MONASTERO MARANGO"Cosa vuol dire essere di Cristo"

12° Domenica del Tempo Ordinario (anno C)
Letture: Zc 12,10-11; Gal 3,26-29; Lc 9,18-24
Cosa vuol dire essere di Cristo
1)Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico.

Il testo profetico, del quale ci viene proposta una pagina in questa domenica, risale agli anni del post-esilio (519 – 520 a.C.), con aggiunte e rimaneggiamenti composti verosimilmente negli ultimi decenni del IV secolo a.C.. Il nostro brano descrive in termini apocalittici le prove e le glorie della Gerusalemme degli ultimi tempi.
E’ un testo che conserva tutto il suo mistero, per la sua vicinanza alla croce di Cristo, non pienamente interpretabile. Forse il profeta stesso non sa chi sia questo «figlio unico» per il quale si intona un lamento così grande. Inoltre questo «grande lamento», che è nello stesso tempo «grazia e consolazione», viene donato da Dio e diventerà per la casa di Israele e per gli abitanti di Gerusalemme «una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità». Ci domandiamo: il profeta aveva un presentimento che tutto questo si sarebbe compiuto nel Figlio di Dio, trafitto sulla croce, divenuto lui stesso sorgente di acqua viva per dare la vita eterna; offerta pura e santa gradita a Dio; preghiera incessante riversata sul popolo attraverso la sua morte? La domanda rimane senza risposta. Con un’unica certezza: qui troviamo un’allusione oscura di ciò che nel vangelo viene espresso chiaramente: il Figlio dell’uomo dovrà soffrire molto, venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Lo Spirito effuso purificherà l’occhio e il cuore di coloro che guarderanno a colui che è stato trafitto e renderà possibile un intimo compatire.

Le folle, chi dicono che io sia?
La questione dell’identità di Gesù è stata posta più volte nel vangelo di Luca. I demoni lo proclamano figlio di Dio; la folla lo proclama come un grande profeta; per Giovanni Battista egli è “colui che deve venire”, l’Atteso; e molti pongono la domanda: «Chi è costui che perdona anche i peccati, che comanda anche ai venti e all’acqua e gli obbediscono?».
Marco e Matteo collocano l’episodio, narrato nella pagina odierna di Luca, a nord della Palestina, presso Cesarea di Filippo, alle sorgenti del Giordano. Filippo, che comandava la parte settentrionale della Terra Santa, aveva fatto costruire una città in onore dell’imperatore Cesare Augusto. Proprio lì, dove il potere politico e mondano veniva sacralizzato, Gesù pone la domanda sulla sua identità. A Luca invece non interessa il luogo, perché c’è qualcosa di più profondo e di più universale da scoprire.
Gesù è solo, in preghiera, circondato dai discepoli, come in ogni altro momento importante del suo ministero. E’ a partire da questo suo rapporto con il Padre che si può comprendere la sua identità messianica, che supera l’attesa messianica veterotestamentaria, dentro la quale si pongono ancora gli stessi discepoli.
La risposta della folla – riportata dai discepoli – alla domanda di Gesù è inadeguata e rinchiude Gesù in una realtà del passato: «E’ come Giovanni Battista, come Elia, come uno degli antichi profeti».
La folla non è capace di aprirsi alla novità di Dio, e proprio questa è la sua mancanza di fede.

Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
I discepoli sono coloro ai quali è stato dato di «conoscere i misteri del regno» (8,10). Essi hanno visto Gesù perdonare i peccati (5,20); lo hanno sentito definirsi come lo sposo (5,34–35); lo hanno contemplato mentre operava prodigi e predicava il regno di Dio. Ma solo Pietro, colui che dovrà confermare i fratelli nella fede, risponde: «Il Cristo di Dio». L’affermazione appartiene al contenuto della fede cristiana, che sarà precisato nella risposta di Gesù: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Il silenzio imposto da Gesù ai suoi discepoli non ha alcuna motivazione politica o di prudenza mondana, come se Gesù temesse essere accusato di voler usurpare il potere di qualcun altro. Il silenzio chiesto da Gesù ha una radice teologica: solo dopo la morte la realtà messianica di Gesù potrà essere autenticamente compresa dai discepoli. Anche dallo stesso Pietro, che ha fatto un’affermazione giusta, intendendo però una cosa sbagliata, convinto com’era che Gesù fosse un messia politico, mandato da Dio per restaurare il regno di Davide.

Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto.
Una sottolineatura a riguardo di questo «deve». Non dobbiamo comprenderlo come una dolorosa fatalità che incombe sulla vita di Gesù o come se Dio, per soddisfare la sua sete di giustizia, esigesse la morte cruenta del proprio Figlio. Il «deve» afferma invece la silenziosa presenza di Dio in una morte apparentemente assurda: il Padre sa trarre il massimo bene da questa uccisione ingiustamente decisa dagli uomini.
Dal punto di vista storico, con ogni probabilità Gesù ha previsto e annunciato la sua morte violenta e ha anche cercato di darle un significato, inserendola nella prospettiva dell’avvento del regno. Sarà poi la comunità post-pasquale che, alla luce dell’accaduto, tenderà a precisare l’annuncio di Gesù riguardante la sua fine violenta.
Il «Cristo di Dio» sarà anche un «Cristo sofferente». Ma questo Pietro e gli altri non se lo aspettavano. E’ per ciò che Gesù proibisce ai discepoli di parlare. Non possono annunciare uno che non conoscono perfettamente. Gesù dovrà insegnare loro cosa comporta essere discepoli. Essi dovranno percorrere lo stesso itinerario del loro maestro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Equivale a dire: «Se vuoi essere discepolo, smetti di porti al centro dei tuoi pensieri e delle tue preoccupazioni, accogli con decisione, giorno per giorno, il progetto che il Signore ha sulla tua vita, e va dietro, lietamente, a colui che ti ha chiamato».

Con un’ultima avvertenza. Se davvero apparteniamo a Cristo, non devono più esistere umilianti separazioni e divisioni: credenti e non credenti posti sotto il nostro cattivo giudizio; paesi liberi e stranieri da respingere con rabbia; maschi violenti e femmine quotidianamente massacrate dai loro uomini.
Essere di Cristo non è una semplice e innocua affermazione di carattere religioso, ma una impegnativa e rivoluzionaria profezia.


Scatto Giorgio      

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