Bruno FERRERO sdb, "Una consolazione eterna e una buona speranza"

6 novembre 2016  | 32a Domenica T. Ordinario - Anno C   |  Omelia
Una consolazione eterna e una buona speranza

In Niente e così sia, Oriana Fallaci, scrittrice molto famosa e per nulla credente, ricorda un dialogo
con la nipotina di cinque anni:

... Era entrata con piccoli passi, la prudenza dei bambini quando voglion qualcosa. Appoggiata ad una valigia, s'era messa a fissarmi, dondolando un piede su e giù...
"È vero che parti?"
"Sì, Elisabetta".
"Allora resto a dormire con te".
Le avevo detto: va bene, era corsa a prendere il pigiama e il suo libro dal titolo "La vita delle piante", poi era venuta accanto nel letto: minuscola, indifesa, contenta. Fra qualche mese avrebbe compiuto i cinque anni. Tenendola stretta, m'ero messa a leggerle il libro, d'un tratto m'aveva puntato gli occhi negli occhi e posto quella domanda: La vita, cos'è?
Io coi bambini non sono brava. Non so adeguarmi al loro linguaggio, alla loro curiosità. Le avevo dato una risposta sciocca, lasciandola insoddisfatta.
"La vita è il tempo che passa fra il momento in cui si nasce e il momento in cui si muore".
"E basta?"
"Ma sì, Elisabetta, e basta!"
"La morte, cos'è?"
"La morte è quando si finisce, e non ci siamo più".
"Come quando viene l'inverno e un albero secca?"
"Più o meno".
"Però un albero non finisce, no? Viene la primavera e allora lui rinasce, no?"
"Per gli uomini non è così, Elisabetta. Quando un uomo muore è per sempre. E non rinasce più".
"Anche una donna? Anche un bambino?"
"Anche una donna, anche un bambino".
"Non è possibile!"
"Invece sì, Elisabetta".
"Non è giusto!"
"Lo so, dormi".
"Io dormo, ma non ci credo alle cose che dici. Io credo che quando uno muore fa come gli alberi che d'inverno seccano, ma poi viene la primavera e loro rinascono, sicché la vita deve essere un'altra cosa!..."

Ha ragione Elisabetta? O la zia quando dice: "Quando un uomo muore è per sempre. E non rinasce più".
I sadducei, questa gente che prende in giro Gesù sull'aldilà e la vita eterna, esistono ancora. E talvolta c'è un sadduceo dentro di noi che si chiede: "Com'è possibile?"

Il capo di una troupe di trapezisti, un giorno, parlava del suo esercizio, che ogni sera incantava centinaia di spettatori in un grande circo e spiegava: "Devo avere completa fiducia nel mio compagno, che mi deve afferrare al termine del mio volteggio. Il pubblico potrebbe pensare che io sia la grande stella del trapezio, ma la vera stella è il mio compagno, Joe. Lui dev'essere pronto ad afferrarmi con precisione, spaccando il secondo, e deve acchiapparmi attraverso il vuoto quando io arrivo con la mia lunga rincorsa".
"Come funziona?", chiesi.
"Il segreto", mi disse "è che il trapezista che volteggia non fa nulla, mentre chi fa tutto è il compagno che lo afferra. Quando volo verso Joe devo semplicemente tendere le braccia e le mani e aspettare che lui mi afferri e mi tragga al sicuro sulla piattaforma dietro la sbarra!".
"Lei non fa nulla!", dissi sorpreso.
"Nulla" ripeté. "La cosa peggiore che il trapezista possa fare nel suo volteggio è cercare di afferrare il compagno. Non è previsto che io afferri Joe, ma è compito di Joe afferrare me. Se afferrassi i polsi di Joe potrei spezzarglieli, o lui potrebbe spezzare i miei, e questo vorrebbe dire la fine per tutti e due. Uno deve volare e l'altro deve afferrare, e il primo deve avere fiducia, stendendo le braccia verso il compagno che è là pronto ad afferrarlo".
Mentre il trapezista parlava con tanta convinzione, mi balenarono in mente le parole di Gesù: "Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito" (Le 23,46). Morire significa avere fiducia in chi è pronto ad accoglierci, e aver cura del morente significa dirgli: "Non avere paura, ricordati che sei il figlio diletto di Dio ed egli sarà là quando tu farai il grande balzo. Non cercare di afferrarlo, lui afferrerà te. Stendi soltanto le braccia e le mani, e abbi fiducia, fiducia, fiducia".

"Questo è il tempo della fiducia" dice Gesù "Perché la morte non è quello che pensate".
I cristiani non sono i professionisti dell'addio, ma dell'arrivederci. Per noi, la morte non è un punto, ma una virgola.
Speranza e fede finiranno, quando moriremo. Invece l'amore rimarrà. L'amore è eterno. L'amore viene da Dio e porta a Dio. Quando moriamo, rendiamo tutto ciò che la vita ci ha dato, ma non l'amore. L'amore, nel quale noi abbiamo condotto la nostra vita, è l'amore di Dio in noi. È il centro divino e indistruttibile del nostro essere. Questo amore non solo continuerà ad esistere, ma porterà frutti di generazione in generazione.
Sul punto di morte, possiamo dire a chi lasciamo: "Non essere triste! L'amore di Dio, che abita nel mio cuore, verrà da te e ti darà consolazione e forza".
Di Dio sappiamo con certezza una cosa: è il Dio della vita, non della morte. Dio è vita, Dio è amore, Dio è bellezza e gloria, Dio è bontà. Dio non vuole che noi moriamo, vuole che noi viviamo. Il nostro Dio, che ci ama dall'eternità, vuole darci la vita in eterno.
Quando questa vita è stata spezzata dal nostro rifiuto di dire un sì illimitato all'amore di Dio, Dio ha mandato suo figlio,
Se il Dio che ci ha rivelato la vita e il cui unico desiderio è quello di condurci alla vita, se questo Dio ci ha amato così tanto da desiderare che noi facessimo esperienza della totale assurdità della morte, allora, sì, allora deve esserci una speranza; deve esserci un qualcosa che supera la morte; deve esserci una promessa che non è compiuta nella nostra breve esistenza; allora lasciare coloro che amiamo, i fiori e le piante, le montagne e gli oceani, la bellezza dell'arte e della musica e tutti i ricchi doni della vita non può significare solamente la distruzione e la fine crudele di ogni cosa.

Se la Chiesa deve essere testimone della gioia della risurrezione, allora dobbiamo essere liberati dalla paura. C'è troppa paura nella Chiesa: paura della modernità, della complessità dell'esperienza umana, di dire quello in cui crediamo veramente, paura gli uni degli altri, paura di fare errori, di non ottenere approvazione. È la paura che qualche volta potrebbe spegnere quella gioia che dovrebbe stupire le persone e fa loro domandare quale sia il segreto delle nostre vite. E allora dobbiamo guardare alla virtù che è più necessaria nella Chiesa, se vogliamo essere testimoni del vangelo: il coraggio. Il vangelo finisce con l'invito dell'angelo a proseguire il viaggio. La fine del vangelo non è la fine della storia. Noi siamo il Vangelo che cammina ancora. E solo dalla vera speranza può nascere il coraggio che ci consentirà di cambiare il mondo.

È questo l'augurio di San Paolo:

Fratelli,
lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio,
Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato,
per sua grazia,
una consolazione eterna e una buona speranza,
conforti i vostri cuori e li confermi
in ogni opera e parola di bene. Amen

Don Bruno FERRERO sdb
 Fonte:  www.donbosco-torino.it  

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