Don Marco Ceccarelli,«È vicino a voi il regno di Dio».

XIV Domenica Tempo Ordinario “C” – 3 Luglio 2016
I Lettura: Is 66,10-14
II Lettura: Gal 6,14-18
Vangelo: Lc 10,1-12.17-20
- Testi di riferimento: 2Re 4,29; Sal 68,12; Ger 3,15; Mt 10,40; Mc 16,20; Lc 9,1-6.52; 17,20-21;

21,17-18; Gv 4,34-38; 9,4; At 13,2; 28,7-10; Rm 16,20; 1Cor 9,14; 15,10; Fil 2,25.30; Col 1,28-29;
1Ts 5,12-13; 1Tm 5,17-18; 2Tm 4,5; Eb 2,14-15; Ap 11,3-4; 12,7-9
1. L’annuncio del regno.
- Se vogliamo individuare un centro, un cuore al brano di Vangelo odierno, mi pare che possa essere
ravvisato in quel messaggio sintetico ed essenziale che troviamo al v. 9: «È vicino a voi il regno
di Dio». Il “regno di Dio” è quella realtà nuova che Gesù è venuto ad inaugurare fra gli uomini con
la sua presenza e soprattutto con il compimento della sua missione a Gerusalemme. Si tratta della
realizzazione di tutte le promesse di felicità che Dio aveva rivolto al suo popolo tramite i profeti
(vedi prima lettura). La salvezza per gli uomini consisterà nel far parte di questa nuova realtà che è
il regno di Dio. Dio si fa vicino agli uomini, si rende “disponibile” nel suo figlio Gesù. Chi accoglie
Gesù accoglie il Padre e nella sua casa entra lo shalom, la salvezza, la felicità. Ma per accogliere
Gesù occorre accogliere i suoi inviati.
- Gli annunciatori del regno. Perciò nel momento in cui Gesù si dirige decisamente verso il compimento
della sua missione (Vangelo della domenica precedente) chiama persone a dedicarsi alla predicazione
del regno di Dio (Lc 9,60) e manda i discepoli a due a due «davanti a sé». (10,2). Si tratta
della stessa missione di Giovanni Battista. Costui aveva il compito di andare davanti al Signore per
preparare le sue strade (Lc 1,17; 1,76); e in definitiva quel Signore a cui egli faceva da precursore
non era altro che Gesù stesso (Lc 7,27). Il ruolo di Giovanni era quello di annunciare la presenza del
Messia e di invitare alla accoglienza della salvezza. La stessa funzione svolgono ora i discepoli (da
notare che in Lc 9,52 essi sono chiamati angeloi, “messaggeri”, come Giovanni in Lc 7,27). Essi
devono annunciare la presenza del regno ed invitare all’accoglienza della salvezza. Lo devono fare
con urgenza (senza salutare nessuno) perché è l’ora della mietitura, della chiamata al regno; il tempo
in cui l’accoglienza del regno e l’ingresso in esso è prioritario a qualsiasi altro bene. E allo stesso
tempo i discepoli sono coinvolti nella stessa ostilità che si manifesta verso il Messia e verso il regno.
Siamo all’inizio del ministero profetico della Chiesa. La Chiesa svolgerà nel mondo, in mezzo
agli uomini, in mezzo alle nazioni, fino alla fine dei tempi, la missione profetica di Giovanni Battista.
In Ap 11 si parla di “due testimoni” (v. 3) che svolgono un ministero profetico e che stanno
“davanti al Signore” (v. 4). Essi saranno oggetto di violenza, subiranno il martirio (e molte genti si
rallegrano di questo: v. 10). Eppure continuano a vivere (v. 11), perché essi hanno la stessa vita di
Cristo e in realtà niente li può danneggiare (Lc 10,19), perché i loro nomi sono scritti nei cieli (Lc
10,20). La Chiesa svolge, in mezzo ad ostilità e violenza, come agnelli in mezzo ai lupi (Lc 10,3), il
ministero profetico di annunciare a tutti gli uomini che la salvezza si trova in Cristo.
2. “Pace a questa casa” (v. 5). I discepoli non solo annunciano il regno e la salvezza, ma ne sono
anche i portatori. Cristo e il regno di Dio si fanno presenti nei discepoli. Gesù, e con lui il regno, si
accoglie accogliendo i suoi discepoli (Mt 10,40). Già accogliendo loro si accoglie quella pace, quello
shalom che è il dono per eccellenza del Messia. In Luca la “pace” è sempre collegata con la salvezza
divina. Con i discepoli i malati vengono curati, i demoni cacciati; l’attività sanante di Gesù
opera per mezzo di loro. Cristo continuerà ad essere presente ed operante in mezzo agli uomini nelle
persone dei suoi discepoli (v. 16). La Chiesa sarà in mezzo agli uomini il germe e la primizia del
regno (Lumen Gentium 5). E quindi, d’altro lato, se non si accoglie la Chiesa si rimane esclusi dai
doni del regno. Se si rifiuta il dono gratuito della salvezza che la Chiesa porta si rimane privi di essa;
si rimane prigionieri di satana, del peccato, della morte, senza altra possibilità di uscirne fuori.
Non accogliere la buona notizia del regno è questione di vita o di morte. Per questo occorre non
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avere nulla a che fare con quei luoghi in cui si è rifiutato radicalmente il regno di Dio (vv. 10-11).
Chi non accoglie il regno rimane prigioniero del regno di satana e ne subirà le conseguenze. Non
perché Dio punisca qualcuno, ma perché ogni albero dà inevitabilmente i suoi frutti. Quanto Gesù
dice riguardo le città che non hanno accolto i discepoli (v. 12; ma vedere anche i vv. 13-15 che non
vengono letti nella Messa) è inequivocabile.
3. La caduta di satana. L’annuncio del regno ha il potere di detronizzare satana. In Lc 4,5-6 il diavolo
mostra a Gesù i regni del mondo e gli offre tutta quella potenza «perché è stata messa nelle mie
mani e la do a chi voglio». Satana è il detentore dei regni umani. Gli uomini a causa della paura della
morte sono tenuti in schiavitù dal demonio per tutta la vita (Eb 2,14-15). Cristo con il suo mistero
pasquale vince la morte e dà la possibilità di essere strappati da questa schiavitù. Con l’avvento del
regno di Dio satana perde la sua sovranità su quelle persone che vi entrano a far parte. La Chiesa ha
il potere di liberare gli uomini dalla tirannia del peccato, perché ha il potere di fare entrare gli uomini
nel regno di Dio. E la vera gioia, la cosa fondamentale per cui rallegrarsi e da difendere è proprio
questa appartenenza. Nella Chiesa ci sono persone che, in diverse forme, maggiormente si adoperano
per portare agli uomini il regno di Dio. Ma quello di cui occorre rallegrarsi, quello che ci
dona la gioia e lo shalom, non è l’avere questo o quel potere all’interno del regno, piuttosto l’appartenere
al regno stesso.
4. Gesù chiama i discepoli a partecipare alla sua stessa missione. Li chiama a seguirlo verso Gerusalemme,
sino alla croce. Per questo occorre seguirlo radicalmente, lasciando qualsiasi cosa, qualsiasi
attaccamento, perché il cristiano non ha altro scopo che quello di dare la sua vita, come il maestro,
per la salvezza degli uomini. Come san Paolo (seconda lettura), il cristiano non altro vanto che nella
croce di Cristo (Gal 6,14) e porta nel suo corpo le stigmate di Gesù (6,17) per amore degli uomini.
Gesù continua ad operare la salvezza attraverso i suoi discepoli che hanno il potere di liberare gli
uomini dalla tirannia di satana, e che completano nel loro carne quello che manca ai patimenti di
Cristo (Col 1,24).

Fonte:donmarcoceccarelli.it

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