Don Marco Ceccarelli,IV Domenica di Avvento “A” – 18 Dicembre 2016


IV Domenica di Avvento “A” – 18 Dicembre 2016
I Lettura: Is 7,10-14
II Lettura: Rm 1,1-7
Vangelo: Mt 1,18-24
- Testi di riferimento: Es 17,7; 33,14-16; 34,9; 1Sam 5,7; 6,9.20; Gdc 6,13-16; 1Re 8,57; 2Cro
13,12; 32,8; Gdt 13,11; Gb 14,4; Sal 103,3-4; 130,8; Is 4,2; 6,13; 11,1.10; 25,8; 42,1-4; 43,25;
44,22-23; 45,21-22; 53,2.11; Ger 14,9; 23,5-6; Ez 34,30; 37,26-27; Zc 3,8; 6,12; Mt 1,1; Mc 2,7; Lc
1,68; At 18,9-10; Rm 8,31; 1Tm 1,15; Tt 2,14; Ap 21,3-4
1. La quarta domenica di Avvento è ormai proiettata alla festa di Natale, alla prima venuta di Gesù.

Perciò la tematica è quella dell’adempimento delle promesse messianiche riguardo al futuro re davidico,
che troviamo nell’Antico Testamento, specialmente nei testi profetici. Tale tematica mette in
rilievo la verità che Dio è fedele per sempre e non viene meno alle sue promesse, mantenendole al
di là di ogni aspettativa umana, attraverso vie inaspettate. Anche nel momento in cui la discendenza
davidica sembrerà irrimediabilmente perduta e il regno non più realizzabile, Israele deve credere
che comunque Dio compirà quanto ha promesso. Certo, siccome le vie di Dio non sono le nostre
Egli ha realizzato le sue promesse in una forma che non rientrava negli schemi di coloro che ne erano
in attesa. Dio è sempre superiore alle nostre aspettative; è sempre fuori dai nostri schemi.
2. La prima lettura.
- Si tratta della famosa profezia dell’Emmanuele che sarà applicata alla nascita di Gesù. Isaia rivolge
queste parole al re davidico Acaz nel contesto di una minaccia da parte di alcuni re nemici. Il
profeta ha già detto ripetutamente al re che si deve fidare di Dio e non agitarsi per cercare alleanze
umane (per esempio con il re di Assiria). Ora gli dice anche di chiedere un segno. L’atteggiamento
di Acaz nel rifiutare il segno per non tentare il Signore, ha tutta l’apparenza di un atteggiamento di
fede. Ma non è così. È vero che non bisogna tentare Dio e non chiedere per forza dei segni (Dt
6,16). Ma nel momento in cui è Dio stesso che li vuole dare, bisogna accettarli e riconoscerli. Se
Dio vuole dare dei segni significa che dobbiamo vederli. Dietro all’atteggiamento di Acaz dunque
non sta la fede, ma la paura di dover riconoscere che Dio gli sta veramente parlando e quindi di dover
fare la sua volontà. Quando non si vuole fare la volontà di Dio non si è disposti a ricevere e a
riconoscere alcun segno.
- La profezia di Is 7,14 ha il suo accento nel nome dato al bambino della vergine. Quello che conta è
la realtà espressa dal nome; e tale realtà è che Dio sarà in mezzo al suo popolo per salvare. Il nome
del bambino annuncia che il trascendente e inaccessibile Dio si farà presente in mezzo agli uomini.
Al re, spaventato e in procinto di cercare alleanze umane per salvarsi dai nemici che lo assediano,
Isaia ricorda che solo in Dio c’è salvezza, ed Egli si farà presente per salvare. Dunque la forza di
questa profezia cade interamente sul nome “Emmanuel”, che sta ad indicare la presenza del Signore
in mezzo al suo popolo e il suo intervento per salvarlo. Il modo in cui ciò si realizzerà in Gesù sarà
totalmente inaspettato e impensabile.
3. Il Vangelo.
- “Così fu generato Gesù Cristo” (v. 18). Questa frase (tradotta in questo modo), che introduce il
brano di Vangelo odierno, è un po’ fuorviante, si presta cioè a condizionare l’interpretazione del
brano. In effetti, a ben guardare, qui non si parla affatto della nascita di Gesù. Il tema del racconto
non è la nascita, ma come mai Gesù, che nasce verginalmente da Maria, senza concorso cioè di
Giuseppe, è veramente il “Cristo”, cioè il Messia, dalla discendenza di Davide. Il senso della frase è
dunque questo: “L’origine di Gesù in quanto Messia avvenne così …”.
- Prima del nostro brano, Matteo presenta la genealogia che parte da Abramo e arriva, attraverso
Davide, fino a Giuseppe. Però a differenza di tutte le altre generazioni non si dice che Giuseppe generò
Gesù, ma che egli era «lo sposo di Maria dalla quale nacque Gesù chiamato Cristo» (v. 16).
Dunque il nostro racconto non ha lo scopo di informarci della nascita verginale di Gesù da Maria, e
nemmeno di raccontare come Giuseppe ne sia stato informato. Giuseppe già lo sapeva. Quello che
Giuseppe non sapeva è che, nonostante che Maria fosse stata presa da Dio per un’opera speciale,
egli doveva comunque sposarla e dare il nome al bambino.
- “Giuseppe suo sposo era giusto” (v. 19). Giuseppe era già sposo di Maria perché fra i due si è già
realizzata la forma giuridica, ma non la coabitazione. Nel momento in cui egli sa di quello che è avvenuto
in Maria, pensa che sia il caso di ritirarsi. La sua “giustizia” consiste nel rinunciare ai suoi
diritti per lasciare fare alla volontà di Dio. Capendo che Maria è stata chiamata da Dio per qualcosa
di speciale egli pensa di farsi da parte. Certo, rinunciare a questo punto al matrimonio sarebbe un
atto grave che metterebbe Maria in seria difficoltà. Perciò pensa di farlo segretamente. Ma su questo
viene “corretto” dall’angelo.
- Il messaggio dell’angelo non ha dunque lo scopo di informare Giuseppe che quanto è avvenuto in
Maria è opera dello Spirito Santo; ma che nonostante che la gravidanza di Maria fosse opera dello
Spirito Santo, di un intervento straordinario di Dio, tuttavia egli deve prenderla come sposa perché
ella gli partorirà un figlio al quale dovrà dare il nome. Giuseppe pensava di ritirarsi per lasciare
campo libero a quello che Dio voleva fare con Maria. In questo si mostra tutta la sua giustizia. Giuseppe
aveva tutto il diritto di tenersi Maria per sé. Ma egli rinuncia al suo diritto, decide di farsi da
parte; non vuole ostacolare il progetto divino. Ma proprio nel momento in cui Giuseppe dovrebbe
uscire di scena Dio lo rimette in gioco. Quando si rinuncia a lottare con Dio, a voler ostacolare i
suoi piani per realizzare quelli nostri, ancorché giustissimi, è allora che Dio ci rimette in gioco. È
allora che anche noi entriamo a far parte della storia della salvezza. Così l’angelo dice a Giuseppe
quale sarà la sua missione: prendere comunque Maria con sé, come sua legittima sposa e dare il
nome al bambino. Dando il nome al bambino, riconoscendolo cioè come suo figlio, il bambino acquista
tutti i diritti paterni, vale a dire entra nella discendenza davidica. Nonostante che Maria abbia
concepito verginalmente per opera dello Spirito Santo, Gesù è veramente il Messia, il figlio di Davide,
perché è legittimamente figlio di Giuseppe, che gli ha dato il nome, riconoscendone la paternità.
Gesù è allo stesso tempo figlio di Dio – nel senso pieno del termine – e figlio di Davide (seconda
lettura).
- Gesù è l’Emmanuele (vv. 22-23). Quello che Giuseppe deve fare, cioè imporre il nome di Gesù al
bambino, è spiegato come l’adempimento della profezia dell’Emmanuele presentata nella prima lettura.
Però, viene da chiedersi, che c’entra il nome di Gesù con la profezia dell’Emmanuele? Gesù
era un nome abbastanza comune; significa “Dio salva” o “Dio è salvezza”. Invece Emmanuele significa
“Dio è con noi”. Siccome il tipo di salvezza che Gesù dovrà portare non verrà compresa facilmente,
come appare nel seguito di Mt, l’angelo mette subito in chiaro che egli salverà il suo popolo
dai suoi peccati. Ma ovviamente nessuno può salvare dai peccati se non Dio solo (Mt 9,3). Per
questo il bambino sarà Gesù, cioè Dio salva (dai peccati) perché è l’Emmanuele, il Dio con noi. Essendo
stato concepito dallo Spirito Santo, in lui si realizza perfettamente quanto contenuto nel nome
Emmanuele. Soltanto se Dio viene in mezzo a noi possiamo ricevere quella salvezza vera che nessun
uomo ci può dare, che è la salvezza dal peccato. Il Dio-con-noi è garanzia del perdono dei peccati.
Con il Dio-con-noi inizia una nuova storia, una nuova umanità, non più segnata irreparabilmente
dal peccato. Il Dio-con-noi è tutto quanto ci occorre, è l’unica cosa necessaria, perché se Dio
è con noi non dovremo temere alcun male. Il vero male era dentro, non fuori. Ma ora che “dentro”
c’è Dio-con-noi il peccato è annullato.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/

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