MONASTERO DI RUVIANO, QUARTA DOMENICA D’AVVENTO

QUARTA DOMENICA D’AVVENTO

Is 7, 10-14; Sal 23; Rm 1, 1-7; Mt 1, 18-24

            “A quanti sono in Roma, amati da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre
nostro e dal Signore Gesù Cristo”. Questo saluto di  Paolo, che oggi ascoltiamo nell’ incipit della sua Lettera ai cristiani di Roma, al termine di questo Avvento, è davvero un “evangelo”; ai cristiani di Roma Paolo proclama la buona notizia dell’amore, della grazia e della pace; l’ amore fondamento di ogni movimento in Dio, la grazia che è l’assoluta gratuità di Dio nei nostri confronti, la pace che è il dono di Dio da far fruttificare, nelle nostre vite, in una prassi di pace e di fraternità che muti davvero la faccia della Terra.

            E’ questa la via degli uomini dell’Avvento: conosciuta la grazia per mezzo di Gesù Cristo, conosciuto l’amore di Dio che li ha toccati nelle loro miserie, attendono la sua venuta e vivono in questa attesa e di questa attesa ma donando, per questa attesa, un volto nuovo alla storia che vivono!

            Quest’ultima domenica d’Avvento ha al suo centro la figura straordinaria di Giuseppe di Nazareth che, per la teologia di Matteo, è punto di convergenza della fedeltà di Dio verso Israele, suo popolo e verso la discendenza di David. In Giuseppe le parole di Isaia al re Acaz, nel celebre passo del libro dei suoi oracoli che oggi si legge, giungono a realizzarsi! Senza Giuseppe, dobbiamo dirlo, non ci sarebbe adempimento di questa grande promessa messianica. Se è vero, infatti, che Maria è, nel suo grembo verginale, il terreno dell’Emmanuele, è altrettanto vero che Giuseppe è la via attraverso cui Dio passa per essere fedele alla sua alleanza con Israele, alla promessa fatta alla casa di David fin dai tempi delle parole del profeta Natan a David stesso (cfr 2Sam 7,11).

            Lasciamoci guidare oggi, nella nostra riflessione, dalla vicenda di Giuseppe e da ciò che, in lui, l’evangelista Matteo vuole consegnarci.

            Giuseppe è detto giusto; perché è giusto? Sono state dette tante cose circa questa giustizia di Giuseppe; è giusto perché affronta una situazione, a dir poco, sconcertante e dolorosa, quale quella della gravidanza della sua promessa sposa, cecando le vie di Dio e non le proprie; cerca le vie di Dio perché decide di non far del male … tuttavia non sa come fare. Come osservare la Torah e contemporaneamente non rendere pubblico un “lasciar andare” la sua sposa? Giuseppe è giusto perché cerca delle vie per non rendere pubblico un fatto che poteva arrecare danno alla donna che amava e con cui aveva dei sogni. Maria rischiava addirittura la lapidazione!

            Per cogliere tutta la drammaticità di questa vicenda, bisogna ricordarsi che Giuseppe è un ragazzo innamorato e pieno di sogni (forse poco più che ventenne!), non è il vecchietto che certa apologetica pia ha presentato quasi a giustificare la continenza coniugale! Per carità! Giuseppe è in ambascia dinanzi a quella situazione sorprendente (infatti il testo dice che Maria fu trovata incinta … certo, poi aggiunge di Spirito Santo, ma questo lo sa l’Evangelista che lo comunica al lettore ma non lo sa ancora Giuseppe!). A questo punto del racconto interviene Dio a risolvere il dilemma di Giuseppe; “kat’onàr” , cioè “in sogno”, un angelo del Signore gli dice in primo luogo di non temere; la richiesta di Dio, per la quale non deve temere, è di prendere Maria come sposa, di accogliere dunque il frutto del suo grembo che è generato dallo Spirito Santo; la richiesta di Dio a Giuseppe è di essere padre  del Figlio generato da Dio, di essere padre davidico di quel Figlio perché possano adempiersi le promesse della Prima Alleanza. Ecco perché Giuseppe è chiamato dall’angelo Figlio di David e ci impressiona che poi nel corso dell’Evangelo questo sarà uno dei titoli ordinari che la gente darà a Gesù, fino all’ingresso a Gerusalemme nel giorno delle palme (cfr Mt 21,9).

            Si fa chiara allora l’intenzione di Matteo in questo racconto; se si legge superficialmente pare che la sua prima intenzione sia sottolineare la nascita verginale di Gesù, in realtà il racconto tende ad affermare, in primis, la fedeltà di Dio. Infatti Gesù è inserito nella stirpe davidica ma non secondo la linea del sangue; Gesù è allora segno di una fedeltà di Dio che però si rivela anche giudizio per la casa di David. L’essere Figlio di David è, infatti, affermato ma è anche superato da Matteo. In primo luogo perché Matteo afferma che Gesù è il Figlio di Dio e non solo il Figlio di David: è dono che viene direttamente da Dio, è “Dio-con-noi”! In secondo luogo Matteo così purifica il progetto messianico che, dicendo “Figlio di David” si poteva facilmente evocare: quello che verrà da Gesù non è un progetto di restaurazione politica e religiosa; Matteo supera la “materialità” della discendenza davidica perché afferma che Gesù è una novità anche se inserito nell’antica stirpe davidica: è nato dallo Spirito Santo (ecco che l’affermazione della nascita verginale non è assolutamente secondaria e accessoria!), il suo progetto è quello della croce! Dio in Gesù compie le promesse fatte a David ma, contemporaneamente, giudica la casa di David e tutto Israele: resta fedele alla promessa ma, inviando suo Figlio nella carne non per via biologica dalla stirpe di David, pronunzia un giudizio sui peccati di quella stirpe ed “aggiunge”a quella stirpe la grazia e la salvezza e lo fa tramite l’obbedienza di un “figlio di David” che si chiama Giuseppe, che significa “Dio aggiunge”.

            Lo sposo di Maria ha la vocazione ad essere padre ma per una via che non è quella della carne e del sangue; dovrà vivere una vera paternità dando il nome a quel Figlio generato dallo Spirito: Tu lo chiamerai Gesù: è lui infatti che salverà il suo popolo dai suoi peccati. Implicitamente Matteo cita qui il Sal 130 (v. 8): “Egli redimerà Israele da tutte le sue iniquità” e, si badi bene che lì il soggetto è Dio! C’è poi la celebre citazione esplicita dell’oracolo di Isaia sulla vergine che partorisce l’Emmanuele!

            Giuseppe si fida del sogno, crede a ciò che Dio gli ha detto e fa ciò che Dio gli ha detto! Matteo scrive che prese la sua sposa, cioè la introduce nella sua casa, la riconosce come moglie e riconosce il come suo il Figlio che lei porta in grembo dandogli il nome che Dio gli aveva detto Jeshua’ (“il Signore salva”). Così il Figlio, grazie a Giuseppe, grazie alla sua fede, entra nella casa di David e riceve quel nome nel quale tutti trovano salvezza!

            Che meraviglia la fede di questo ragazzo che sceglie Dio e le sue vie rispetto alle sue vie; che sceglie i sogni di Dio e depone i suoi; che crede l’incredibile e concepisce l’inconcepibile … sì, anche lui, come Maria (e lo dicevamo nel giorno dell’Immacolata!).

            Al termine dell’Avvento ancora una volta siamo portati a proclamare che solo così si prepara la Venuta del Signore che ritorna! Solo se, come Giuseppe, credendo al sogno di Dio diamo più credito alla stoltezza dell’Evangelo che al buon senso del mondo, solo se, come Giuseppe, siamo capaci di deporre il cumulo dei nostri sogni e progetti per far spazio al sogno e al progetto di Dio; solo se, come Giuseppe, siamo uomini e donne di ascolto capaci di dirimere le nostre vie ingarbugliate prendendo a criterio Dio e la sua Parola.

            Giuseppe, come pio ebreo, circonciso all’ottavo giorno, sentiva come sua vocazione e come benedizione di Dio, il generare figli al popolo dell’Alleanza e delle Promesse; a lui, solo tra tutti i Patriarchi, è chiesto di rinunziare a quella potenza generativa simboleggiata dal segno della circoncisione nella carne ma per essere padre “al posto” di Dio per un Figlio che avrà bisogno della sua tenerezza, della sua sapienza, della sua fede per essere veramente uomo e per realizzare la salvezza di Dio! Il Figlio di Dio, uomo perfetto, ha avuto bisogno dell’umanità di Giuseppe e della sua paternità per essere quel che doveva essere, come aveva avuto bisogno della carne e del sangue di Maria per piantare la sua tenda in mezzo a noi. Avrà bisogno di Giuseppe, che avrà chiamato con tenerezza “abbà” per poter un giorno dire in pienezza a Dio “Abbà”. Straordinario!

            L’ultima domenica di questo Avvento ci ripete con forza che c’è salvezza lì dove si rinunzia alle proprie potenze per divenire luogo in cui totalmente possa dispiegarsi la potenza di Dio.

            Giuseppe, ultimo Patriarca della Storia della salvezza, così è stato terreno per la potenza di Dio e per la sua fedeltà.

Fonte:http://www.monasterodiruviano.it/

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