Padre Paolo Berti“Benedetta tu fra le donne.”

Omelia IV Domenica di Avvento      
Lc.1,39-48
“Benedetta tu fra le donne.”
La grande solennità del Natale è alle porte. La grande solennità dell’Amore di Dio, dell’inizio della nostra salvezza, dove contempleremo il Bambino deposto in una mangiatoia.
Ma oggi, IV e ultima domenica di Avvento guardiamo a quel tabernacolo immacolato di Cristo che è Maria, in visita ad Elisabetta. Cristo è presente in quel ciborio purissimo. Presente ed operante con meraviglie di grazia per lei, Maria, che, forzata dalla dolce violenza dello Spirito Santo, si esprime nella gioia: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”.

Giovanni è a sette mesi dal suo concepimento, ma misteriosamente mosso dallo Spirito Santo esulta nel grembo di Elisabetta, liberato in quell’istante dalla colpa originale. Il Bambino nel grembo di Maria è di poche settimane, ma anche se il suo corpo non è ancora adeguato alla comunicazione, lo è la sua anima, che unita al Verbo, nel mistero dell'unione ipostatica, già si offre alla volontà del Padre.
Come Verbo, Cristo sapeva da tutta l'eternità che sarebbe stato la vittima di espiazione per la salvezza del genere umano, come uomo lo seppe fin dal grembo materno.
Ciò non vuol dire che tale coscienza non dovesse crescere, diventando sempre più forte. Crebbe sia in ragione dell’età, sia in ragione del contatto con gli uomini, sia in ragione del dialogo che aveva col Padre. Tanto per capirci; un conto è accettare un sacrificio fin tanto che questo è lontano, un conto è vederlo profilarsi vicino, un conto trovarsi all’indomani di questo. Un conto è sentire il brontolio lontano di un fulmine, un conto è sentirlo scoccare vicino a noi. Un conto è partire per il fronte, un conto è essere al fronte. Così per Gesù.
Questa crescita di consapevolezza è particolarmente chiara nella drammatica ora dell’orto degli ulivi, dove lo spavento per l'imminente morte di croce tentò di travolgere Gesù, che pregò nell'angoscia il Padre se era possibile che fosse allontanato da lui il calice che doveva bere, ma vinse con il coraggio dell'amore rimettendosi alla volontà del Padre. Quel “Ecco io vengo per fare la tua volontà” Cristo non lo ritrattò mai, ma lo pronunciò sempre con maggiore intensità. Diamo il merito a Cristo. E' vero Cristo come Dio non poteva peccare, ma era anche uomo e come tale aveva una volontà umana che poteva cedere. Cristo, vero Dio e vero uomo, poteva dire al Padre: "Ecco io ho già versato il mio sangue abbastanza, io sono uguale a te e perciò non procedo oltre questo momento". Poteva dirlo, ma non lo disse, e qui sta il suo merito. Cristo non reputò mai la sua uguaglianza con il Padre, che come Dio aveva, un privilegio sul quale fare leva davanti al Padre, ma sempre rimase fedele alla sua condizione di servo (Cf. Fil 2,6-7). Cristo poteva giungere a rifiutarsi di andare oltre l'orto degli olivi, ma quella disobbedienza avrebbe vulnerato l'opera della redenzione. Cristo disse invece sì alla volontà del Padre con un atto eroico della sua volontà di uomo, sostenuta dalla sua volontà di Dio. Ripeto: diamo merito al merito.
La legge della crescita è universale sulla terra, e Cristo vi rientrò, pur nella sua realtà di Uomo-Dio.
Le due madri, Maria ed Anna, crebbero nella comprensione dei loro figli. Elisabetta, piena di Spirito Santo, colse che quel momento di beatitudine offerto al suo bambino e a lei derivava da quel Bambino che Maria portava in seno, e rimase rapita dalla fede di Maria. Elisabetta non poté che dire: “E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. La fede di Maria fece crescere la fede di Elisabetta, che cominciò a comprendere che il bambino che portava nel grembo aveva una missione da compiere in totale relazione al Bambino di Maria.
La fede fece procedere Maria nella comprensione della missione del Figlio. Già sapeva del futuro di dolore del servo di Jahvéh (Is 53,1), ma incominciò a prenderne personale consapevolezza nella grotta di Betlemme. A Betlemme, la città natale di Davide, la città designata per la nascita del Messia, di “colui che deve essere il dominatore in Israele”, come dice Michea (5,1), non c’era altro che una grotta ad accoglierlo.
A Betlemme, l’albergatore totalmente immerso nei pensieri di guadagno non intese niente dal volto dolce sereno di una donna che stava per partorire. Nel tempio, invece, senza che Maria e Giuseppe dicessero nulla, ci fu chi riconobbe il Bambino.
Prima di avere tra le braccia il Bambinello, prima di averlo fasciato e deposto nella mangiatoia, Maria aveva inteso; e la sua anima si unì ancor di più al Figlio che stava per nascere, in un sentimento di protezione, di difesa, di immenso amore.
La culla di legno, la mangiatoia, rimandava a qualcosa di doloroso nel futuro. Quando Simeone le disse della spada del dolore, non fece altro che confermare Maria sul futuro di dolore del figlio.
Tutto ciò non ci è estraneo, sia perché ogni cosa vissuta da Maria è una realtà che ci tocca in quanto Maria è nostra Madre, sia perché l’intimità di Maria con il Cristo, corporalmente presente in lei, ci è di guida a vivere Cristo presente in noi al momento della Comunione eucaristica.
Anche noi dobbiamo porci in profonda unione con lui, presente in noi in stato di vittima, e che vuole attrarci a sé per fare di noi, in lui, un’oblazione gradita al Padre. Mistero di unione che avviene nella fede e nell’amore. Fede nella reale presenza di lui sotto le specie del pane e del vino, amore per lui che si è donato a noi.
Cristo ha voluto per sé un cuore Immacolato, non vorrà forse un cuore puro, lui che viene nei nostri cuori per renderli ancora più puri, più capaci di ricevere i raggi dell’Amore divino?
Ma, ancora, potremo noi avere un cuore puro se vogliamo allontanare da noi le croci?
Maria di fronte alla croce, a lei sempre più nitidamente visibile nell’orizzonte del figlio, non se ne allontanò, ma l'accettò pur nel dolore, lasciandosi coinvolgere. Per questo starà ai piedi della croce.
Cristo, che viene in stato di vittima nel nostro cuore, ci vuole coinvolti con la sua croce, in modo che le croci della nostra vita siano da noi accettate; e siano amate, desiderate le croci che procedono dal dare testimonianza di lui, perché il mondo dà la croce a chi testimonia Cristo.
Noi, inviati da Cristo, non possiamo non scegliere quello che Cristo scelse. Chi ha scelto Cristo, non può non scegliere ciò che Cristo ha scelto. Non possiamo andare in direzione diversa da quella che Cristo ha scelto.
Certo, così, noi siamo in contrasto con il mondo, ma in posizione d’amore per la salvezza del mondo.
Parrà a noi di essere tagliati fuori dalla storia, ma non è così.
La prima comunità cristiana, si legge negli Atti degli Apostoli (2,47), godeva del favore di tutto il popolo. Chi ci odia non può che farlo mentendo a se stesso; costoro sono nella storia, contorcono la storia, ma la storia salvifica di Dio continua ad essere limpida, stupenda, proprio in mezzo a coloro che odiano e la vorrebbero estinguere. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

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