MONASTERO MARANGO, "Condividere il pane è un gesto che profuma di futuro "

22° Domenica del Tempo Ordinario (anno C)
Letture: Sir 3,17-20.28-29; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14
Condividere il pane è un gesto che profuma di futuro 
1)Gesù si recò in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare.

Non doveva esse un pranzo qualsiasi: forse si trattava della festa di nozze di uno di casa, di un figlio o di una figlia, perché gli invitati erano molti, e tutti di un certo rango. I farisei erano gente facoltosa, che ci teneva a fare bella figura.

Ed essi stavano ad osservarlo.
Non è che Gesù ci andasse tutti i giorni ad un pranzo di nozze, però non disdegnava i banchetti e, invitato, non si faceva pregare. Anzi, come sappiamo, ci portava pure sua madre e tutto il gruppo dei suoi discepoli. I quali non erano certo conosciuti come dei gran penitenti, come invece lo erano i discepoli di Giovanni. Quelli che andavano con Gesù amavano stare allegramente a tavola, perché era come se avessero sempre lo sposo con loro. Sarebbero venuti più tardi i tempi della privazione e del digiuno.
Mentre Gesù stava a tavola viene osservato dai farisei, che sono gran praticanti della Legge: stanno attenti se, prima di accomodarsi a tavola, questo strano maestro itinerante si sia lavato accuratamente le mani, come prescrive la legge religiosa, se abbia recitato la breve preghiera di rito all’inizio del pranzo e se, cosa ancor più grave, si fosse alzato senza il doveroso ringraziamento per le grandi opere di Dio compiute a favore del suo popolo.
Anche Gesù osserva, ma la sua non è, a prima vista, una preoccupazione religiosa. Nota solo che gli invitati scelgono i primi posti: quelli più vicini agli sposi, per poter scambiare reciprocamente qualche parola di adulazione; o quelli più prossimi alla cucina, per essere serviti per primi; o quelli più arieggiati, da dove si possa godere anche di una vista panoramica su tutti gli invitati e poter mormorare agevolmente di questo e di quello.

Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto.
Oggi, nei pranzi di nozze, tutto è rigorosamente previsto e fissato per tempo: gli sposi, assieme ai loro genitori, passano giorni a stabilire chi deve essere invitato e con chi deve sedersi a tavola. Ci sono i tavoli con i nomi scritti, e tu ti devi mettere proprio lì, con persone che non conosci e con le quali devi passare tutto il tempo senza poter ascoltare o dire nulla di interessante: una noia infinita! E’ anche per questo che non amo molto i pranzi di nozze, soprattutto quelli di gente ricca che vuole fare bella figura con le persone ritenute a loro pari. E’ diverso quando capita di partecipare a pranzi tra amici. Ci vado più volentieri, ma noto con dispiacere che, sovente, anche lì prevale una logica mondana. Tutti si affrettano a sedersi accanto all’amico, a chi è capace di tenere la conversazione; io cerco di sedermi per ultimo e quei due poveracci che porto sempre con me, rimangono in piedi e finiscono per trovare posto uno alla mia destra e uno alla mia sinistra, come sempre.
Una volta, al pranzo di nozze del figlio di un proprietario terriero, celebrato con sfarzo nella sua villa di campagna, hanno invitato anche gli operai. Li hanno messi a sedere dietro casa, in un angolo buio, in modo che non potessero essere visti dagli altri invitati. Quando è arrivato il prete, invitato pure lui, non ha esitato a mettersi a tavola con i contadini, attirandosi subito il plauso di costoro e il dispiacere dei padroni di casa, che avrebbero voluto il prete dalla loro parte,  magari a parlare male degli stranieri e del papa che sbaglia a volerli accogliere proprio tutti.
Il prete è stato per tutto il tempo dietro l’angolo, sotto la luce fioca delle candele, a cantare le canzoni di una volta con tutti gli operai, che trascinavano nel canto un poco alla volta anche tutti gli altri commensali, rimasti senza argomenti. La festa si riaccese in un vortice di suoni e di allegria che non finiva mai. E’ vero: l’ultimo posto è sempre il migliore, perché da lì si possono vedere meglio le cose, con più verità, e perché solo dal basso si può trovare la giusta forza per cambiarle.

Quando offri un pranzo o una cena, non  invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini.
E’ tutto l’opposto di ciò che si usa fare! Oggi si fanno gli inviti con la speranza – non tanto segreta – di poter essere a nostra volta invitati, in un vortice sempre più alienante e dispendioso, che ci rende prigionieri di una stanca liturgia dove primeggiano il vestito, la casa, il cibo, ma non le relazioni vere, l’accoglienza dell’altro, e magari anche la compassione per chi è rimasto vittima della violenza, di un terremoto, di una grave ingiustizia.

Allora, come ci si deve comportare?
Quando offri un banchetto , invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.
Permettete, amici, che a questo punto vi dica come abbiamo pensato di tradurre questa pagina di vangelo nella nostra comunità di monaci: insieme a noi, ogni giorno, condividono la mensa e la giornata altre cinque persone, che il Signore ci ha donato nel corso degli anni, segnate ciascuna da una particolare fragilità e debolezza. Esse sono in realtà il regalo più bello che abbiamo potuto ricevere, in tutti gli anni della nostra vita in comune. I poveri seduti a mensa con noi non hanno impoverito la nostra esistenza, ma l’hanno oltremodo riempita del profumo della vita reale, e della saggezza di chi non ha nulla da difendere.
Ogni giorno la nostra porta rimane aperta: per l’africano che passa con la sua pesante borsa, piena di cianfrusaglie e di dolore; per il marocchino con scope e ombrelli, che sogna solo di poter ritornare a casa; per il pellegrino, che sempre più spesso, dopo aver sperimentato lo smarrimento e la paura, si incammina lento e sicuro sulla via di Gerusalemme; per il povero che chiede solo un po’ di spesa per sé e per la famiglia; per l’amico che viene da lontano, e si presenta all’improvviso, come per il vicino di casa che ti viene ad offrire i prodotti del suo orto, pensando che anche noi abbiamo bisogno. Si crea così uno spazio di amicizia, di apertura del cuore, accompagnato sempre dalla grazia di un sorriso.

Credetemi: condividere il pane della tavola è già un gesto che profuma di futuro, un anticipo della gioia del Regno.


Scatto Giorgio
Fonte:MONASTERO MARANGO Caorle (VE)

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