FIGLIE DELLA CHIESA,LECTIO DIVINA"Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita"

IV Domenica di Quaresima Laetare
VANGELO (Lc 15,1-3.11-32)
Antifona d'ingresso
Rallegrati, Gerusalemme,

e voi tutti che l’amate, riunitevi.
Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza:
saziatevi dell’abbondanza
della vostra consolazione. (cf. Is 66,10-11)

Colletta
O Padre, che per mezzo del tuo Figlio
operi mirabilmente la nostra redenzione,
concedi al popolo cristiano
di affrettarsi con fede viva e generoso impegno
verso la Pasqua ormai vicina.

PRIMA LETTURA (Gs 5,9-12)
Il popolo di Dio, entrato nella terra promessa, celebra la Pasqua.
Dal libro di Giosuè

In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.
E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 33)
Rit: Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. Rit:

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato. Rit:

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. Rit:

SECONDA LETTURA (2Cor 5,17-21)
Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Canto al Vangelo (Lc 15,18)
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te.
Lode e onore a te, Signore Gesù!

VANGELO (Lc 15,1-3.11-32)
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Preghiera sulle offerte
Ti offriamo con gioia, Signore,
questi doni per il sacrificio:
aiutaci a celebrarlo con fede sincera
e a offrirlo degnamente per la salvezza del mondo.

PREFAZIO DI QUARESIMA IV
I frutti del digiuno

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno.
Con il digiuno quaresimale
tu vinci le nostre passioni, elevi lo spirito,
infondi la forza e doni il premio,
per Cristo nostro Signore.
Per questo mistero si allietano gli angeli
e per l’eternità adorano la gloria del tuo volto.
Al loro canto concedi, o Signore,
che si uniscano le nostre umili voci
nell’inno di lode: Santo...

Antifona di comunione
“Rallegrati, figlio mio,
perché tuo fratello era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato”. (Lc 15,32)

Preghiera dopo la comunione
O Dio, che illumini ogni uomo
che viene in questo mondo,
fa’ risplendere su di noi la luce del tuo volto,
perché i nostri pensieri
siano sempre conformi alla tua sapienza
e possiamo amarti con cuore sincero.

Lectio
Al centro della liturgia della IV domenica di Quaresima dell’anno C troviamo quel capolavoro del vangelo di Luca che è la parabola del figliol prodigo anche detto del padre misericordioso.
Il contesto della parabola è dato dai vv. 1-3 del cap. 15 che la liturgia pone a introduzione del racconto: è la risposta diretta alle mormorazioni dei farisei e degli scribi, indignati del modo umano e delicato con cui Gesù avvicinava i peccatori e si rallegrava per la loro conversione.
Accusato di essere troppo condiscendente con i peccatori, Gesù risponde proponendo il comportamento del Padre, che egli è venuto a rivelare al mondo: «Chi ha veduto me, ha veduto il padre» (cfr. Gv 14,9). Questa, infatti, più che del "figliolo prodigo" o del "fratello maggiore", è la parabola del Padre, e sono proprio le sue parole che ci danno la via per comprendere il racconto: «Bisognava far festa».
L’hanno capito i peccatori, che fanno festa a Gesù: i giusti sono chiamati a fare altrettanto.
Questa IV Domenica di Quaresima è indicata come la “domenica laetare”, segnata particolarmente da questo clima di gioia (anche il colore liturgico passa dal viola al rosaceo), dal "rallegratevi" (cfr. Ant. di ingresso, di comunione, offertorio, ecc.) perché la festa e la gioia del perdono cominciano quaggiù ed ora.
Per quattro volte nel racconto evangelico risuona il verbo "festeggiare", a cui si aggiunge anche il verbo della gioia che scandiva le due precedenti parabole raccontate nel cap. 15  della pecora e della dramma perduta e ritrovata.
La gioia biblica è un’esperienza che va oltre l’allegria e la serenità: è, infatti, lo stato di chi è in comunione con Dio e partecipa della sua perfezione; è partecipazione al suo amore.

v. 1 – 3 «si avvicinavano...tutti i pubblicani e peccatori»: viene sottolineata la totalità; nessuno degli esclusi è escluso; «per ascoltarlo» tutti i peccatori sono ammessi come uditori della gloria di Dio. L’ascolto nel vangelo di Luca è l’atteggiamento del credente.

v. 2 - «Farisei e scribi mormoravano»: nella Bibbia questo verbo  è il verbo della contestazione di Dio e del rifiuto del suo modo di dare salvezza («Perché ci hai fatto uscire dall’Egitto?»; è il verbo che percorre i libri biblici che parlano di Israele nel deserto e della ribellione a Dio e ai suoi doni (Esodo, Numeri, Deuteronomio).
E’ il verbo con cui l’uomo pretende di suggerire a Dio come dovrebbe comportarsi con l’uomo e come dovrebbe dargli la salvezza (o il castigo).
Per costoro (farisei e scribi) i pubblicani e i peccatori sono persone ormai «perdute»: su di loro incombe il giudizio di Dio, e l’accoglienza calorosa che essi ricevono da Gesù è inspiegabile e contro ogni logica.

v. 3 - Il motivo che spinge Gesù a narrare questa parabola è dimostrare che Dio non la pensa come gli scribi e i farisei, veri destinatari del racconto; la parabola è un invito ai giusti perché si convertano dalla propria giustizia che condanna, alla gioia del Padre che giustifica.
Gesù parla non tanto per difendersi dalle loro obiezioni, quanto per aprire loro gli occhi alla misericordia di Dio.

v. 11 - «Un uomo»: E’ Dio, che nel corso della lettura si rivelerà insieme padre e madre, legge e amore.
«aveva due figli»: i due figli indicano la totalità degli uomini; peccatori o giusti, per lui siamo sempre e solo figli, per questo ha compassione di tutti e non guarda i peccati.

v. 12 - «Padre»: così lo chiama il figlio minore; non tanto per dei sentimenti positivi, quanto per far valere i propri diritti. Lo conosce come uno che gli deve dare delle cose.
«dammi»: attivo imperativo aoristo: inizia un’azione nuova.
Alcune norme regolavano il diritto di successione alla morte del padre, o la spartizione dei beni mentre era ancora in vita il padre: cfr. Dt 21,17; Sir 33,20-24.
«divise»: Dio non è antagonista, concede ai suoi figli tutto quanto ha. Il Padre della parabola non parla, non recrimina e non borbotta alla richiesta del figlio, ma agisce con estrema libertà.

vv. 13-16 - Il punto nevralgico del racconto, più che nella richiesta dell’eredità, sta nella determinazione del figlio di allontanarsi dal padre. Preso dall’ansia di vivere, portandosi via tutto, il figlio minore inizia una nuova vita, ma presto, perde tutte le sue sostanze e se stesso. Credeva di essere libero, non dovendo più sottostare a suo Padre, ed invece si riduce a vivere come uno schiavo «a pascolare i porci»: il peggio che poteva capitargli in fatto di degradazione (cfr. 8,32): sottomesso ad un pagano e costretto a pascolare animali ritenuti impuri dagli ebrei.

vv. 17-19 - «rientrò in se stesso»: semplicemente rinsavisce; constata che la realtà non era come pensava.
Si noti come in questo monologo, Luca non esprime grandi sentimenti di pentimento; è una conversione a sé, più che al Padre, intuisce il vero proprio interesse. La fame gli fa capire che s’è sbagliato nel valutare le cose; è l’inizio di un cammino.
Dice un antico proverbio ebraico: «Quando gli israeliti hanno bisogno di mangiare carrube, è la volta che si convertono».
«salariati...di mio padre»: lo considera e lo chiama padre, anche se non considera sé come figlio. Instaura il paragone con i salariati. Ha ancora una falsa immagine del Padre.
«ho peccato»: dalla considerazione della sua miseria il giovane passa al riconoscimento delle sue colpe; non ha infatti una colpa sola, ma parecchie: aver chiesto la divisione dell’eredità; l’essere andato lontano; l’aver dilapidato tutto; il non aver pensato al padre prima di cercare il lavoro umiliante.
«contro il cielo»: modo ebraico di dire, per evitare di pronunciare il nome di Dio, qui particolarmente espressivo per chi, come il figlio minore, si sente indegno di ogni perdono.
«non sono degno di esser chiamato tuo figlio»: un altro peccato si aggiunge al fardello già pesante del figlio minore: essere figlio non è questione di dignità o di merito; è un dato di fatto.
Il padre può essere libero nel mettere al mondo il figlio, ma nell’essere figlio non c’è libertà; non si sceglie né di nascere né da chi. Il figlio minore non ha ancora capito che il Padre è amore necessario e gratuito; pensa non avendola meritata, di rinunciare alla sua paternità.
La conversione non è diventare "degni", o almeno "migliori" o "passabili", per meritare la grazia di Dio; la conversione è accettare Dio come un Padre che ama gratuitamente.
«trattami»: attivo imperativo aoristo positivo: ordina di cominciare un’azione nuova.

v. 20 - La scena dell’incontro col padre è travolgente:
«ancora lontano» fin qui abbiamo parlato dell’atteggiamento del figlio; suo padre è ben altro, non aspetta al varco l’indegno per rinfacciarli una colpa senza scuse, previene ogni suo atto di pentimento.
«lo vide»: per quanto lontano il Padre lo vede sempre; nessuna oscurità e tenebre può sottrarlo alla sua vista (Sal 139,11s). L’occhio è l’organo del cuore: gli porta l’oggetto del suo desiderio.
«si commosse»: questo sentimento che sconvolge il cuore del padre fornisce la chiave della sua condotta; in quella commozione è narrata tutta la sua passione per l'uomo. Letteralmente «fu colpito alle viscere» (in gr. esplanchnìsthê) indica l'aspetto materno della paternità di Dio. E' la qualità di quel Dio che è misericordia
In Lc 6,36 Dio ci è presentato come «padre misericordioso», cioè insieme come padre e come madre (Luca usa l'aggettivo "oiktìrmon" che traduce l'ebraico «rahamin», che indica il ventre, l'utero).
Lo sguardo di Dio verso il peccatore è tenero e benevolo come quello di una madre verso il figlio malato (cfr. Is 49,14-16; Ger 31,20 s; Sal 27,10; Os 11,8; ).
Tutto ciò è in contrasto con l'emozione opposta che prende il primogenito «egli fu preso da collera» (v. 28a)!
«correndo»: è un atteggiamento affatto normale per un orientale.
«si gettò al suo collo»: la corsa del padre termina in uno slancio che lo fa letteralmente "cadere addosso " al figlio. Anche Giuseppe, venduto come schiavo dai fratelli, si getta sul collo di Israele (Gen 46,29).
«lo baciò»: è il segno del perdono (cfr. 2 Sam 14,33), il segno che la comunione d’amore che c’era prima, è stata immediatamente ristabilita.

vv. 21-24  Il padre prende subito l’iniziativa: non permette al figlio di terminare la sua confessione; non dice nulla al figlio, ma l’interruzione nella dichiarazione da parte del figlio, indica che l’aspetto importante della parabola, non è la conversione più o meno sentita del figlio, ma piuttosto l’accoglienza e la misericordia del padre.
«la veste migliore»: è il vestito più bello, quello riservato agli invitati, che è anche l’abito liturgico della cerimonia e il vestito dei salvati. E’ l’immagine e la somiglianza di Dio, gloria e bellezza originale che rivestiva l’uomo.
«l’anello»: è il segno dell’autorità (cfr. Gen 41,42; Est 3,10; 8,2 ed anche Gc 2,2)
«sandali»: è un altro segno della recuperata figliolanza, della libertà di figlio; lo schiavo non porta sandali.
«Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»: il contrasto tra vita e morte mette in rilievo quanto sia essenziale e salvifico il rapporto tra padre e figlio, il quale lontano dal genitore è inserito in una spirale di degrado umano e sociale, mentre ritornando da lui è di nuovo messo nelle condizioni di vivere felicemente. I verbi perdere e ritrovare collegano questa parabola alle altre due precedenti nelle quali si parla della pecora e della dramma perduta e poi ritrovate. Anche in queste due parabole compare l’ordine di rallegrarsi e far festa.
«cominciarono a far festa»: non si dice "fecero festa", ma "cominciarono"; è l’inizio di ciò che sarà senza fine.

vv. 25-32 - «Il figlio maggiore»: il maggiore è Israele, il primogenito di Dio, figura di ogni giusto. Raggiungiamo ora l’apice della parabola: l’incontro con chi deve essere ancora ritrovato.
«chiamò... domandò»: il giusto non sa nulla della gioia di Dio, anzi gli è sospetta e per questo indaga minuziosamente, interroga un servo per sapere cosa sta accadendo.
«si arrabbiò»: conosciuto l’avvenimento reagisce come davanti ad una minaccia; è venuto meno il fondamento della sua esistenza. Quest’ira è il contrario della compassione del padre. Non è il ritorno del fratello minore che lo manda in collera, ma l’eccessiva premura del padre. L’ira del fratello maggiore ricorda quella degli scribi e farisei che mormoravano perché Gesù riceve i peccatori e mangia con loro.(v.2)
«non voleva entrare»: l’ostinazione del giusto è dura.
«il padre uscì a pregarlo»: (lett. «a consolarlo») anche con questo figlio il Padre è colui che si muove per primo. Dio consolò Israele mediante i profeti, fino al Battista che «consolava ed evangelizzava» (Lc 3,18), chiamando alla conversione.
«rispose a suo padre»: paziente, quel Padre che non ha ascoltato l’umiliazione penitente del secondogenito, ascolta ora le accuse del primogenito.
«ti servo... non ho trasgredito»: le parole con cui il primogenito cerca di giustificare il suo comportamento rivelano che la relazione con il Padre non è quella di un figlio ma quella di un servitore nei confronti del padrone. Il figlio elenca i suoi meriti con l’unica preoccupazione di affermare che non ha mai trasgredito alcun ordine.
«un capretto»: davvero una richiesta minima davanti al vitello grasso.
«il figlio tuo»: Il primogenito rifiuta di dare il nome di «fratello» al prodigo ma non gli contesta il nome di «figlio» in rapporto al padre. Di colpo, il padre del figlio indegno non gli sembra più neppure suo padre; parla di lui come di un padrone al cui servizio lavora come schiavo: «Ecco, io ti servo da tanti anni [come uno schiavo: douléuô» (cfr. v. 29]. Se il secondogenito si augurava di divenire, a casa del padre, un servo ben pagato, il primogenito si considera come uno schiavo verso il quale il padrone non ha alcun debito di riconoscenza. La comprensione che egli ha del rapporto padre-figlio non è migliore di quella del fratello.
«Tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo»: Il padre non risponde alle obiezioni del primogenito con argomentazioni logiche e convincenti e mentre il tono delle parole del figlio maggiore è aspro e severo, il padre si rivolge a lui in maniera affettuosa e tenera, chiamandolo figliolo (gr. teknon) e riaffermando la volontà di comunione.
«Bisognava far festa e rallegrarsi»: Il padre non rinnega il comportamento tenuto nei confronti del secondogenito e riconferma la sua gioia. La sollecitazione all’allegria e alla festa con cui si chiude il racconto, rimanda al finale delle due parabole precedenti in cui si assicura la gioia celeste per il peccatore convertito (Lc 15, 7.10)
La parabola illustra lo stile di Dio Padre: Gesù rassicura che la paternità di Dio si esprime nel rispetto della libertà dei figli, anche quando essi si allontanano e sbagliano. Il Padre è sempre disponibile ad accogliere nuovamente i figli e senza porre condizioni quando essi ritornano li perdona e si dimostra gioioso.
Il comportamento dei due figli, d’altro canto, può essere illuminante per comprendere l’atteggiamento umano. Nessuno dei due figli, infatti, è fedele o obbediente, ma entrambi si ribellano al Padre che però con la Sua salvezza gratuita viene a sopperire anche gli inevitabili errori umani.

Appendice
Il figlio prodigo
"Un uomo aveva due figli e il più giovane gli disse: «Dammi la mia parte di patrimonio»" (Lc 15,11-12). Vedi che il patrimonio divino viene dato a coloro che lo chiedono. E non credere che il padre sia in colpa perché ha dato il patrimonio al più giovane: non si è mai troppo giovani per il Regno di Dio, e la fede non sente il peso degli anni. In ogni caso colui che ha domandato il patrimonio si riteneva capace di possederlo: Dio volesse che egli non si fosse mai allontanato dal padre, e non avesse ignorato gli inconvenienti della sua età! Ma poi se ne parti per un paese straniero - necessariamente dissipa il suo patrimonio chi si allontana dalla Chiesa -; lasciando la casa e la patria, "se ne parti per un paese straniero, in una regione lontana" (Lc 15,13).
Non c‘è luogo più remoto di quello in cui va chi va lontano da sé, e si allontana non per lo spazio, ma per i costumi, si separa non per la distanza ma per i desideri, e, come se mettesse in mezzo l‘onda dei piaceri mondani, con la sua condotta spezza ogni legame. Chiunque infatti si separa da Cristo è un esule dalla sua patria, diventa cittadino del mondo.
Noialtri, invece, non siamo stranieri di passaggio, "siamo concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio" (Ef 2,19); eravamo lontani, ma siamo stati fatti vicini nel sangue di Cristo (cf. Ef 2,13). Ma non siamo maldisposti verso chi viene da una regione lontana, perché anche noi siamo stati in una regione lontana, come insegna Isaia; così leggi: "Per coloro che sedevano nella regione dell`ombra della morte, per loro è sorta la luce" (Is 9,2). La regione lontana è dunque quella dell`ombra della morte; ma noi che abbiamo per spirito dinanzi al volto il Cristo Signore (cf. Lam 4,20), viviamo nell`ombra di Cristo. Per questo la Chiesa dice: "Nella sua ombra sedetti desiderosa" (Ct 2,3).
Quello, vivendo nella lussuria, ha sciupato ogni ornamento proprio della sua natura: ebbene tu, che hai ricevuto l‘immagine di Dio e che sei simile a lui, guardati bene dal rovinarla con una irragionevole e degenerata condotta. Tu sei opera di Dio...
"Venne la carestia in quella regione" (Lc 15,14): carestia non di pane e cibo, ma di buone opere e di virtù. Esiste un digiuno peggiore di questo? In verità chi si allontana dalla Parola di Dio è affamato, perché "non di solo pane vive l`uomo, ma di ogni parola di Dio" (Lc 4,4). Se ci si allontana dalla fonte siamo colti dalla sete, si diventa poveri se ci si allontana dal tesoro, si diviene sciocchi se ci si allontana dalla sapienza, si distrugge infine se stessi allontanandosi dalla virtù. E` quindi naturale che costui cominciò a sentirsi in gravi ristrettezze, in quanto aveva abbandonato i tesori della sapienza e della scienza di Dio e la profondità delle ricchezze celesti (cf.{Col 2,3}). Egli cominciò a sentire la miseria e a soffrire la fame, perché niente è abbastanza per la prodiga voluttà. Sempre patisce la fame, chi non si sa nutrire degli alimenti eterni...
"E bramava di riempirsi il ventre di carrube" (Lc 15,16). I lussuriosi non hanno infatti altro desiderio che di riempirsi il ventre, perché "il ventre è il loro dio" (Fil 3,19). E a simili uomini quale cibo è piú adatto di questo che è, come le carrube, vuoto di dentro, di fuori è molle, ed è fatto non per alimentare, ma per gravare il corpo, e che è più pesante che nutriente?...
"Ed ecco, nessuno gliene dava" (Lc 15,6); si trovava infatti nella regione di colui che non ha nessuno, perché non ha quelli che sono. Infatti tutte le nazioni sono stimate un niente (cf. Is 40,17); non c`è che Dio, "che vivifica i morti, e chiama le cose che non sono come cose che sono" (Rm 4,17).
"Allora, tornato in sé, disse: «Quanti pani hanno in abbondanza i mercenari di mio padre!»" (Lc 15,17).
E‘ ben vero che ritorna in sé, poiché si era allontanato da sé. Chi torna infatti al Signore torna in sé, mentre chi si allontana da Cristo rinnega sé.
Ma chi sono i mercenari? Non sono forse quelli che servono per il salario, cioè quelli d‘Israele? Che non perseguono il bene per amore dell‘onestà, che sono attirati non dalla bellezza della virtù ma dal desiderio del guadagno? Ma il figlio che ha in cuore il pegno dello Spirito Santo (cf. 2Cor 1,22) non cerca il meschino profitto di un salario di questo mondo, perché possiede il diritto all‘eredità. Vi sono anche dei mercenari che sono impegnati nei lavori della vigna. Buoni mercenari sono Pietro, Giovanni, Giacomo, ai quali è detto: "Venite, farò di voi pescatori di uomini" (Mt 4,19). Costoro hanno in abbondanza non carrube, ma il pane: perciò poterono riempire dodici ceste di avanzi. O Signore Gesù, se tu ci togliessi le carrube e ci donassi il pane, tu che sei il dispensiere nella casa del Padre! Se tu ti degnassi anche di accoglierci come mercenari, anche se veniamo sul tardi! Tu infatti assumi mercenari anche all‘undicesima ora, e ti compiaci di pagare un‘eguale mercede (cf. Mt 20,6-16), eguale mercede di vita, non di gloria; non a tutti infatti è «riservata la corona di giustizia», ma a colui che può dire: "Ho combattuto la buona battaglia" (2Tm 4,7ss)...
Se vi fosse restato anche quello, non si sarebbe mai allontanato da suo padre. Ma stiamo tuttavia attenti a non ritardare la sua riconciliazione, che il padre non gli ha ritardato. Egli si riconcilia volentieri, quando è pregato intensamente. Apprendiamo con quali suppliche è necessario avvicinare il Padre. Padre, egli dice. Quanta misericordia, quanta tenerezza, vi è in colui che, pur essendo stato offeso, non sdegna di sentirsi chiamare padre! "Padre" - dice -, "ho peccato contro il cielo e dinanzi a te" (Lc 15,18).
Ecco la prima confessione della colpa, rivolta al creatore della natura, all‘arbitro della misericordia, al giudice del peccato. Sebbene egli sappia tutto, Dio tuttavia attende dalla tua voce la confessione, infatti "è con la bocca che si fa la confessione per la salvezza" (Rm 10,10). Solleva il peso della propria colpa colui che spontaneamente se ne carica: taglia corto all‘animosità dell‘accusa chi previene l‘accusatore confessando: infatti "il giusto nell‘esordio del suo discorso, è accusatore di se stesso" (Pr 18,17). E d‘altra parte sarebbe vano tentar di dissimulare qualcosa a colui che su nessuna cosa può trarre in inganno; non rischi niente, a denunziare ciò che sai esser già noto. Meglio è confessare, in modo che per te intervenga Cristo, che noi abbiamo come avvocato presso il Padre (cf. 1Gv 2,1), per te preghi la Chiesa, e il popolo infine per te pianga. E non aver timore di ottenere. L‘avvocato ti garantisce il perdono, il patrono ti promette la grazia, il difensore ti assicura la riconciliazione con l‘amore paterno. Credi dunque, perché il Signore è verità, e sii tranquillo, perché il Signore è potenza. Egli ha un fondamento per intervenire a tuo favore; altrimenti sarebbe morto inutilmente per te. E anche il Padre ha ben ragione di perdonarti, perché ciò che vuole il Figlio lo vuole anche il Padre.
Ti viene incontro colui che ti ha sentito parlare nell‘intimo della tua anima; e mentre tu sei ancora lontano, egli ti vede e ti corre incontro (cf. Lc 15,20). Egli vede nel tuo cuore, e corre a te perché niente sia di ritardo, ti abbraccia, anche. Nel venirti incontro è chiara la sua prescienza; nell‘abbracciarti si manifesta la sua clemenza e il suo amore paterno. Si getta al collo, per sollevare colui che giaceva in terra carico di peccati, per sollevarlo verso il cielo in modo che possa cercarvi il suo autore. Cristo si getta al tuo collo, per liberare la tua nuca dal giogo della schiavitù, e mettervi il suo giogo soave (cf. Mt 11,30). Non ti sembra che egli si sia gettato al collo di Giovanni, quando Giovanni riposava sul suo petto, con la testa rovesciata all‘indietro? Per questo egli vide il Verbo presso Dio, perché si era innalzato verso altezze sublimi. Il Signore si getta al collo, quando dice: "Venite a me, voi che siete affaticati, e io vi darò sollievo; prendete su di voi il mio giogo" (Mt 11,28-29). E‘ in questo modo che egli ti abbraccia, se tu ti converti. (Ambrogio, In Luc., 7, 213-230)

La parabola del figlio perduto (Lc 15,11-32)
Al presente, ti supplico con lui:
«Padre, contro di te ho peccato e contro il cielo;
non son più degno che tu mi chiami figlio
fa‘ di me l’ultimo dei tuoi salariati».

Rendimi degno del più puro e santo
bacio del Padre tuo sí buono.
Sotto il tetto della sala di Nozze
ti piaccia ricevermi di nuovo.

E la veste iniziale della quale
briganti di strada mi spogliarono,
rivestimene ancora
come ornamento di Sposa preparata.

L‘anello regale,
che d‘autorità è il segno,
fa‘ ch‘io lo riporti nella mano destra,
per non deviare mai piú verso sinistra.

E come protezione dal Serpente
metti scarpe ai miei piedi
perché non urtino la tenebra,
ma la sua testa schiaccino.

Al sacrificio del vitello grasso,
che sulla Croce per noi s‘è immolato
e al sangue uscito per la lancia dal Costato
donde usciva il ruscello della Vita,

fammi partecipare nuovamente,
come nella parabola del Figlio Prodigo,
per mangiare il pane che dà vita,
per bere alla tua celeste coppa...

Sulle tracce del Prodigo ho camminato
in paesi estranei e lontani;
l‘eredità paterna ho scialacquato
che al Fonte sacro avevo ricevuto.

Laggiú straziato fui da carestia
del Pane de]la Vita e della divina Bevanda.
Pascolando il gregge dei porci, sfamato
non mi son con i peccati della dolce carruba.

Invoco il Padre tuo come il cadetto
dicendo: «Contro Te e contro il ciel peccai;
anche se di figlio il nome al tuo cospetto,
Padre celeste, non son degno di portare.

Fa‘ di me (quantomeno) un salariato
che per modesta paga compia il bene;
(ponimi) tra quei che son salvati dal secondo gruppo,
perché ho spezzato l‘amor dovuto al Padre».

Accoglimi tra le braccia per esser da Te curato,
o Sublime; rendimi degno del tuo santo bacio;
sostituisci, o Immortal, col tuo profumo,
il lezzo cadaverico dell‘anima!

Dammi la carne del Vitello grasso;
il vin che è sulla Croce fammi bere;
allieta lo stuol degli angeli,
perch‘io morto la vita ho ritrovato.

L‘Ebreo, figlio primogenito,
ovver color che son dei Giusti a lato,
che provenendo dal campo della Legge,
alla tua Chiesa vennero,

sol da lontano intesero la voce,
dei suoi figli che danzavano concordi,
e non vollero entrar nel Santuario,
quali persone afflitte alla maniera umana.

Si consumavan per la gelosia
al veder la salvezza dei gentili:
poiché si vantavano i lor padri
che la tua Legge non han trasgredito.

Quanto ad essi, non erano salvati
né dal Vitello grasso, olocausto di tuo Figlio,
né dal capretto pure immolato
per umano od angelico che fosse.
(Nerses Snorhalí, Jesus, 19-25, 591-600)

Cari fratelli e sorelle!
In questa quarta domenica di Quaresima viene proclamato il Vangelo del padre e dei due figli, più noto come parabola del “figlio prodigo” (Lc 15,11-32). Questa pagina di san Luca costituisce un vertice della spiritualità e della letteratura di tutti i tempi. Infatti, che cosa sarebbero la nostra cultura, l’arte, e più in generale la nostra civiltà senza questa rivelazione di un Dio Padre pieno di misericordia? Essa non smette mai di commuoverci, e ogni volta che l’ascoltiamo o la leggiamo è in grado di suggerirci sempre nuovi significati. Soprattutto, questo testo evangelico ha il potere di parlarci di Dio, di farci conoscere il suo volto, meglio ancora, il suo cuore. Dopo che Gesù ci ha raccontato del Padre misericordioso, le cose non sono più come prima, adesso Dio lo conosciamo: Egli è il nostro Padre, che per amore ci ha creati liberi e dotati di coscienza, che soffre se ci perdiamo e che fa festa se ritorniamo. Per questo, la relazione con Lui si costruisce attraverso una storia, analogamente a quanto accade ad ogni figlio con i propri genitori: all’inizio dipende da loro; poi rivendica la propria autonomia; e infine – se vi è un positivo sviluppo – arriva ad un rapporto maturo, basato sulla riconoscenza e sull’amore autentico.
In queste tappe possiamo leggere anche momenti del cammino dell’uomo nel rapporto con Dio. Vi può essere una fase che è come l’infanzia: una religione mossa dal bisogno, dalla dipendenza. Via via che l’uomo cresce e si emancipa, vuole affrancarsi da questa sottomissione e diventare libero, adulto, capace di regolarsi da solo e di fare le proprie scelte in modo autonomo, pensando anche di poter fare a meno di Dio. Questa fase, appunto, è delicata, può portare all’ateismo, ma anche questo, non di rado, nasconde l’esigenza di scoprire il vero volto di Dio. Per nostra fortuna, Dio non viene mai meno alla sua fedeltà e, anche se noi ci allontaniamo e ci perdiamo, continua a seguirci col suo amore, perdonando i nostri errori e parlando interiormente alla nostra coscienza per richiamarci a sé. Nella parabola, i due figli si comportano in maniera opposta: il minore se ne va e cade sempre più in basso, mentre il maggiore rimane a casa, ma anch’egli ha una relazione immatura con il Padre; infatti, quando il fratello ritorna, il maggiore non è felice come lo è, invece, il Padre, anzi, si arrabbia e non vuole rientrare in casa. I due figli rappresentano due modi immaturi di rapportarsi con Dio: la ribellione e una obbedienza infantile. Entrambe queste forme si superano attraverso l’esperienza della misericordia. Solo sperimentando il perdono, riconoscendosi amati di un amore gratuito, più grande della nostra miseria, ma anche della nostra giustizia, entriamo finalmente in un rapporto veramente filiale e libero con Dio.
Cari amici, meditiamo questa parabola. Rispecchiamoci nei due figli, e soprattutto contempliamo il cuore del Padre. Gettiamoci tra le sue braccia e lasciamoci rigenerare dal suo amore misericordioso. Ci aiuti in questo la Vergine Maria, Mater misericordiae. (Papa Benedetto XVI, Angelus 14 marzo 2010)

Commenti

Post più popolari