Don Domenico MACHETTA "Io le conosco"

17 aprile 2016 | 4a Domenica di Pasqua Anno C | Appunti per Lectio
1ª LETTURA: At 13,14.43-52
Siamo nel primo viaggio di Paolo. Ad Antiochia di Pisidia Paolo e Barnaba entrano come al solito
nella sinagoga nel giorno di sabato. Dopo la lettura delle Scritture, sono invitati a parlare. Paolo, partendo dal passo biblico inizia il suo discorso annunciando Cristo risorto. Il fatto è che il sabato seguente la sinagoga si riempie di gente. E allora capita quello che capita sempre: scoppia l'invidia, la gelosia. Gli uomini di Dio sono combattuti per l'invidia e la gelosia, che molte volte sono nascoste da motivi politici e religiosi. Anche Gesù è stato consegnato per "invidia", come ci ricordano Matteo e Marco: "Pilato sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia" (Mt 27,18).
Persecuzione dunque, tanto che Paolo e Barnaba sono costretti ad abbandonare il territorio. I pagani invece "si rallegravano e glorificavano la parola del Signore". Da una parte il livore e la gelosia, dall'altra la pace e la lode.
Splendida la conclusione: "I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo". È un motivo dominante negli Atti: dove arriva lo Spirito, dove viene annunciata la Parola, scoppia la lode e regna la gioia.

VANGELO: Gv 10,27-30

O pazzo o bestemmiatore dovette sembrare Gesù davanti ai fedeli israeliti quando uscì con l'espressione che ci viene presentata oggi: "Io e il Padre siamo una cosa sola". Siamo nel cap. 10, in cui Gesù si offre a noi come "buon pastore", facendo suo uno degli appellativi più belli che la Bibbia applica a Dio. "Il Signore è il mio pastore..." canta l'"usignolo" del Salterio, come è stato definito il Salmo 22/23.
Proviamo a fare una breve "lectio", indugiando con amore su poche righe.

1. "Le mie pecore": gustiamo con il palato del cuore questo "mie", in contrasto con quello che diceva poco prima. Gesù sta passeggiando sotto il portico di Salomone, nel tempio di Gerusalemme. Siamo d'inverno, al tempo della festa delle "Luci", la festa della Dedicazione. Gesù dice ai Giudei che lo rifiutano: "...voi non credete, perché non fate parte delle mie pecore". Aveva già detto loro: "Voi non volete venire a me (= credere) per avere la vita... E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall'unico Dio?" (5,40.44). La causa dunque dell'esclusione dal gregge è la mancanza di umiltà.

2. "Le mie pecore ascoltano...". È l'ascolto biblico, l'ascolto-obbedienza. I beati di cui Maria di Nazareth è la matrice. Un ascolto-adesione totale.

3. "...la mia voce". Molte sono le voci che bombardano il nostro cervello, ma le pecore sanno distinguere bene la voce del pastore, che le chiama per nome. Il pastore ama non in generale, ma in particolare, in un tu-per-tu unico.

4. "Io le conosco". Sappiamo quale sia la densità biblica di questo verbo. Il nostro Dio è il Dio dei rapporti; è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio di mio padre, il mio Dio. Il verbo "conoscere" ha carattere nuziale.
 SDB
Ricordiamo quel "non vi conosco" della parabola delle dieci vergini.

5. "Ed esse mi seguono". Gesù è il pastore, il condottiero, la via. La Chiesa sarà umile gregge sotto un solo pastore. Sfidando le critiche, siamo felici di essere pecore sotto Gesù, visto che l'uomo, di qualcosa o di qualcuno si fa pecora: si tratta solo di scegliere di chi si vuol essere pecora. Comunque abbiamo tra il gregge di Cristo certe pecore che sono state umili agnelli nei confronti di Gesù, ma forti come leoni di fronte al mondo. Pensiamo a Pietro, Paolo di Tarso, una pecorella di cui il mondo greco-romano ha potuto gustare gli artigli, fino ad Agostino, Girolamo, Benedetto, Francesco d'Assisi, Teresa d'Avila, Giovanni Bosco, Pier Giorgio Frassati...

6. "Io do loro la vita eterna". Questa parola, vita eterna, rimanda a qualcosa che va oltre la scena di questo mondo che passa, e dev'essere riscoperta e annunciata con franchezza ed entusiasmo. È l'unica parola che a molti poveri, oppressi, tribolati, malati, moribondi... ha dato la forza di vincere la disperazione. In che cosa consiste la vita eterna? Gesù, nella preghiera sacerdotale del cap. 17 di Giovanni, la definisce così: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (17,3).

Conoscenza-rapporto intimo d'amore con il nostro Dio, qualcosa di nuziale, che viene anticipato in questa vita, nell'oscurità della fede, attraverso la liturgia della Chiesa; conoscenza che modifica i rapporti con i nostri fratelli e ci fa guardare il mondo con gli occhi di Cristo, riempiendoci di gioia e di esultanza: "Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,12).

Don Domenico MACHETTA
Fonte:  www.donbosco-torino.it

Commenti

Post più popolari