MACHETTA Domenico SDB, Omelia "Natale di Gesù" Messa della Notte

25 dicembre 2016 | Natale di Gesù - A | Omelia
Messa della Notte
1ª LETTURA: Is 9,1-6 - VANGELO: Lc 2,1-14

L'attesa della messa di mezzanotte è tra le realtà spirituali più belle, e ha una grande importanza
liturgica. Come tutte le veglie liturgiche, ha il clima del desiderio del-l'incontro, dell'incontro con lo Sposo che viene. Vegliare nella notte con le lampade accese è necessario per essere pronti, vestiti a festa.
"O Dio - dice la colletta della messa - che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra lo contempliamo nei suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo".
La messa della notte dovrebbe essere preceduta da un grande silenzio, un silenzio che ci permetta di cogliere la portata inaudita dell'evento che si celebra.
Il Verbo, generato ab-aeterno dal Padre - "ego hodie genui te", cantava l'antico introito - scende tra noi. "O admirabile commercium! (O ammirabile scambio!)". Il creatore del genere umano, assumendo un corpo come noi, si è degnato di nascere dalla Vergine. "Et largitus est nobis suam deitatem": ci ha elargito la sua deità, ci ha fatto partecipi della natura divina (divinae consortes naturae: 2 Pt1,4). "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce... poiché un bambino è nato per noi" (1ª lettura).

La profezia di Is 9 si riferisce alle popolazioni della regione nord-est di Israele, assegnata alle tribù di Zabulon e Neftali, dove la via maris attraversava la regione chiamata "curva dei gojim" e più tardi Galilea. Quelle popolazioni, verso gli anni 739-734 a.C. erano state umiliate dalle deportazioni di Tiglat-Pilezer, re di Assiria. Isaia prevede un ritorno dei deportati: le tenebre saranno cambiate in luce.
Questa liberazione è messa da Isaia in relazione con la nascita di un bambino di stirpe davidica, chiamato simbolicamente Emmanuele, Dio-con-noi, destinato a instaurare un'epoca di pace. Probabilmente Isaia pensa al figlio di Acaz, Ezechia, che sarà uno dei migliori re di Gerusalemme (716-687). Questo passaggio dalle tenebre alla luce ricorda al profeta un altro evento ("come ai tempi di Madian..."): la notte della vittoria di Gedeone su Madian quando ai trecento prodi bastò suonare le trombe e gridare: "Per Adonaj e per Gedeone!" e rompere le brocche, così che le torce brillassero nella notte, perché l'esercito nemico fosse messo in rotta e fosse spezzato il giogo che gravava sulle spalle di Israele. Gli Israeliti potevano finalmente mietere il loro grano nelle aie, cantando, alla luce del sole e non più nei nascondigli.

Matteo riprenderà questi testi quando parlerà dell'arrivo di Gesù a Cafarnao.
Il Vangelo inizia con una parola che non viene fuori nel testo italiano, un termine che Luca usa più volte: "eghéneto" in greco, "factum est" in latino, "avvenne": è un impersonale, l'impersonale di Dio! Indica una circostanza la cui ragione d'essere non è subito visibile, perché appartiene a Dio. Imprevisti, contrattempi (un editto...), cose dritte, cose storte... tutto entra in un misterioso disegno di Dio che a noi sfugge.
Ma veniamo al punto centrale: "Per Maria si compirono i giorni del parto".
Tutto nella normalità: un bambino come i nostri, con i movimenti, i vagiti e i bisogni di ogni bambino. Maria lo avvolge in fasce e lo depone in una mangiatoia. La parola mangiatoia (praesepium) che Luca ci martella per tre volte assume evidentemente un'importanza eccezionale. Perché non c'era posto per loro nella stanza comune, il "katálüma". Luca userà un'altra volta questa parola parlando della stanza dell'ultima cena, la camera al piano
superiore. Nelle case povere era l'unica stanza, dove alloggiavano, si mangiava, si dormiva: alla notte si stendevano stuoie, brandine per dormire (ricordiamo la parabola dei tre pani di Luca 9). Poi c'era una grotta-stalla: Maria e Giuseppe avranno certamente preferito questo luogo più tranquillo e più adatto per l'evento. Non dobbiamo dunque pensare a un rifiuto: conosciamo il senso di ospitalità dell'oriente, e poi Giuseppe era tra i parenti. Gesù nasce a Betlemme perché Giuseppe, il capo famiglia, è di Betlemme e per il censimento occorreva tornare al paese d'origine.

La messa di mezzanotte ci invita a stare in contemplazione di questo bambino. Un bambino vivo tra noi, per noi, tutto nostro: "Deum infantem pannis involutum". "Lo avvolse in fasce!".
La Chiesa canta con verità: oggi è nato per noi. Non è un semplice ricordo di un evento passato, ma quell'evento è misteriosamente presente in questa notte, perché appartiene all'eternità. Il contenuto eterno di quell'evento è presente, qui e ora, per noi. "È apparsa la grazia di Dio", dice la lettera a Tito (2ª lettura).
Erompe l'inno evangelico nella notte: "Gloria a Dio e pace agli uomini". Se Dio ha gloria, l'umanità ha pace, ecco il messaggio della notte di Natale. Dove Dio ha gloria (kavòd = peso), c'è la pace (shalom, cioè tutto ciò che, di stabile e definitivo, Dio ha sognato per ciascuno di noi).

"Maria diede alla luce il suo figlio". Una sobrietà sconcertante. Una parola in più potrebbe diminuirne la potenza.
Fasce, mangiatoia, fatica, normalità: questo è l'ambiente delle teofanie.
Povertà e normalità non vengono abolite, ma d'ora in poi sono segno della presenza di Dio: "Questo è per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce deposto in una mangiatoia". Cioè, in sostanza, nessun segno. Tutto normale e povero. Il Verbo si è fatto carne.

Da: Domenico MACHETTA
 Fonte:  www.donbosco-torino.it

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