MONASTERO DI RUVIANO, "NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

TRENTAQUATTRESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

2Sam 5, 1-3; Sal 121; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43
La liturgia della Chiesa è davvero una grande “parabola” che vuole farci compiere dei passi, ogni
anno, per avvicinarci al Regno, perrealizzare il Regno, per giungere alfine al Regno; la meta dell’anno liturgico è, in tal senso, la Solennità di Cristo Re dell’universo.

            Certamente è una festa che è nata in un clima storico particolarissimo, infatti Papa Pio XI la introdusse, con l’enciclica “Quas Primas” dell’ 11 dicembre del 1925: mentre si affermavano e nascevano i totalitarismi la Regalità di Cristo voleva gridare ad un mondo, che pareva impazzito,nostra che i regni e i poteri di questo mondo che pretendevano dall’uomo adesioni personali assolute, sono relativi.

            Al di là di questo (che comunque è sempre bene tenere ben chiaro nel cuore di ogni vero discepoli di Cristo!) la Solennità di quest’ultima domenica dell’anno ci dice che la meta della nostra vita credente è l’affermazione della Signoria di Cristo nella nostra vita, una meta che non è solo una meta finale ma, dobbiamo dire, è una meta da prefiggersi ogni giorno. Al termine di ogni giorno dobbiamo chiederci con coraggio: “Chi è stato oggi il mio Signore?”, “Chi ha avuto l’ultima parola sulle mie scelte, le mie azioni, le mie parole?”  Quanto più si afferma la Signoria di Cristo nelle nostre vite tanto più viene il Regno … allora stiamo lottando perché quella domanda del “Pater” sia vissuta sì come dono ma anche come responsabilità: “Venga il tuo regno!”

            Il regnare di Dio nella storia è l’opera di ricapitolazione che Cristo Gesù ha realizzato con la su avita e con la sua Pasqua; Gesù, cioè, è venuto a reintestare (il verbo greco “anakephalèo”) tutto al Padre, a reindirizzare tutto a Colui che è il fine di tutto … l’uomo aveva voluto intestare tutto a se stesso ed il peccato era stato la via di questa deviazione della destinazione originale del creato; Gesù con il sangue della sua croce, con il suo amore fino all’estremo (cfr Gv 13,1), ha reindirizzato tutto di nuovo a Dio (cfr Ef 1,10); questo senso della reintestazione, purtroppo,  è del tutto perduto, a mio modesto avviso, nella nuova traduzione italiana di questa pagina paolina.

            Cristo è fatto Signore dell’universo perché tutta quest’opera di salvezza, di reintestazione, possa avvenire. Riconoscendolo Signore e Re la storia si plasma verso il Regno di Dio.

            L’evangelo di questa solennità in questo ciclo C (che oggi si conclude) ci dice che la  regalità di Gesù si può riconoscere solo sulla Croce e può essere riconosciuta solo da chi ha il coraggio di stare accanto a Lui sulla croce.

            La scena della crocifissione di Luca ha una sua logica stringente, una logica che ci mette con le spalle al muro. L’umanità schernisce il Crocefisso, tutta l’umanita! Infatti troviamo come schernitori i rappresntanti di Israele, popolo santo di Dio ed i soldati che sono romani e dunque rappresentano le genti; la cosa terribile è che lo scerniscono su ciò che davvero il Crocefisso è: il Salvatore! Non capiscono;  non non riescono ad accedere alla verità incredibile che il Salvatore sia uno che non salva se stesso.

            I capi del popolo lo sfidano ricordando le sue azioni miracolose (Ha salvato gli altri, salvi se stesso …), i soldati lo deridono proprio sulla sua pretesa regalità (Se sei il re dei Giudei, salva te stesso …). E’ quella regalità proclamata dal titulum posto sul suo capo: Questi è il Re dei Giudei! Una grande, infinita verità ma posta in una logica paradossale: un re crocefisso è un assurdo perché la croce è il supplizio dello schiavo. Gesù è re perché si fa schiavo per amore.

            Chi è che capisce questa regalità paradossale è uno dei malfattori appesi anch’essi alle loro croci. Uno di loro si unisce agli insulti di tutti e anche lui ripete le parole di sfida circa la salvezza: Gesù salvi se stesso e loro che sono crocefissi come Lui.

            L’altro malfattore è diverso!

            Luca sottilmente ci dice che non basta essere crocefissi per riconoscere il Crocefisso, è necessario qualcos’altro. E’ necessario riconoscere una vicinanza e riconoscere un altro tipo di salvezza. Il cosiddetto buon ladrone prima cosa ha accesso alla verità su di sé e sulla propria storia disgraziata, sa d’aver bisogno di essere salvato non dalla croce in primo luogo ma dalla sua fragilità e miseria, dai suoi peccati … il buon ladrone è l’ultimo di una galleria che Luca ci ha presentato in tutto il suo evangelo dal pubblicano della parabola (cfr 18,9-14) al cieco di Gerico (cfr 18, 35-43), a Zaccheo (cfr 19, 1-10) … fa parte di quella galleria di poveri che hanno accompagnato il cammino dell’Evangelo da Zaccaria ad Elisabetta (cfr 1,5ss), al vecchio Simeone (cfr 2,25-35), a Pietro (cfr 5, 1-11) … è parte di quei piccoli a cui è rivelato il Regno (cfr 10, 21-24); ai grandi il Regno resta nascosto ed infatti i capi ed i soldati sono incapaci di leggere il paradossale Re crocefisso … è nascosto anche al primo ladrone che vuole una salvezza secondo i suoi parametri perché è uno che si fa grande persino sulla croce tanto da voler insegnare e dettare le sue leggi …

            L’altro ladrone sente che quel Crocefisso accanto a lui è vicinissimo, èprossimo tanto che è l’unico in tutti gli evangeli che chiama Gesù semplicemente per nome e contemporaneamente sente che è davvero re nonostante le beffe che ascolta sulla sua pretesa. E’ un re che può aprirgli l’oltre, è uno che, incredibilmente, ha un regno. Per sé questo ladro chiede solo una cosa semplice ma grandissima: Ricordati di me!

            Ricordate Zaccheo? Nel suo nome, nel significato del suo nome, portava questa certezza: Dio si è ricordato; quel Dio l’è andato a cercare sul suo albero di sicomoro perché si è ricordato di lui. Il buon ladrone dall’albero della sua umile croce chiede al Re Crocefisso di ricordarsi di lui misero ladro perduto … e Gesù gli spalanca un oggi di paradiso; Gesù trasforma quell’oggi di orrore fatto di insulti, sofferenza, sangue e morte in un oggi di pace, di intimità con il Re dell’universo, con il Re che dà senso a tutto. Il “paradiso”, nella tradizione dell’antico vicino oriente, era il giardino intimo del re, il luogo di delizie in cui hanno accesso i familiari, gli amici, gli amati.

            Il primo santo entra nella gloria del Signore e a noi è indicata una via per riconoscere la signoria di Cristo nelle nostre vite, una signoria che ci spalanta le vie del senso, dell’intimità con Cristo … attraverso la via costosa della croce. Per entrare nella sua signoria è necessario essere crocefissi non per morire soffocati dalle proprie pretese grandezze e dai propri peccati, come il ladrone che insulta, ma per far morire l’uomo vecchio, quelloc he si oppone a Dio e all’amore fino all’estremo. La croce del primo ladrone è una croce di buio e disperazione, quella del secondo ladrone è una croce, certo dolorosa e costosa, ma che apre l’immenso perché è davvero quella di Cristo, quella su cui Lui è venuto ad inchiodare la nostra condanna; amandoci e dando senso a tutta la storia.

            Ad un Re così ci si può e ci si deve consegnare!
Fonte:www.monasterodiruviano.it/

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