mons. Remo Bonola“T”, cioè la tentazione intesa come “prova”

5 Marzo 2017
I Domenica di Quaresima - A
(commento di mons. Remo Bonola)
Introduzione.
La Chiesa all’inizio del cammino quaresimale mette davanti a ciascuno di noi due scenari contrapposti: il paradiso e il deserto.

Nel primo, per mezzo del fattore “T”, cioè la tentazione intesa come “prova”, si consuma il primo peccato della storia (= il peccato originale); nel secondo invece ci viene data la possibilità di orientare qualunque “prova” della vita verso il bene.
Due scenari contrapposti dunque: il paradiso e il deserto:
1)   Nel primo, protagonista perdente ma indiscusso è l’uomo, suggestionato dal demonio.
2)   Nel secondo, protagonista assoluto e vincente è Cristo Gesù Figlio di Dio.
3)   Il feeling, che accomuna entrambi: l’uomo e Cristo, è il “fattore T” o tentazione intesa come prova.
Dalla tentazione, a cui ciascuno di noi è facilmente esposto, dipende la nostra progressiva crescita nel bene o nel male.
Per questo alla luce dell’odierna Parola di Dio, sono d’obbligo alcune importanti considerazioni sul “fattore T” cioè sulla tentazione intesa come “prova”.
A) Che cos’è in pratica la tentazione?
Risposta. È ogni sollecitazione della volontà, quindi della nostra libertà interiore a compiere:
1)   un atto di virtù: in tal caso la tentazione ci orienta o ci rafforza nel bene;
2)   oppure un atto contrario alla virtù: in tal caso la tentazione ci istiga o ci consolida nel male.
È chiaro che il soggetto principale della tentazione è sempre l’uomo in quanto tale, cioè come essere libero e razionale; mentre fattori concomitanti:
a)   nel bene: Dio, la Madonna, i Santi, le persone oneste ecc.
b) nel male: il demonio, le nostre passioni interne (= vizi capitali), persone e circostanze equivoche ecc.
Inoltre c’è da tener presente che, tanto nella lingua ebraica, quanto in quella greca (periasmόs) il termine che traduciamo con tentazione evidenzia il carattere specifico di “prova da sostenere”.
Perciò possiamo dire che:
a)   Prima del peccato originale, la tentazione, intesa come prova, l’ha permessa Dio all’uomo perché questi potesse “in piena libertà” crescere nella fedeltà, amicizia e comunione con Dio.
b) Dopo il peccato originale, la tentazione, sempre intesa come prova, resta soggetta alle forti suggestioni interne delle passioni e a quelle esterne del maligno e  del mondo circostante, che cercano di deviarla verso il male, piuttosto che verso il bene.
c)   Con la venuta del Messia, promesso nella persona di Gesù Figlio di Dio, la tentazione rimane, ma con la differenza che siamo messi in grado di superarla facilmente, anzi addirittura di farne uno strumento di crescita spirituale e di fedeltà a Dio.
Stando così le cose, possiamo dire allora che, dopo il peccato originale, la tentazione essenzialmente è una prova che si risolve:
a)   nel bene, se riusciamo a seguire le vie di Dio e non quelle del mondo e dei nostri capricci;
b) nel male, qualora invece ci lasciassimo accalappiare dagli impulsi delle nostre passioni e dai trabocchetti del maligno.
Riflessione. Che dire dunque di questa problematica realtà che è la tentazione nella trama della nostra vita quotidiana?
Lasciamo la parola all’autorevole testimonianza del Papa emerito Benedetto XVI, che commentando il Vangelo di oggi scriveva: «La natura della tentazione è quella di rimuovere Dio, che, di fronte a tutto ciò che nella nostra vita appare più urgente, sembra secondario, anzi addirittura superfluo e fastidioso. Di qui nasce la malizia intrinseca ad ogni tentazione: quella di mettere ordine da soli nel mondo, senza Dio, contando solo sulle proprie forze e capacità (cfr. Il mito di Icaro). Ne consegue che si riconoscono vere e utili solo le cose reali (il pane, il potere, il piacere, l’avere ecc.), mentre Dio è inutile, perché considerato un’illusione».
Alla luce di questa considerazione possiamo capire che, se nella tentazione il diavolo ci fa apparire Dio come illusorio o superfluo, è chiaro allora come l’uomo d’oggi possa fare a meno di Lui e cerchi di dedicarsi e di puntare nella vita di ogni giorno solo a ciò che è reale e immediato.

B)   Qual è la prospettiva della tentazione?
Risposta. La stessa che il maligno fece balenare ai nostri progenitori, quando disse loro: «Dio sa che, quando voi ne mangiaste (dell’albero) si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (prima lettura).
Ecco dunque la prospettiva di ogni tentazione: quella del segmento che pensa di poter fare a meno della retta, cioè quella dell’uomo che crede di piegare la volontà infinita di Dio alla sua debole e limitata volontà umana. Cosa veramente ridicola e assurda!

C)   Quale la dinamica della tentazione?
Risposta. La medesima che ci viene descritta sempre nella prima lettura con rara perizia psicologica:
«La donna vide che l’albero (cioè la prospettiva di diventare una first lady, una fuoriclasse) era:
1)   buono da mangiare (tale da azionare la leva del “piacere”)
2)   gradito agli occhi (tale da azionare la leva dell’ “avere”)
3)   desiderabile per acquistare saggezza (tale da azionare la leva del “potere”)
prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito…» (prima lettura).
Riflessione.  Una dinamica perfetta questa, capace di scatenare la triplice concupiscenza scaturita dal peccato originale e che san Giovanni denuncia in questi termini: «Tutto quello che è nel mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo e il mondo passa con la sua concupiscenza» (1 Gv 2,16-17).
La stessa triplice concupiscenza che nello scenario del deserto Gesù decisamente ha respinto e sconfitto per noi nella terna di tentazioni a cui ha voluto sottoporsi liberamente per insegnare a noi come si affrontano senza paura, ma anzi con frutto, tutte le tentazioni possibili, altrimenti – come ha detto qualcuno - «Tutto è tentazione per chi la teme». (La Bruyere, I caratteri).

D) Quali le conseguenze della tentazione?
Risposta. La conseguenza madre dalla quale scaturiscono tutte le altre, è quella dell’uomo che, dopo il suo peccato di origine si rende conto di essere “nudo” cioè:
1)   Metafisicamente limitato e quindi soggetto a qualunque debolezza fisica, morale, spirituale, culturale e sociale;
2)   Teologicamente tagliato fuori dall’amicizia e dalla comunione con Dio, dal momento, che, a tentazione consumata nel male, nel suo cuore esplodono (cfr. Mc 7,20-23):
a)   discordia e divisione (vedi la frantumazione in atto nei rapporti familiari e di coppia),
b)   odio, autentica miccia capace di suscitare guerre, delitti, violenze, sopraffazioni senza fine, come la storia purtroppo dimostra.
Conclusione. Dinanzi a questo stato di cose, che cosa fare? A noi credenti non resta che prendere atto della pericolosità della tentazione, ma non per deprimerci, bensì per combatterla, come il Signore più volte nel Vangelo ci suggerisce, mediante la vigilanza, la preghiera e la penitenza: strumenti squisitamente quaresimali. E, se questo non bastasse, san Paolo ci ricorda che mai nessuno è tentato al di sopra delle sue forze, e per di più, come l’Apostolo, ognuno di noi può sempre dire: «Tutto posso in Colui che mi dà forza» (Fil 4, 13).

Fonte:www.omelie.org,

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