MACHETTA Domenico SDB," Allora, chi è il santo?"

1 novembre 2016 | Tutti i Santi T. Ordinario Anno C | Appunti per Lectio
LECTIO su Ap 7,2-4.9-14

Dopo il grande fenomeno descritto all'apertura del 6° sigillo, ecco l'apparizione dei
centoquarantaquattromila. Quattro angeli stanno ai quattro angoli della terra (concepita allora come quadrangolare) e trattengono i quattro
venti.
L'ira descritta alla fine del capitolo precedente è frenata per un po'. Giovanni vede salire dall'oriente un altro angelo: dev'essere un angelo portatore di buone notizie perché viene da oriente (ab ortu solis), da dove si attende la salvezza.
Il giardino di Eden era posto a oriente. Il Messia era atteso da est.
Gesù entrerà dal monte degli ulivi, che è a oriente di Gerusalemme.
Questo angelo grida: "Non devastate... finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi". Eccoli i segnati, quelli che appartengono al Signore:
prima i centoquarantaquattromila poi "turbam magnam", una moltitudine immensa. Già nell'AT si parla di segnati: un tau sulla fronte (Ez 9,4). Nella notte del primo esodo era stato necessario il sigillo del sangue sugli architravi delle porte, perché l'angelo sterminatore passasse oltre le case degli ebrei.

Nella lista dei 144000 (122 ×1000)...

ci sono quelli che provengono da Israele. Si notano due particolari: Giuda è all'inizio, benché non fosse il primogenito di Giacobbe, perché da Giuda è uscito il Cristo, il leone della tribù di Giuda (Ap 5,5). E poi Dan è sostituito con Manasse (figlio di Giuseppe), perché la tribù di Dan è la tribù idolatra: come Giuda è sostituito con Mattia, così Dan è sostituito con Manasse. Dopo Israele, una moltitudine immensa che nessuno poteva contare di ogni razza, popolo e lingua. Portano vesti bianche. Vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti nel sangue dell'Agnello. La veste bianca del Battesimo, rimane o ritorna bianca ogni volta che entra in contatto con il sangue dell'Agnello. Ruolo dei sacramenti, e ruolo della sofferenza!
Ogni sofferenza, ogni tribolazione della vita è il sangue del Golgota che scorre nella storia.
E questa è una notizia davvero consolante che va predicata con forza. La sofferenza, in forza del mistero pasquale di Cristo, diventa salvifica: chi soffre è immerso nel sangue dell'Agnello. Del resto chi non passa attraverso il mistero della croce non può accogliere il Vangelo: o lo rifiuta o resta ai margini.
Ecco il motivo della strana sete di sofferenza che avevano i santi. Ecco perché la prima linea della Chiesa sono i sofferenti.
È dunque il mistero della Croce che ci rende "popolo di redenti": qui dunque si fonda il mistero della communio sanctorum.
Ecco perché è l'Eucaristia il momento vertice della Comunione. Il termine "fare la Comunione" è felicissimo. Chi celebra l'Eucaristia incontra gli angeli, i santi e i defunti. Alla tavola dell'Eucaristia incontro tutti i miei cari.

Che cosa significa il termine "santo"?

Qadòsh in ebraico, aghios in greco, sanctus in latino. Qadòsh significa letteralmente "separato". Il superlativo "san
tissimo" in ebraico lo si ottiene dicendo "Santo dei santi", oppure ripetendo tre volte l'aggettivo: "Santo, santo, santo". Santissimo = separatissimo.
Ed ecco la bomba: il "Separatissimo" si fa Emmanuele: Dio-con-noi!
E noi siamo tutti chiamati alla santità, "consorti della divina natura" (2 Pt 1,4): esseri divini. "Siate santi come io sono santo" (Lv 19).
Allora, chi è il santo? Colui che si è lasciato prendere (afferrare) dal "trascendente": "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Gal 2,20).
È il mistero della inabitazione della Trinità: "E verremo a lui e faremo dimora presso di lui" (Gv 14,23).
Lv 19: la santità di Dio è la fonte dell'amore fraterno e della vita sociale.
Ciò che fa santa una persona non sono le estasi, né i miracoli, ma la "dose" di mistero pasquale che ha vissuto, la solidarietà con la passione di Cristo.
I santi sono l'esegesi del Cantico dei Cantici, sono degli
"innamorati" di Gesù. Per questo sono uomini di gioia:
"Guardate a lui e sarete raggianti" (Sal 33).
Nessuno ha i "piedi per terra" come chi ha gli occhi puntati sull'eternità.
Nessuno è immerso nei problemi degli uomini come chi è immerso in Dio.
Sono i santi che hanno cambiato la storia, perché non erano presi dalle cose di quaggiù, cioè dal desiderio di possedere, ma erano presi dalle cose di lassù, cioè dal desiderio di essere posseduti dal fuoco dell'amore verso Dio e verso gli uomini.
I santi hanno capito la cosa più importante: che l'uomo è creato per la festa eterna.
La festa è una scintilla della realtà di Dio nella storia umana.
Il tempo passa, la festa rimane.

Il divino non appartiene al transeunte, perché l'essenziale non passa.

Nell'antica preghiera "Requiem æternam" (l'eterno riposo), noi auguriamo ai nostri cari l'eterna festa (shabbat
riposo festa): Dio è festa.
Misteriosamente, solo chi ha sofferto può capire il vero senso della festa.
Chi fa festa intravede, al di là delle cose assurde e stupide della storia, un senso luminoso. Sembra che il termine "festa" derivi dal termine greco "phainomai" (mostrarsi, apparire), perché la festa fa intravedere, trasparire, un nuovo orizzonte di valori per cui merita vivere.
C'è una diversità radicale tra il far festa e l'essere "festaioli" secondo il mondo.
La parola festa è tra le più ambigue, come amore, pace e gioia.
Il mondo fa festa per dimenticare, noi facciamo festa per ricordare.
La festa, in senso biblico, fa emergere il "buono" del creato, dell'uomo. Ci fa capire che qualcosa di sacro è in gioco in ogni avvenimento, in ogni ora. Fa emergere il
"nuovo".
Due sassi possono essere simili, due ore mai.
Far festa è vincere il negativo, non fuggendo, come propone il mondo, ma celebrando.
È affermare il positivo.
Per questo l'atteggiamento tipico della festa è la gioia:
"In occasione delle tue feste, tu ti rallegrerai" (Dt 16,14). Il concetto tipico di gioia è diverso da ciò che abitualmente si intende nel mondo.
"Gioirai tu, tuo figlio, tua figlia, il tuo schiavo, la tua schiava, il levita, il forestiero, l'orfano e la vedova che saranno dentro la tua città" (Dt 16,14).
Condivisione dunque e comunione. La gioia suppone l'incontro e l'armonia con il creato: è l'atmosfera dell'Eden.

Al di là delle sconfitte, la vita ha un senso.

E questo è possibile se la festa è inscritta in un orizzonte diverso che trascende quello profano, l'orizzonte divino, sacro. L'Eucaristia diventa la vera sorgente.
La festa è ri-creazione secondo il modello del Creatore.
E questo solo lo Spirito può operarlo.
Ogni festa fa emergere il lato luminoso degli eventi che si vivono e ci proietta nel futuro, è anticipo della festa eterna. Nel giorno di festa tutto deve essere un segno: il vestito, l'ordine e la pulizia, i fiori, le tovaglie, le luci, la mensa... "Tutto canta e grida di gioia".

Don Domenico MACHETTA
  Fonte:  www.donbosco-torino.it  

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