MONASTERO MARANGO, "L'umile ingresso di Gesù a Gerusalemme è contestazione di certi trionfalismi"

Domenica delle Palme (anno C)
Letture: Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Lc 19,28-40
L'umile ingresso di Gesù a Gerusalemme è contestazione di certi trionfalismi

1)Questa domenica viene chiamata “domenica delle Palme”, oppure “Domenica di Passione”: l’entrata messianica di Gesù in Gerusalemme dà inizio al dramma che si conclude con la sua crocifissione. Mi soffermerò sul brano dell’ingresso di Gesù nella città santa, sottolineandone soprattutto il carattere storico.
«Gesù camminava davanti a tutti, salendo verso Gerusalemme». Gesù vuole salire a Gerusalemme come pellegrino, accompagnato dai suoi discepoli, per celebrare la Pasqua. Dalla Galilea occorrevano tre o quattro giorni di cammino per arrivare a Gerusalemme. Si pensa che i pellegrini che si mettevano in viaggio per celebrare la Pasqua potevano essere dai 100.000 ai 200.000, mentre nella città santa abitavano allora dai 25.000 ai 55.000 abitanti.
Il gruppo che camminava con Gesù lascia Cafarnao, cammina lungo la valle del Giordano e, dopo aver attraversato l’oasi di Gerico, prosegue sull’antica strada che, costeggiando l’wadi Kelt, arriva al monte degli Ulivi. E’ il punto migliore per contemplare Gerusalemme in tutta la sua bellezza. Anch’io, spesse volte, nei miei ripetuti pellegrinaggi in Terra santa, salendo da Gerico, mi soffermo a contemplare dall’alto la città di Dio. E rimango a lungo in silenzio. Probabilmente non è la prima volta che Gesù arriva a Gerusalemme, ma ora è tutto diverso; nel suo cuore si mescolano gioia e timore, speranza e delusione. Mancano solo pochi giorni alla sua passione e morte. Ad attirare gli sguardi di tutti i pellegrini, allora come oggi, era l’immensa spianata, cinque volte più grande dell’Acropoli di Atene, al centro della quale si innalzava il tempio. Secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio,«era quasi interamente ricoperto di lamine d’oro massiccio e, al sorgere del sole, brillava con uno splendore tale che quanti lo guardavano dovevano volgere lo sguardo altrove».
Per la festa della Pasqua, ormai imminente, i pellegrini giungevano da tutte le strade. Le valli del Cedron, Hinnòn e Tyropeo, che circondavano Gerusalemme, erano insufficienti ad accogliere le grandi folle che si incamminavano verso la città, varcando con commozione le sue numerose porte. L’imponente ricostruzione del tempio, realizzata da Erode, aveva dato nuovo impulso ai pellegrinaggi, che arrivavano da tutto il Medio Oriente. Ce ne dà testimonianza anche il libro degli Atti degli Apostoli, quando leggiamo che a Gerusalemme, per le celebrazioni pasquali, erano presenti «Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo».
«Quando fu vicino a Betfage e a Betania, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: Andate nel villaggio di fronte; entrando troverete un puledro legato». Dall’evangelista Matteo sappiamo che si tratta di un puledro d’asina, perciò di un asinello «sul quale nessuno era ancora salito», aggiunge Marco. E’ la cavalcatura dei primi pastori d’Israele. Ricorda l’antica profezia di Zaccaria: «Esulta grandemente, figlia di Sion. Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina».
Molti si avvicinavano alla città cantando la loro gioia di essere giunti a Gerusalemme. Lo stesso fanno i discepoli di Gesù e quelli che sono con lui. E’ l’ultimo tratto di strada, e Gesù vuole percorrerlo in sella ad un puledro d’asino, come un umile pellegrino che augura a tutti la pace.
«e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù». E’ una vera intronizzazione regale, sullo stile di quella di Salomone, al quale Davide comandò di salire sulla sua mula; i suoi ministri lo fecero subito, per risalire di nuovo esultanti con il nuovo re verso la città (cfr. 1Re 1,33-48). Contagiati dal clima festoso della pasqua e inorgogliti dall’aspettativa dell’avvento del Regno di Dio, su cui Gesù tanto insisteva, cominciano ad acclamarlo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Non è un’accoglienza solenne organizzata per ricevere un personaggio illustre e potente; è l’omaggio spontaneo di «tutta la folla dei discepoli» che camminavano insieme a lui.
Il gesto di Gesù in sella d’un asino dice più di mille parole; Gesù è il re pastore che annuncia un regno di giustizia e di pace per tutti, non un impero costruito con la violenza e l’oppressione. Egli è il profeta che stabilisce un nuovo ordine, opposto a quello che impongono i dominatori di questo mondo. Il suo umile ingresso in Gerusalemme è contestazione di tutti gli ingressi trionfali, quelli dei generali in testa ai loro eserciti, ma anche delle ostentate processioni di anime devote che precedono vescovi benedicenti avvolti in fastosi paramenti. Molti studiosi pensano che questo solo atto pubblico di Gesù sia stato sufficiente per decretare la sua esecuzione. Anche oggi, la convinta affermazione del primato dei poveri, la loro quotidiana compagnia, sposandone la speranza di riscatto e di liberazione, può essere molto rischioso. L’essere messi al confino, come è successo per molti, è ancora attuale. Anche nella Chiesa di Francesco.
Al cuore del racconto della passione, che leggiamo in questa domenica, Gesù, dopo aver istituito l’Eucaristia, memoriale di un amore che si dona fino a spezzarsi, annuncerà ai discepoli: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve». Qualcuno non capisca male: non si tratta di procurare molti asini, ma cercare chi è disposto a servire i fratelli, come Gesù, fino al dono della vita, collaborando con lui ad annunciare il vangelo del Regno.

Giorgio Scatto

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