FIGLIE DELLA CHIESA LECTIO DIVINA "Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù"

II Domenica del Tempo Ordinario
Antifona d'ingresso
Tutta la terra ti adori, o Dio, e inneggi a te:

inneggi al tuo nome, o Altissimo.

Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che governi il cielo e la terra,
ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo
e dona ai nostri giorni la tua pace.

Oppure:
O Dio, che nell’ora della croce
hai chiamato l’umanità
a unirsi in Cristo, sposo e Signore,
fa’ che in questo convito domenicale
la santa Chiesa sperimenti
la forza trasformante del suo amore,
e pregusti nella speranza
la gioia delle nozze eterne.

PRIMA LETTURA (Is 62,1-5)
Gioirà lo sposo per la sposa.
Dal libro del profeta Isaìa

Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
Allora le genti vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
sarai chiamata con un nome nuovo,
che la bocca del Signore indicherà.
Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 95)
Rit: Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore.

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome. Rit:

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie. Rit:

Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome. Rit:

Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine. Rit:

SECONDA LETTURA (1Cor 12,4-11) 
L’unico e medesimo Spirito distribuisce a ciascuno come vuole.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue.
Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

Canto al Vangelo (2Ts 2,14) 
Alleluia, alleluia.
Dio ci ha chiamati mediante il Vangelo,
per entrare in possesso della gloria
del Signore nostro Gesù Cristo.
Alleluia.

VANGELO (Gv 2,1-12) 
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Preghiera sulle offerte
Concedi a noi tuoi fedeli, Signore,
di partecipare degnamente ai santi misteri
perché, ogni volta che celebriamo
questo memoriale del sacrificio del tuo Figlio,
si compie l’opera della nostra redenzione.

Antifona di comunione
Dinanzi a me hai preparato una mensa
e il mio calice trabocca. (Sal 23,5)

Oppure:
Abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi
e vi abbiamo creduto. (1Gv 4,16)

Oppure:
Gesù manifestò la sua gloria in Cana di Galilea
e i suoi discepoli credettero in lui. (Gv 2,11)

Preghiera dopo la comunione
Infondi in noi, o Padre, lo Spirito del tuo amore,
perché nutriti con l’unico pane di vita
formiamo un cuor solo e un’anima sola.

Lectio
In questa seconda domenica del tempo ordinario che vogliamo vivere con gioia e riconoscenza alla luce dell’anno giubilare della Misericordia, la Chiesa Madre ci offre l’abbondante cibo della Parola e disseta il nostro cuore con il vino “bello” che il Signore Gesù fa sgorgare miracolosamente per noi.
Sia la prima lettura di Isaia che il Vangelo ci portano in un contesto nuziale: nozze promesse le prime, compiute e rivestite di gloria le seconde; e il brano paolino della 1Corinti mostra la ricchezza e fecondità dello Spirito che arricchisce la Chiesa.
Secondo gli studiosi della Sacra Scrittura nella lettura orante di questo brano evangelico, inizio del secondo capitolo del Vangelo di Giovanni, occorre andare oltre la narrazione e cogliere i ricchi agganci con il Vecchio Testamento, per comprendere il nuovo messaggio dei segni che Gesù inaugura.
È molto significativo che in questa domenica si celebri anche la XX Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed Ebrei, che negli ultimi dieci anni ci ha portato a meditare insieme sulle Dieci Parole di Esodo 20 e Deuteronomio.

1Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù.
Il riferimento ai “tre giorni” lega questo capitolo al precedente, dove l’evangelista Giovanni presenta la manifestazione di Gesù attraverso la testimonianza di Giovanni il Battista e le prime adesioni a Lui dei discepoli.
Gli esegeti leggono in questa settimana inaugurale del ministero di Gesù sia un legame con la rivelazione del Sinai (in cui la Legge viene data al popolo come segno di una Alleanza che è dono nuziale), sia con il mistero pasquale.
Significativa è la presenza della “Madre di Gesù”. Di lei non si riferisce il nome, ma il ministero materno: un “esserci” che sembra precedente all’arrivo di Gesù con i suoi; una partecipazione discreta, e attenta allo svolgersi sereno dell’evento.

2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Da subito l’evangelista Giovanni, in questo racconto sintetico, ci apre uno spiraglio sulla profonda umanità di Gesù, che – distinguendosi in questo dal comportamento austero del Battista - non disdegna un invito a un banchetto di nozze che, secondo la tradizione locale, doveva durare parecchi giorni; anche i suoi primi discepoli sono con Lui in questa festa, che nel piccolo paese coinvolgeva tutti.

3Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino».
L’occhio attento della madre si rende conto di una carenza che poteva rovinare la festa e spegnere per sempre la gioia di un momento che invece non doveva essere segnato da ombre. Rivolgendosi al Figlio, la madre non chiede nulla esplicitamente, gli fa soltanto presente la situazione, fiduciosa certamente nella grande sensibilità di suo Figlio, da Lei educato e quindi capace di intuire la sua domanda segreta.

4E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora».
Risulta misteriosa la risposta di Gesù, apparentemente dura; ha bisogno di essere ben compresa e gli esegeti l’hanno studiata attentamente, confrontandola con altre simili presenti nella Bibbia. Essi hanno visto che si tratta di una locuzione semitica che non necessariamente esprime rifiuto; afferma piuttosto una presa di distanza dall’interlocutore o una divergenza con lui. In questo caso, la presa di distanza è dovuta al fatto che Gesù chiarisce a sua madre che la “sua ora” non è ancora giunta; e gli studiosi sono concordi nel riconoscere come “ora” di Gesù l’evento pasquale di morte-risurrezione.
Anche il fatto che Gesù chiami sua madre “donna” è un unicum del Vangelo di Giovanni, che usa la stessa espressione per Maria sotto la croce. Normalmente un figlio non si rivolge così alla madre; questo ha portato all’intuizione che, sia a Cana che sotto la Croce, Maria è vista come personificazione della Comunità di Israele; nuova Eva che con il nuovo Adamo è la Sposa che stabilisce con Dio l’Alleanza nuova

5La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».
Certamente queste parole poste in bocca a Maria sono un invito all’obbedienza; ma sono soprattutto espressione di una fede così sicura che non lascia alcun dubbio sulla possibilità di agire di Gesù per risolvere positivamente quella situazione incresciosa.
Molti sono i richiami biblici evidenziati dagli esegeti. Alcuni ritengono che l’evangelista si richiami a Genesi 41,55, quando il faraone dice al popolo di fare ciò che dice Giuseppe. Altri invece preferiscono agganciarsi all’Esodo, nei contesti di rinnovamento dell’Alleanza (cfr. Es. 19,8 e 24,3-7), quando il popolo dichiara solennemente di essere disposto a fare tutto ciò che il Signore dirà.
Maria quindi rappresenta il nuovo Israele e collabora alla rivelazione di Gesù, suggerendo ai servi di essere totalmente disponibili alle indicazioni del Figlio.

6Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. 7E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo.
Ricca di simbologia risulta la presenza di queste giare; infatti nel linguaggio biblico mentre sette è il numero della perfezione, il sei indica imperfezione; la pietra richiama le tavole della legge, che sancivano l’Antica Alleanza, incompiuta rispetto alla Nuova che si instaura con la venuta di Cristo.
Si nota inoltre che le giare sono ormai vuote, nonostante la loro enorme capacità, che viene precisata nel Vangelo (due o tre metrete ciascuna: una metreta corrispondeva a circa 40 litri!). Con Gesù la sovrabbondanza dell’amore trabocca. Inoltre il vino, di ottima qualità, può evocare anche il mistero dell’inesauribile dono eucaristico.

8Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono».
Il gesto obbediente dei servi indica la collaborazione al mistero di salvezza da parte di chi si rende disponibile ad accogliere la Parola. Il “maestro di tavola” che pur essendo responsabile del banchetto non si era accorto del disagio e non si rende conto di quanto sta accadendo, può indicare che si è conclusa l’autorità della vecchia Alleanza e che essa riconosce che il vino nuovo è migliore del precedente, ormai consumato.

11Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Il prodigio del vino buono costituisce il punto di partenza della completa rivelazione che Gesù fa di se stesso attraverso i “segni” che manifestano la sua gloria (che possiede, come ricorda Paolo, prima della fondazione del mondo) e suscitano la fede dei discepoli. Si tratta ancora di una fede incipiente, che si approfondirà man mano che essi impareranno a conoscere il Maestro, vivendo con Lui e facendo l’esperienza della sua potenza divina.

12Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni.
La conclusione del brano giovanneo mostra la Madre di Gesù integrata nella sua comunità, la vera credente che con i discepoli e i fratelli forma la comunità messianica, unita nella fede al Figlio di Dio che ha appunto manifestato la sua gloria.
L'intervento della Vergine in favore degli sposi di Cana documenta anche la sua misericordia sollecita per chi si trova in necessità. Sebbene non sia questo il punto focale nella struttura narrativa dell'episodio, è innegabile che la Vergine intercedendo presso Gesù per gli sposi in necessità è modello della Chiesa, chiamata ad esprimere compassione e vicinanza per ogni genere di povertà.

Appendice
Il miracolo con il quale nostro Signore Gesti Cristo cambiò l'acqua in vino (cf. Gv. 2,6-10), non ha niente di stupefacente per coloro che sanno che fu Dio a farlo. Infatti, chi in quel giorno, durante le nozze, produsse del vino in quelle sei anfore che aveva fatto riempire di acqua, è quello stesso che ogni anno fa ciò nelle viti.
Ciò che i servi avevano versato nelle anfore, fu cambiato in vino per opera di Dio, come per opera del medesimo Dio si cambia in vino ciò che cade dalle nubi. Se non ci meravigliamo di questo, è perché accade ogni anno: per la continuità ha perso la meravigliosità.
Pur tuttavia, esso meriterebbe maggior considerazione di ciò che accadde dentro le anfore d'acqua. Chi può, infatti, considerare le opere del Signore, con le quali regge e governa il mondo tutto intero, e non esser preso da grande stupore, e come schiacciato da tanti prodigi? La potenza di un grano solo di un qualsiasi seme è così grande, da far quasi paura a chi vi ponga attenzione. Ma siccome gli uomini, occupati in altre cose, hanno perduto la considerazione delle opere di Dio, mediante la quale dare ogni giorno gloria al Creatore, Dio si è come riservato di compiere cose inusitate, per indurre gli uomini dormienti, attraverso cose mirabili, ad adorarlo.
[…]
Perché, dunque, (alle nozze di Cana) il figlio disse alla madre: Che c'è tra me e te, o donna? L'ora mia non è ancora venuta (Gv. 2, 4)? Nostro Signore Gesù Cristo era Dio e uomo; come Dio, non aveva madre; come uomo, sì. Era dunque madre della carne di lui, madre della sua umanità, madre della sua infermità che egli fece sua per noi. Ma il miracolo che egli stava per compiere era opera della sua divinità, non della sua infermità: in quanto era Dio, non in quanto era nato debole uomo. Ma il debole di Dio è più forte di tutta la potenza umana (1Cor. 1,25).
Sua madre gli chiede un miracolo: Gesù, nel momento di compiere un'opera divina, sembra non riconoscere le viscere umane, quasi dicesse: Quel che di me compie il miracolo non lo hai generato tu, tu non hai generato la mia natura divina; ma, poiché hai generato la mia infermità, allora ti riconoscerò quando questa mia infermità penderà sulla croce. Questo significa infatti: «L'ora mia non è ancora venuta». Allora riconoscerà sua madre, lui che certamente l'aveva sempre conosciuta.
Prima ancora che nascesse da lei, nella predestinazione l'aveva conosciuta come madre sua; prima che, come Dio, creasse colei da cui come uomo avrebbe avuto l'essere. Ma in un certo momento, per un disegno misterioso, non la riconosce, e in un altro momento, quello che ancora non era venuto, la riconosce, sempre per quel disegno misterioso. La riconoscerà allora, quando ciò che ella aveva partorito, stava morendo. (Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, in La teologia dei Padri, Città Nuova Ed., 1974, vol. II, pp. 123 e 157).

Il Messia, che è stato annunciato e riconosciuto in I,I9-5I, raduna la sua comunità di discepoli attorno a un banchetto di nozze, figura e presenza dei tempi ultimi. Secondo la simbolica dell'evangelista, la madre di Gesù è Israele che esperimenta il vuoto della sua situazione senza il Cristo e che si apre nella confidenza all'iniziativa di Dio. Appagando un'attesa secolare, Gesù annuncia in figura che l'Israele fedele è stato esaudito, e oltre ogni misura, perché tale esaudimento implica la salvezza dell'umanità intera.
Il prologo narrativo si conclude col prototipo dei segni: l'antica Alleanza, mediante la presenza e la parola di Gesù di Nazaret, diviene la nuova Alleanza. Stando così le cose, il racconto di Cana offre al lettore la migliore opportunità per parlare del rapporto fra i due Testamenti.
Il vino prodotto non si aggiunge all'acqua, ma è l'acqua stessa divenuta vino. Allo stesso modo il Nuovo Testamento non mette da parte ciò che impropriamente si chiama Antico Testamento: questo è, mediante la parola di Gesù, il Testamento di Dio divenuto nuovo.
È indubbiamente necessario riconoscere e valorizzare due tappe nella storia del piano di Dio; però non c'è che una sola Alleanza, che trova il suo pieno compimento con Gesù, ma che si alimenta continuamente nell'esperienza di Israele.
In che modo, tuttavia, la figura delle nozze potrà divenite realtà? Il racconto finisce indubbiamente con l'osservazione del direttore di mensa o tutt'al più con la riflessione del narratore che annota il risultato: la fede dei discepoli raccolti attorno a Gesù. In un altro senso, però, il racconto rimane aperto.
Già dal punto di vista dell'«episodio» in sé, varie domande restano in sospeso:
Cosa risponde lo sposo?
Che ne è dei servi?
Che cosa comprendono i convitati e il direttore di mensa?
Ma sono tutte domande non pertinenti nella lettura di un testo «simbolico». E tuttavia, anche da quest'ultimo punto di vista il racconto resta «aperto».
In realtà, se il miracolo di Cana è il prototipo dei segni, esso orienta l'interpretazione dei segni che seguiranno. L'Alleanza, simbolicamente realizzata al termine del prologo narrativo, verrà in qualche modo fatta valere nei successivi racconti; perciò, leggendo questi ultimi, sarà opportuno metterli in rapporto con questo segno inaugurale. (Xavier Léon Dufur, Lettura dell’evangelo secondo Giovanni, Ed. S Paolo, 1990 pp. 329-331)

[…] La conclusione dell’evangelista è davvero sproporzionata: “Questo a Cana di Galilea fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù”. Inizio sta a dire l’origine, il primo della serie, ma anche il modello per tutta la serie dei sette grandi segni che poi l’evangelista racconterà. Egli manifestò la sua gloria. Questa parola gloria a noi fa venire in mente immagini spettacolari di grandi scenari, di grande fama, di grande rinomanza, titoloni sui giornali o su telegiornali e invece no, la gloria di Dio non è come la nostra gloria. Per questo noi, nell’ultimo Natale, abbiamo ripreso a cantare “Gloria a Dio nell’alto dei cieli - noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo - ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”. A quale dei nostri amici, che avevamo come compagni d’infanzia, e che poi è diventato famoso, celebre, rinomato in qualche campo di notorietà, andiamo a dire “grazie per la tua gloria, grazie per la tua fama”. Magari con una malcelata invidia gli facciamo i complimenti. Ma solo a Dio noi diciamo grazie per la tua gloria, perché la sua gloria è il nostro bene, la sua gloria è la nostra salvezza. “Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. Fino a quel punto erano stati altri a dire chi era Gesù, per esempio Giovanni Battista ai suoi discepoli, Andrea a Pietro, Filippo a Natanaele, il Padre nei cieli quando Gesù si immerge nelle acque del Giordano: “Tu sei il figlio mio, l’amato”. “Tu sei la mia gioia” sono parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Il Signore troverà in te la sua delizia. Tu sarai la gioia del Signore”. E’ il Figlio la gioia del Padre.
Ora è Gesù che rivela la sua gloria, la sua identità visibile e palpabile nella quale traspare l’identità del Padre, la gloria del Padre. Questa gloria è a favore dell’umanità peccatrice, la sua più vera ed intima identità. Ecco il primo messaggio allora che ci viene dal vangelo di oggi: la gloria di Dio ci si rivela nell’amore. Quello è il biglietto da visita che fa capire chi è questo Gesù di Nazaret nella sua gloria.
Se la gloria si manifesta nell’amore, l’amore si manifesta in tutta la sua potenza proprio sulla croce. Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per le persone che ama. Potrebbe sembrare strano e scandaloso affermare che la gloria si riveli lì sulla croce, luogo dell’umiliazione e della sconfitta. Una simile gloria sembra l’opposto delle attese nate in Israele, che ricorda i prodigi grandiosi compiuti da Dio nell’Esodo. Non sarebbe più esatto affermare che la croce ha ottenuto come premio la risurrezione e la gloria? No, l’evangelista Giovanni insisterà sulla sua interpretazione: Quando l’ora viene, cioè sulla croce, si rivela la gloria e lo dice con quel verbo che sembra anche lì molto sorprendente. Gesù, quando viene crocifisso, è innalzato come se salisse sul podio del trionfo. Non è davvero strano che sulla croce si rivela la gloria, se noi facciamo alcune osservazioni ben presenti nel quarto vangelo e indispensabili per capire questo concetto di gloria.
La prima è che la croce è inseparabile dalla risurrezione. La croce è l’esaltazione, l’innalzamento di Gesù e ha la funzione di svelare la vicenda di Gesù di Nazaret che, incamminato verso la croce, nasconde nel suo profondo la vittoria di Dio. E gli altri segni, che verranno raccontati nel resto del vangelo di Giovanni, rendono credibile la strada del Cristo mostrando in essa la presenza di Dio. In questo senso sono segni per la fede, non prodigi per l’applauso, ma segni per la fede. Infatti i discepoli cominciarono a credere in lui. (Mons. F.Lambiasi, dall’Omelia del 20.01.2013)


FONTE :FIGLIE DELLA CHIESA

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