giunge a noi l’abbondanza della misericordia di Dio. Solo Gesù, il figlio di Maria, è la «verità» di Dio, altrimenti sconosciuta alla nostra fragile intelligenza e invisibile ai nostri occhi appesantiti e stanchi di fissare un orizzonte svuotato  di senso.
Contemplando Gesù di Nazareth dobbiamo dire: così Dio incontra le persone, così guarda tutti coloro che soffrono, che si sentono “perduti”, così Dio ama e perdona. E’ difficile immaginare un’altra strada più sicura per avvicinarci a quel mistero che chiamiamo Dio.

«Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore».
Stiamo attenti a non fare del Natale una stucchevole poesia, che inevitabilmente scivola nella inconsistenza della fede. E nemmeno possiamo ridurre il Natale al grande e urgente impegno per la pace e la giustizia, parole certamente inscritte nel Vangelo, ma che non lo esauriscono. Il Natale è la nascita del Salvatore, di colui che «ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone».
Nella tradizione iconografica la grotta di Betlemme rappresenta anche la realtà oscura e drammatica del male e della morte, che è vinta dalla luce sfolgorante del Figlio di Dio che si fa uomo, che muore per i nostri peccati e che risorge per la potenza dello Spirito, comunicando anche a noi la stessa vita di Dio. La mangiatoia, nella quale la Vergine Madre ha adagiato con amore il suo bambino, è anche il freddo sepolcro dove mani pietose depongono il corpo di Gesù, sfigurato dalla violenza patita nella crocefissione.  Maria, che ha appena dato alla luce il suo «figlio primogenito» è nello stesso tempo immagine della Chiesa che medita e contempla il grande mistero dell’incarnazione. Accanto a lei gli angeli, che annunciano «una grande gioia , che sarà di tutto il popolo» e cantano: «gloria a Dio e pace in terra agli uomini che Dio ama». E poi ancora i pastori che s’affrettano con i loro doni: simbolo dei poveri e degli umili, di chi abita le periferie del mondo e della storia e che spesso sono più disponibili di altri a cogliere i segni della novità che porta speranza e liberazione. E le levatrici, che lavano il bambino , per rammentarci che Dio si è fatto vicino all’uomo, facendosi uomo lui stesso. Quello che nasce è un Dio che ha assunto tutta la nostra fragilità , il nostro limite, e anche le nostre paure e angosce, come quando si troverà, solo, nell’orto degli ulivi, abbandonato da tutti.  E Giuseppe, l’uomo giusto, con quello strano personaggio accanto che gli punta il dito: immagine luminosa dei profeti che annunciano, attraverso la parola delle Scritture, la nascita prodigiosa del Messia, ma anche presenza inquietante della tentazione che insinua dubbi e induce alla ribellione. Nella icona del Natale, parola di Dio scritta con il colore, c’è tutta la gioia e il dramma del Natale.

A Natale capisco un’altra cosa: ciò che più interessa a Dio non sono la religione, le luci del tempio, i fasti di solenni liturgie. Un Dio che entra nella mia umanità, che condivide l’intera mia esistenza, cerca una vita più degna, sana e felice per tutti, cominciando dagli ultimi. Per favore: non sprechiamoci in stucchevoli auguri di maniera, anche se espressi con dotte citazioni e studiati fraseggi religiosi. Semplicemente accogliamo Gesù, come i pastori che sono andati «fino a Betlemme» e anche noi glorifichiamo e lodiamo Dio per tutto quello che abbiamo visto e udito.
Iniziamo un pellegrinaggio di fede e di amore, che diventi testimonianza e annuncio della misericordia di Dio.
Buon Natale!

Giorgio Scatto

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