Don Umberto DE VANNA sdb"Per cominciare"

24 aprile 2016 | 5a Domenica di Pasqua - Anno C | Omelia
Per cominciare

Gesù lascia agli apostoli il suo "comandamento nuovo", quello dell'amore. Lo dichiara nel momento
in cui Giuda sta per tradirlo. Sarà l'amore il segno di riconoscimento dei suoi veri discepoli.

La parola di Dio
Atti 14, 21b-27. È la conclusione del primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba. I due infaticabili apostoli sono passati da una città all'altra rianimando ed esortando i fedeli. E hanno costituito i primi responsabili delle comunità. Poi hanno fatto ritorno ad Antiochia, dove rendono conto dei loro viaggi e di come i pagani si sono aperti alla fede.
Apocalisse 21,1-5a. Siamo al penultimo capitolo dell'Apocalisse, all'ultima rivelazione, e viene prospettata la nuova Gerusalemme quale dono di Dio. Un nuovo cielo e una nuova terra attende l'umanità fedele, in cammino verso la sua pienezza. Allora cesserà ogni sofferenza e ogni motivo di tristezza.
Giovanni 13,31-33a.34-35. Dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, e quando Giuda esce dal cenacolo per consegnare Gesù alla sinagoga, Gesù usa espressioni di tenerezza verso i suoi e lascia in dono agli apostoli il suo comandamento "nuovo", quello dell'amore.

Riflettere

Ritornare, attraversare, raggiungere, scendere, fare vela… molti sono i verbi di movimento che, assieme agli altri (rianimare, esortare, costituire, predicare, affidare, riferire…) fanno capire quale sia stato il dinamismo degli apostoli Paolo e Barnaba e in generale quello dei primi apostoli.
Assistiamo al sorgere della prima comunità cristiana. Da un piccolo manipolo di persone piuttosto comuni, sta nascendo la chiesa. Paolo e Barnaba, dopo aver digiunato e pregato, stabiliscono per ogni comunità i primi responsabili, i primi vescovi e sacerdoti, e li affidano al Signore.
C'è anche un'altra parola che viene ripetuta più volte in queste letture, ed è l'aggettivo nuovo: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose", "Io, Giovanni, vidi un nuovo cielo e una nuova terra", "Vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo…"; e poi Gesù che lascia il suo comandamento "nuovo".
Le immagini del capitolo 21 dell'Apocalisse sono suggestive ed esaltanti e presentano la nuova Gerusalemme, la dimora che Dio prepara al nuovo popolo messianico, che vive nell'amore. Tutto appare immaginifico, suggestivo, affascinante e consolatorio nel momento in cui la chiesa vive già momenti difficili di persecuzione.
Il passo evangelico ci presenta Gesù nel cenacolo che vive il momento drammatico in cui Giuda si allontana dal gruppo per tradirlo. Ma Gesù pare avere un momento di liberazione e di consapevolezza di tutto ciò che sta per capitargli. Gesù parla della sua glorificazione proprio nel momento più drammatico, alla vigilia di essere consegnato: "Quando sarò elevato da terra attirerò tutto a me", dice, sapendo a che cosa andava incontro e quale sarebbe stata la sua sorte finale (Gv 12,32).
Gesù ha appena lavato i piedi ai suoi discepoli e comincia quel lungo parlare confidenziale e amichevole che precede la passione. Ha lavato i piedi anche a Giuda, questo apostolo difficile, che il vangelo definisce "ladro" (Gv 12,6), e che ha tradito Gesù chissà per quali motivi. Vedendo Gesù nel gesto così umile di lavargli i piedi, avrà pensato: "È questo il messia? Colui che deve liberare Israele dai Romani e instaurare il regno di Davide?".
È in questo momento che Gesù lascia ai suoi il suo comandamento "nuovo" dell'amore, quasi come un solenne testamento, come un "addio" che non vuole chiudere i rapporti, ma mantenerli vivi. Un comandamento che era già presente nella tradizione ebraica, ma quello di Gesù è "nuovo", perché ora ci si deve amare "come lui ci ha amati", cioè fino alla croce. Perché solo ora, con lui, questo comandamento diventa possibile. Certo, anche prima c'erano stati uomini che si erano amati anche prima di Cristo, ma perché erano parenti tra loro, perché erano alleati, amici, appartenevano allo stesso clan o allo stesso popolo… Ora bisogna andare al di là: amare chi ci perseguita, amare i nemici, anche quelli che non ci salutano e non ci amano.
Si tratta inoltre di amore "reciproco": ci si deve amare "gli uni gli altri", perché solo così, se l'amore non è a una sola direzione, ci può essere comunità e vita fraterna.

Attualizzare

A volte il cristiano cerca distintivi, divise, croci, tau o colombe per farsi riconoscere e sentire l'appartenenza a un'associazione cattolica o alla stessa chiesa. Ma il vero distintivo del cristiano è soltanto l'amore. "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". Questo è il nostro vero distintivo, il segno di riconoscimento.
La storia della chiesa è ricca di esempi: la vita dei santi è ricchissima di gesti di amore. E il cristiano ogni giorno si misura nei suoi gesti di amore: il saluto, l'accoglienza, il perdono, la disponibilità…
Amore che è vissuto spesso anche da molti altri generosi, che non hanno la nostra fede. Ma amore che non può non caratterizzare la vita del cristiano.
L'amore rende presente Gesù Risorto, che lo si incontra quando ci si imbatte in un uomo che vive l'amore come lo ha vissuto lui. I santi hanno fatto "vedere" l'amore e sono diventati trasparenti di Dio. L'amore trasforma il mondo. Ma un mondo d'amore è possibile? Gesù si è incarnato ed è morto in croce per questo. L'amore realizza i progetti evangelici di Gesù, i sogni di Dio sull'umanità.
Gesù sa che il mondo cambierà soltanto se regnerà l'amore nella chiesa e nel mondo. L'amore è l'unico strumento che può fare il miracolo di trasformare i rapporti umani, ma anche i rapporti nella società, i rapporti di potere e di forza.
Guardando al comportamento di Gesù ("Amatevi come io vi ho amati") si capisce che l'amore cristiano non nasce dalla simpatia o da una visione comune delle cose: Gesù ha avuto amore di predilezione per i meno amabili, per i più lontani, per chi non avrebbe mai potuto restituire quei gesti di amore.
"Amatevi gli uni gli altri", dice Gesù, rendendo non solo reciproco l'amore, ma anche estremamente concreto. Perché si può amare in generale, si possono amare i lontani e quelli che sono nel bisogno. Ma il difficile è amare chi ci sta vicino e ci è diventato forse insopportabile; amarsi nelle situazioni più concrete e quotidiane, in famiglia, tra amici, tra compagni di lavoro e di vita.

"Go, see and do"

Così diceva alle sue suore Madre Teresa. Lei e le sue suore non hanno mai avuto tanti mezzi per soccorrere gli ammalati e spesso non hanno potuto contare sugli strumenti più adatti per curare i più gravi. Ma Madre Teresa esortava le sue suore a prodigarsi così come potevano, usando le proprie mani per venire in aiuto, per fare ciò che era loro consentito con i poveri mezzi di cui disponevano. "Go, see and do": va', guarda, renditi conto della situazione e poi fa' ciò che ti è possibile, per dimostrare tutto l'amore a quella persona. Così facendo non si sono negate a nessuno, hanno aiutato migliaia di persone a guarire e molti sventurati a morire con dignità.

Un cristiano: padre Ollivier

"Perché siete tanto interessato alla sorte dei carcerati?", chiedono spesso a padre Jean-Marie Ollivier, un oblato di Maria Immacolata. "Perché sono stato anch'io in carcere e so che cosa vuol dire vivere in una cella. E sono persuaso che le carceri nel mondo sono piene o nascondono vittime innocenti indifese. Ne volete la prova?". E racconta di aver trovato in carcere ad Haiti un bambino di 12 anni che aveva rubato per fame. "Passai la mattinata seduto sul prato della casa del colonnello per far liberare Toto il giorno stesso. E il colonnello mi ha ringraziato. Lo avevo aiutato a compiere un gesto di umanità e di giustizia".

Don Umberto DE VANNA sdb
Fonte:  www.donbosco-torino.it  

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