Jesùs Manuel Garcìa, LECTIO "La fede è un'attiva lotta contro la paura"
XII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
LECTIO - ANNO A
Prima lettura: Geremia 20,10-13
Sentivo la calunnia di molti: «Terrore all’intorno! Denunciatelo! Sì, lo denunceremo». Tutti i
miei amici aspettavano la mia caduta: «Forse si lascerà trarre in inganno, così noi prevarremo su di lui, ci prenderemo la nostra vendetta». Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere; arrossiranno perché non avranno successo, sarà una vergogna eterna e incancellabile.
Signore degli eserciti, che provi il giusto, che vedi il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa! Cantate inni al Signore, lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori.
La pericope fa parte delle cosiddette «confessioni di Geremia», brani considerati un tempo autobiografici, ma di redazione probabilmente post-esilica. Chi parla in queste composizioni è un «io» liturgico, mediatore cultuale tra la nazione e Dio: il tormento che vi si esprime è non tanto individuale, quanto collettivo, di tutto il popolo. Nella quinta confessione (Ger 20,7-18) i vv. 10-13 sono forse dovuti a un secondo redattore, e separano il grido di disperazione (vv. 7-9) dal lamento (vv. 14-18).
Il tema generale è la persecuzione a causa della parola, che colpisce il profeta come figura esemplare di tutta la comunità dei pii giudei.
v. 10 — La folla (molti, rabbîm) cospira contro il profeta e ne spia le debolezze per sopraffarlo. Tra la folla sono anche gli «amici», o piuttosto dei presunti amici: la stessa comunità si rivolta contro il giusto.
v. 11 — Il giusto gode tuttavia della protezione del Signore, che sta al suo fianco come una guardia del corpo (gibbôr). Lo schema seguito è quello delle lamentazioni dei Salmi, in cui all'esposizione del caso e al lamento (vv. 7-9, la persecuzione) segue la soluzione liberatoria e il rendimento di grazie (vv. 10-13).
v. 12 — La preghiera esprime la fiducia del giusto nel Signore, che conosce e scruta in profondità il suo animo. Viene invocata non tanto la «vendetta», quanto la «liberazione» data dalla vittoria sui nemici, gli empi: è il senso della radice naqam riferita a Dio.
v. 13 — Il versetto conclude la prima parte della «confessione» con un invito alla lode, che esprime la certezza di essere esauditi.
Gli elementi tipici della lamentazione fanno pensare non tanto a un discorso di Geremia in prima persona, quanto a una interpretazione della sua storia personale nei termini di una opposizione tra pii ed empi, dove al profeta si sostituisce la figura emblematica del «giusto» e del «povero». Un primo nucleo è probabilmente costituito dall'esperienza di Geremia, rielaborata dal redattore deuteronomistico durante l'esilio, radicalizzata poi nella redazione finale post-esilica nel quadro del conflitto tra pii ed empi.
Seconda lettura: Romani 5,12-15
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato.
Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.
La lettera ai Romani espone la triplice liberazione — dalla morte, dal peccato e dalla legge — conseguenza della giustificazione tramite Gesù Cristo. Il rapporto tra il peccato e la morte, e la vittoria della vita in Cristo, vengono spiegati in Rm 5,12-21 attraverso il confronto tra Adamo e Gesù, e tra uno e molti/tutti. Il versetto centrale del brano, cuore del ragionamento di Paolo, è il 17, che afferma con forza la sovrabbondanza della grazia rispetto al dominio della morte.
I versetti 12-14 presentano la situazione di fatto: il peccato, e attraverso il peccato la morte, è entrato nel mondo, perché tutti hanno peccato, a somiglianza di Adamo (v. 12). Pur non essendo imputabile finché non c'era la Legge, il peccato era tuttavia nel mondo (v. 13), e la morte dominò anche su quelli che non avevano peccato.
La «trasgressione» (paràbosis) di Adamo è riferita al precetto; il «peccato» (amartia, al singolare) è un atteggiamento negativo di fondo nei confronti della grazia, la rottura del rapporto personale di amicizia con Dio, qualcosa di più della semplice disobbedienza. Non è tanto una realtà ontologica, ereditata da Adamo (come ha dimostrato S. Lyonnet,
l'interpretazione tradizionale di Agostino si basava sulla traduzione errata della Vulgata: «efhô pantes èmarton» reso con «in quo omnes peccaverunt», cioè «tutti hanno peccato in Adamo» invece che «dato il fatto che tutti hanno peccato»). Si tratta piuttosto della condizione comune di peccaminosità che Paolo rileva come un dato di fatto, la situazione cioè in cui tutti si trovano e di cui Adamo è il primo esponente, «immagine» o «tipo» di Colui che doveva venire.
Dal v. 15 si sviluppa la tipologia tra Adamo e Cristo, non come semplice parallelo ma come superamento e sovrabbondanza. Uno solo, Adamo, il primo ad avere disobbedito, è modello dei molti che hanno peccato, sia prima che dopo la Legge di Mosè; uno solo, Cristo, è veicolo della grazia sovrabbondante che si riversa sui molti, ben superiore («molto di più») che in Adamo. Ciò che preme qui a Paolo non è la dottrina del peccato originale, ma l'unicità di Gesù Cristo e della sua opera salvifica, la sovrabbondanza della grazia che ribalta il giudizio di condanna e vince il peccato e la morte.
Vangelo: Matteo 10,26-33
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
Esegesi
Il capitolo 10 di Matteo è dedicato al secondo dei cinque grandi discorsi che costituiscono i pilastri portanti di questo Vangelo. È il cosiddetto «discorso della missione», che a partire dalla vocazione dei dodici apostoli indica le direttive fondamentali per la formazione e la missione della Chiesa delle origini. Si tratta di una raccolta di insegnamenti di
Gesù, forse pronunciati in occasioni diverse, e qui ordinati a costituire un vero e proprio programma di evangelizzazione.
La persecuzione preannunciata da Gesù è già in atto quando si compie la stesura scritta del Vangelo che la tradizione attribuisce all'apostolo Matteo. L'insegnamento qui espresso fa i conti quindi con una realtà fatta di pericoli, lotte, contrapposizioni violente, e tende a rafforzare il coraggio dei testimoni con un messaggio di speranza e di fiducia.
vv. 26-27— «Non abbiate paura» è un ritornello ricorrente (v. 26; 28;31). La persecuzione non deve indurre i testimoni al silenzio, al contrario: quello che ora, prima della sua glorificazione, Gesù insegna loro nelle tenebre (il cosiddetto «segreto messianico») dovrà essere proclamato apertamente a gran voce, gridato sui tetti. Il cristianesimo non è una religione esoterica e iniziatica; non ci sono verità segrete o nascoste, riservate a pochi eletti. La manifestazione del Figlio dell'uomo, nella pienezza dei tempi, è una rivelazione universale che deve essere portata a conoscenza di tutti. Si sente qui l'eco della polemica contro le correnti gnostiche che tendevano ad avvicinare il cristianesimo ai culti misterici.
vv. 28-31 — I persecutori non hanno in realtà alcun potere sui cristiani: essi uccidono il corpo, ma non l'anima. Il nemico non è chi detiene la forza della spada; il nemico vero è il peccato, che allontana dalla comunione con il Cristo. Non si tratta di una forma di dualismo che sottovaluti la vita corporea e naturale a favore di uno spiritualismo disincarnato, ma di una scala di valori che va rispettata perché vi sia una vita armonica. Il peccato fa perire l'anima e il corpo nella Geenna; il Padre protegge, con l'anima, anche il corpo: conta perfino i capelli del nostro capo e non lascia cadere neppure un passero. Coloro che confidano nel Padre non hanno quindi nulla da temere.
vv. 32-33 — La testimonianza resa dai cristiani deve essere coraggiosa e sincera: una scelta di vita, senza tentennamenti né compromessi. «Riconoscere» Gesù davanti agli uomini vuol dire confessare apertamente la fede, nonostante la persecuzione; «essere riconosciuti» da lui davanti al Padre che è nei cieli significa essere accolti nella gloria del suo regno.
Meditazione
La fede è un'attiva lotta contro la paura: è così per il profeta Geremia e per i discepoli di Gesù. Le fede esige coraggio. Gesù esorta i discepoli a «non temere» chi può perseguitarli, chi osteggia la loro testimonianza e la loro predicazione. Gesù chiede loro di compiere un esodo dalla paura. O meglio, molto realisticamente, Gesù indica la via non tanto dell'eliminazione della paura, ma del suo addomesticamento, del suo ri-orientamento, dell'elaborazione della paura di eventuali nemici in timore del Signore. Per il discepolo, come per il profeta, la paura viene vinta dalla fiducia nel Signore, dalla coscienza della sua vicinanza (Ger 20,11), dalla fede nel suo amore che si fa carico dei minimi dettagli della nostra vita (Mt 10,30).
I discepoli, inviati da Gesù «come pecore in mezzo ai lupi» (Mt 10,16), nella loro missione incontreranno persecuzioni, ostacoli, inimicizie. E saranno tentati di divenire preda della paura. Ma potranno trovare motivo di coraggio e di forza nella relazione con il Signore, nella certezza di fede che, proprio mentre sono perseguitati a motivo della fede, essi sono sulle tracce del loro Signore (Mt 10,22-25). E potranno attingere motivi di fiducia dall'insegnamento che Gesù ha loro impartito nel segreto, nell'intimità, condividendo con loro la sapienza del proprio cuore (Mt 10,26-27). Solo la parola del Maestro che rimane nel cuore è motivo di forza e di coraggio per il credente il quale manifesta la sua qualità discepolare proprio al cuore della sua attività missionaria.
Le parole del Signore sembrano voler tener vivo nei discepoli il ricordo della sua vicinanza, della sua cura, del suo amore per loro. Solo così essi potranno nutrire fiducia anche nelle tribolazioni e vincere la paura con l'amore. Perché infatti è così importante per il discepolo non aver paura di chi gli può nuocere? Non solo perché avendo paura si vive in dipendenza da coloro che ci vogliono fare del male e si accresce il loro potere su di noi, ma soprattutto perché, se si ha paura dell'altro, ci si impedisce di amarlo. L'inviato del Signore, temendo colui che lo perseguita, si sottrae alla testimonianza del Cristo che può cambiare la realtà dell'altro, il suo odio, amandolo. Come annunciare la buona notizia del van-gelo se ho paura dell'altro? Come predicare la conversione, se mi mostro paralizzato dalla paura? Come può una chiesa che si nutre di paura e di diffidenza nei confronti del mondo, annunciare al mondo la gioiosa notizia della salvezza? Il vangelo chiede ai cri-stiani e alle chiese nella storia di creare rapporti di prossimità e di fiducia anche con i nemici, anche con chi è apertamente ostile.
Comandando ai discepoli di «annunciare dalle terrazze » ciò che egli ha detto, insegnato e consegnato loro nel nascondimento (Mt 10,27), Gesù chiede ai cristiani e alle chiese il coraggio della parola, la parresia, la franchezza e l'audacia dell'annuncio evangelico. Ciò che si oppone alla parresia è la paura che intacca la libertà del cristiano e lo porta a muoversi e ad agire obbedendo a logiche di convenienza, a logiche 'politiche', a dire e a non dire a seconda delle circostanze, a usare le parole in modo camaleontico. Il rischio terribile per il cristiano è quello di vergognarsi del vangelo (cfr. Rm 1,16): «Chi si sarà vergognato di me e delle mie parole... anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo» (Mc 8,38).
Dice il passo di Mt 10,29: «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro (lett. «senza il Padre vostro»)». Dietrich Bonhoeffer ha scritto, commentando queste parole: «Certamente, non tutto quello che accade è semplicemente "volontà di Dio". Ma alla fine comunque nulla accade "senza che Dio lo voglia" (Mt 10,29); attraverso ogni evento cioè, quale che sia eventualmente il suo carattere non-divino, passa una strada che porta a Dio». Questa fiducia nella presenza di Dio anche nel non-di-vino, nell'enigmatico, nelle sofferenze sopportate per il vangelo, dice la sua paternità fedele nei nostri confronti e sconfigge la paura. Aiuta a non scoraggiarsi nelle inevitabili tribolazioni.
LA NAVE
Se vuoi costruire una nave non chiamare la gente che procuri il legno,
che prepari gli attrezzi necessari,
non organizzare il lavoro;
prima invece, sveglia negli uomini la nostalgia
del mare lontano e sconfinato.
Appena si sarà svegliata in loro questa sete,
gli uomini si metteranno subito al lavoro per costruire la nave.
(A. de Saint-Exupèry)
Preghiere e Racconti
Libertà di spirito
«In questo nostro secolo vari scrittori hanno trattato l'argomento della libertà spirituale. Posso citarti Dietrich Bonhoeffer nel suo libro Lettere e scritti dalla prigione; Etty Hillesum in Etty: Diario 1941 - 1943; Titus Brandsma, nelle sue Lettere da un carcere olandese. Tutti costoro, proprio in mezzo alle forme più spaventose di oppressione e violenza, hanno scoperto in se stessi un luogo dove nessuno aveva potere su di loro, dove erano totalmente liberi. Sebbene molto diversi tra loro, essi avevano in comune una consapevolezza della libertà spirituale che permetteva loro di rimanere sempre indipendenti senza lasciarsi manipolare da nessuno. Fu grazie a questa libertà che, in larga misura, superarono perfino la paura della morte. Sapevano nell'intimo del cuore che coloro che potevano distruggere il loro corpo non avrebbero mai potuto privarli della loro libertà. Gesù stesso intendeva parlare di questa libertà quando disse ai suoi discepoli: «Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima» (Mt 10,28).
Ciò che io personalmente trovo così affascinante è il fatto che questa libertà spirituale sia qualcosa di completamente diverso da una libertà spiritualizzata. La libertà che ci è offerta da Gesù non implica che gli oppressori possono continuare a opprimere, che i poveri devono restare poveri e gli affamati devono restare affamati, dato che, in campo spirituale, siamo liberi. Una vera libertà spirituale che tocchi il cuore del nostro essere in tutta la sua umanità dev'essere efficace in ogni campo: fisico, psichico, sociale e, in senso globale, terrestre. Dev'essere visibile in ogni luogo, ma il nucleo di questa libertà spirituale non dipende dal modo in cui si manifesta. Una persona malata, mentalmente handicappata od oppressa può sempre essere spiritualmente libera, anche se la sua libertà spesso non può manifestarsi in ogni settore della vita.
Sono diventato consapevole di questa realtà visitando il Nicaragua. In un piccolo villaggio, Jalapa, parlai con alcune donne i cui mariti o figli erano stati brutalmente assassinati dai cosiddetti Contras. Quelle donne sapevano fin troppo bene che i Contras erano sostenuti dagli Stati Uniti, eppure non davano segno di odio o di vendetta. Ricordavano anzi le parole di Gesù in croce: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34), ed erano pronte, come Gesù, a pregare Dio di perdonare i loro nemici.
Stando con esse sentii quanto fosse profonda la loro libertà spirituale. In mezzo a tanta violenza, nessuno era riuscito a privarle di quella libertà. Il loro cuore era rimasto libero, e le sofferenze indicibili non avevano fiaccato il loro spirito. Per me fu un'esperienza indimenticabile».
(H.J.M. NOUWEN, Lettere a un giovane sulla vita spirituale, Brescia, Queriniana, 72008, 20-22).
Non temete quelli che uccidono il corpo
Siano rese grazie al chicco di grano che ha voluto morire e moltiplicarsi (cfr. Gv 12,25)! Siano rese grazie all'unico Figlio di Dio, il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo che si è degnato di subire la nostra morte per farci degni della sua vita. [...] Quel grano era solo, ma aveva in sé una così grande fecondità da diventare una moltitudine. Quanti sono i chicchi di grano che hanno imitato la sua passione e per i quali noi esultiamo quando celebriamo la nascita al cielo dei martiri. Molte infatti sono le sue membra, unite sotto un unico capo che è lo stesso nostro Salvatore nel vincolo della carità e della pace. Lo sapete perché ne avete udito parlare molte volte. Le molte membra sono un solo uomo e il più delle volte la voce come di un solo uomo che si sente nei salmi è la loro. Uno grida a nome di tutti, perché tutti nell'unico Cristo formano un solo uomo. Ascoltiamo dunque perché i martiri hanno sofferto e perché hanno corso pericoli tra le grandi tempeste dell'odio di questo mondo. Hanno corso pericoli non tanto per quanto riguarda il corpo che prima o poi dovevano abbandonare, ma per quanto riguarda la fede stessa. Se fossero venuti meno, nel caso che avessero ceduto dinanzi alle terribili sofferenze delle persecuzioni o dinanzi all'amore per questa vita, avrebbero perduto ciò che Dio aveva loro promesso. Egli toglieva loro ogni timore non solo con la parola, ma anche con l'esempio; con la parola dicendo: «E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» (Mt 10,28); con l'esempio mettendo in pratica egli stesso ciò che ordinava con la parola. [...] Volle fare di se stesso la medicina per i malati. I martiri, dunque, hanno sofferto e se non fosse stato sempre accanto a loro colui che diceva: «Ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo» (Mt 28,20), certamente sarebbero venuti meno. [...] Nessun servo di Dio è esonerato dalla persecuzione ed è vero ciò che dice l'Apostolo: «Tutti quelli che vogliono vivere nella fede in Cristo patiranno persecuzioni» (2Tm3,12).
(AGOSTINO DI IPPONA, Esposizione sul salmo 69,1-2, NBA XXVI, pp. 696-698).
Non un capello del vostro capo può cadere
[Parla Gesù:] Bisogna che vi attendiate la persecuzione. Se mi imitate predicando il vangelo e seguendo la verità, le persecuzioni che mi hanno senza sosta circondato vi attendono: bisognerà riceverle con gioia, come dei tratti preziosi di somiglianza con me, come una imitazione del vostro Beneamato... sopportarle con calma, sapendo che se vi capitano, le permetto io e che non vi colpiranno che nella misura in cui lo permetterò io, senza il cui permesso non un capello del vostro capo può cadere... accettarle in conformità alla volontà di Dio, dando il benvenuto a tutto ciò che capita. Soffrirle con coraggio offrendo a Dio le vostre sofferenze come un sacrificio, soffrirle pregando per i vostri persecutori poiché sono figli di Dio e io stesso vi ho dato l'esempio di pregare per tutti gli uomini: per i persecutori e i nemici.
(CH. DE FOUCAULD, All'ultimo posto. Ritiri in terra santa (1897-1900), Roma, 1974, 40s., passim).
Beati voi!
«La croce di Madre Teresa è stato il primo segno cristiano visto alla televisione di stato, almeno dal 1967», dichiarò un rifugiato albanese al suo arrivo in Italia nel 1990. La croce di cui parlava era quella croce nera che Madre Teresa portava sopra il suo sari bianco.
Se a partire dal 1944 il regime marxista aveva perseguitato i credenti (cattolici, ortodossi e musulmani), la situazione doveva peggiorare nel 1967. Fu allora che la sua Albania si dichiarò ufficialmente come la sola nazione atea sulla faccia della terra. La religione fu attaccata in modo molto duro. Il modo in cui venivano trattati i cattolici ricordava le persecuzioni degli imperatori romani più crudeli. Nella nostra era moderna la chiesa era ridotta come ai tempi delle catacombe.
Fatto davvero sorprendente, mentre gli albanesi non avevano il diritto di pronunciare pubblicamente il nome di Gesù, Madre Teresa andava per il mondo con quello stesso nome di Gesù sulle labbra prodigando le sue opere di misericordia. A un parroco che si trovava in prigione fu chiesto da parte di un detenuto di battezzargli il figlio, in segreto. Quando le autorità scoprirono questa disobbedienza, il prete fu condannato a morte. Fu uno dei sessanta preti che morirono impiccati, fucilati o annientati dalla durezza dei campi di lavoro. La persecuzione, come sappiamo, ha da allora infierito sul cristianesimo. Coloro che sono soggetti alla persecuzione sono chiamati 'beati' perché sono i difensori della giustizia e la insegnano.
La promessa che accompagna questa beatitudine è stupefacente: nientemeno che possedere il regno dei cieli. Signore Gesù, noi sappiamo che per imitarti dobbiamo operare per il bene di tutti. Ci hai detto che avremmo sofferto facendo i nostri umili sforzi per gli altri contro l'oppressione, contro la degradazione, contro la guerra. Ogni giorno incontriamo l'opposizione, la contraddizione. Aiutaci ad accettare le nostre piccole sofferenze, perché conosciamo il loro valore di redenzione. Trasforma la nostra tristezza in gioia, mentre ci sforziamo di compiere la tua volontà.
(E. EGAN - K. EGAN, Madre Teresa e le Beatitudini, Broscia 2000, 129-131).
Il vero testimone
Ma che cosa significa testimoniare? Che cosa dobbiamo testimoniare? Poiché la testimonianza è di Cristo, ciò che la tua vita deve esprimere è il riferimento a Lui, l’orientamento costante e fedele a Lui. L’ideale della testimonianza non è semplice “coerenza” con certi principi, se questa richiama solo alla tua bravura personale, alla tua correttezza, alla tua onestà. Questi valori, e molti altri, sono validi parzialmente, ma sono veri fino in fondo e possono essere vissuti davvero solo nel riferimento ad un Altro. Solo allora correttezza e bravura diventano testimonianza di Cristo, e tu sei non soltanto una “brava persona” ma anche un vero “testimone”. Ciò è importante anche per un altro aspetto: l’inevitabile presenza del male nella nostra vita, un male che è incoerenza e controtestimonianza.
Anche qui l’ideale è rendere presente un altro, che è più grande del nostro male, ed è origine del nostro bene, e continuamente ci perdona e ci rinnova.
Se aspettassimo ad essere pienamente coerenti per testimoniare, non cominceremmo mai. Il cuore della testimonianza cristiana è, dunque, la Persona di Cristo: Lo annunciamo, perché una Persona ed una storia si indicano e si raccontano; Lo annunciamo, perché sia chiaro che è Lui il centro e l’origine di quanto cerchiamo di vivere. Lo annunciamo, perché possa affascinare altri come ha affascinato noi.
(A. Maggiolini, Regola di vita cristiana per i giovani).
Fammi testimone del tuo vangelo, Signore!
Dammi coraggio per non negare di conoscerti, quando i colleghi ridono parlando di te come di un mito e dei tuoi seguaci come di gente alienata.
Dammi forza per non spaventarmi, quando mi accorgo che essere coerente con il tuo insegnamento può significare essere un perdente e trovare sbarrate molte strade nella società.
Dammi la gioia di sapermi con te, quando resto isolato dagli amici che ritengono una perdita di tempo la preghiera e l'eucaristia.
Dammi la fortezza per superare ogni rispetto umano, per non vergognarmi del vangelo, quando essergli fedele comporta il sentirmi “diverso” dalla grande folla che fa opinione e costume.
Fammi, o Signore, testimone del tuo amore!
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
- Lezionario domenicale e festivo. Anno A, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2007.
- Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004-
- La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
- E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.
- Liturgia. Anno A. CD, Leumann (To), Elle Di Ci, 2004.
- A. PRONZATO, Il vangelo in casa, Gribaudi, 1994.
- F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.
- D. GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.
LECTIO - ANNO A
Prima lettura: Geremia 20,10-13
Sentivo la calunnia di molti: «Terrore all’intorno! Denunciatelo! Sì, lo denunceremo». Tutti i
miei amici aspettavano la mia caduta: «Forse si lascerà trarre in inganno, così noi prevarremo su di lui, ci prenderemo la nostra vendetta». Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere; arrossiranno perché non avranno successo, sarà una vergogna eterna e incancellabile.
Signore degli eserciti, che provi il giusto, che vedi il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa! Cantate inni al Signore, lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori.
La pericope fa parte delle cosiddette «confessioni di Geremia», brani considerati un tempo autobiografici, ma di redazione probabilmente post-esilica. Chi parla in queste composizioni è un «io» liturgico, mediatore cultuale tra la nazione e Dio: il tormento che vi si esprime è non tanto individuale, quanto collettivo, di tutto il popolo. Nella quinta confessione (Ger 20,7-18) i vv. 10-13 sono forse dovuti a un secondo redattore, e separano il grido di disperazione (vv. 7-9) dal lamento (vv. 14-18).
Il tema generale è la persecuzione a causa della parola, che colpisce il profeta come figura esemplare di tutta la comunità dei pii giudei.
v. 10 — La folla (molti, rabbîm) cospira contro il profeta e ne spia le debolezze per sopraffarlo. Tra la folla sono anche gli «amici», o piuttosto dei presunti amici: la stessa comunità si rivolta contro il giusto.
v. 11 — Il giusto gode tuttavia della protezione del Signore, che sta al suo fianco come una guardia del corpo (gibbôr). Lo schema seguito è quello delle lamentazioni dei Salmi, in cui all'esposizione del caso e al lamento (vv. 7-9, la persecuzione) segue la soluzione liberatoria e il rendimento di grazie (vv. 10-13).
v. 12 — La preghiera esprime la fiducia del giusto nel Signore, che conosce e scruta in profondità il suo animo. Viene invocata non tanto la «vendetta», quanto la «liberazione» data dalla vittoria sui nemici, gli empi: è il senso della radice naqam riferita a Dio.
v. 13 — Il versetto conclude la prima parte della «confessione» con un invito alla lode, che esprime la certezza di essere esauditi.
Gli elementi tipici della lamentazione fanno pensare non tanto a un discorso di Geremia in prima persona, quanto a una interpretazione della sua storia personale nei termini di una opposizione tra pii ed empi, dove al profeta si sostituisce la figura emblematica del «giusto» e del «povero». Un primo nucleo è probabilmente costituito dall'esperienza di Geremia, rielaborata dal redattore deuteronomistico durante l'esilio, radicalizzata poi nella redazione finale post-esilica nel quadro del conflitto tra pii ed empi.
Seconda lettura: Romani 5,12-15
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato.
Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.
La lettera ai Romani espone la triplice liberazione — dalla morte, dal peccato e dalla legge — conseguenza della giustificazione tramite Gesù Cristo. Il rapporto tra il peccato e la morte, e la vittoria della vita in Cristo, vengono spiegati in Rm 5,12-21 attraverso il confronto tra Adamo e Gesù, e tra uno e molti/tutti. Il versetto centrale del brano, cuore del ragionamento di Paolo, è il 17, che afferma con forza la sovrabbondanza della grazia rispetto al dominio della morte.
I versetti 12-14 presentano la situazione di fatto: il peccato, e attraverso il peccato la morte, è entrato nel mondo, perché tutti hanno peccato, a somiglianza di Adamo (v. 12). Pur non essendo imputabile finché non c'era la Legge, il peccato era tuttavia nel mondo (v. 13), e la morte dominò anche su quelli che non avevano peccato.
La «trasgressione» (paràbosis) di Adamo è riferita al precetto; il «peccato» (amartia, al singolare) è un atteggiamento negativo di fondo nei confronti della grazia, la rottura del rapporto personale di amicizia con Dio, qualcosa di più della semplice disobbedienza. Non è tanto una realtà ontologica, ereditata da Adamo (come ha dimostrato S. Lyonnet,
l'interpretazione tradizionale di Agostino si basava sulla traduzione errata della Vulgata: «efhô pantes èmarton» reso con «in quo omnes peccaverunt», cioè «tutti hanno peccato in Adamo» invece che «dato il fatto che tutti hanno peccato»). Si tratta piuttosto della condizione comune di peccaminosità che Paolo rileva come un dato di fatto, la situazione cioè in cui tutti si trovano e di cui Adamo è il primo esponente, «immagine» o «tipo» di Colui che doveva venire.
Dal v. 15 si sviluppa la tipologia tra Adamo e Cristo, non come semplice parallelo ma come superamento e sovrabbondanza. Uno solo, Adamo, il primo ad avere disobbedito, è modello dei molti che hanno peccato, sia prima che dopo la Legge di Mosè; uno solo, Cristo, è veicolo della grazia sovrabbondante che si riversa sui molti, ben superiore («molto di più») che in Adamo. Ciò che preme qui a Paolo non è la dottrina del peccato originale, ma l'unicità di Gesù Cristo e della sua opera salvifica, la sovrabbondanza della grazia che ribalta il giudizio di condanna e vince il peccato e la morte.
Vangelo: Matteo 10,26-33
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
Esegesi
Il capitolo 10 di Matteo è dedicato al secondo dei cinque grandi discorsi che costituiscono i pilastri portanti di questo Vangelo. È il cosiddetto «discorso della missione», che a partire dalla vocazione dei dodici apostoli indica le direttive fondamentali per la formazione e la missione della Chiesa delle origini. Si tratta di una raccolta di insegnamenti di
Gesù, forse pronunciati in occasioni diverse, e qui ordinati a costituire un vero e proprio programma di evangelizzazione.
La persecuzione preannunciata da Gesù è già in atto quando si compie la stesura scritta del Vangelo che la tradizione attribuisce all'apostolo Matteo. L'insegnamento qui espresso fa i conti quindi con una realtà fatta di pericoli, lotte, contrapposizioni violente, e tende a rafforzare il coraggio dei testimoni con un messaggio di speranza e di fiducia.
vv. 26-27— «Non abbiate paura» è un ritornello ricorrente (v. 26; 28;31). La persecuzione non deve indurre i testimoni al silenzio, al contrario: quello che ora, prima della sua glorificazione, Gesù insegna loro nelle tenebre (il cosiddetto «segreto messianico») dovrà essere proclamato apertamente a gran voce, gridato sui tetti. Il cristianesimo non è una religione esoterica e iniziatica; non ci sono verità segrete o nascoste, riservate a pochi eletti. La manifestazione del Figlio dell'uomo, nella pienezza dei tempi, è una rivelazione universale che deve essere portata a conoscenza di tutti. Si sente qui l'eco della polemica contro le correnti gnostiche che tendevano ad avvicinare il cristianesimo ai culti misterici.
vv. 28-31 — I persecutori non hanno in realtà alcun potere sui cristiani: essi uccidono il corpo, ma non l'anima. Il nemico non è chi detiene la forza della spada; il nemico vero è il peccato, che allontana dalla comunione con il Cristo. Non si tratta di una forma di dualismo che sottovaluti la vita corporea e naturale a favore di uno spiritualismo disincarnato, ma di una scala di valori che va rispettata perché vi sia una vita armonica. Il peccato fa perire l'anima e il corpo nella Geenna; il Padre protegge, con l'anima, anche il corpo: conta perfino i capelli del nostro capo e non lascia cadere neppure un passero. Coloro che confidano nel Padre non hanno quindi nulla da temere.
vv. 32-33 — La testimonianza resa dai cristiani deve essere coraggiosa e sincera: una scelta di vita, senza tentennamenti né compromessi. «Riconoscere» Gesù davanti agli uomini vuol dire confessare apertamente la fede, nonostante la persecuzione; «essere riconosciuti» da lui davanti al Padre che è nei cieli significa essere accolti nella gloria del suo regno.
Meditazione
La fede è un'attiva lotta contro la paura: è così per il profeta Geremia e per i discepoli di Gesù. Le fede esige coraggio. Gesù esorta i discepoli a «non temere» chi può perseguitarli, chi osteggia la loro testimonianza e la loro predicazione. Gesù chiede loro di compiere un esodo dalla paura. O meglio, molto realisticamente, Gesù indica la via non tanto dell'eliminazione della paura, ma del suo addomesticamento, del suo ri-orientamento, dell'elaborazione della paura di eventuali nemici in timore del Signore. Per il discepolo, come per il profeta, la paura viene vinta dalla fiducia nel Signore, dalla coscienza della sua vicinanza (Ger 20,11), dalla fede nel suo amore che si fa carico dei minimi dettagli della nostra vita (Mt 10,30).
I discepoli, inviati da Gesù «come pecore in mezzo ai lupi» (Mt 10,16), nella loro missione incontreranno persecuzioni, ostacoli, inimicizie. E saranno tentati di divenire preda della paura. Ma potranno trovare motivo di coraggio e di forza nella relazione con il Signore, nella certezza di fede che, proprio mentre sono perseguitati a motivo della fede, essi sono sulle tracce del loro Signore (Mt 10,22-25). E potranno attingere motivi di fiducia dall'insegnamento che Gesù ha loro impartito nel segreto, nell'intimità, condividendo con loro la sapienza del proprio cuore (Mt 10,26-27). Solo la parola del Maestro che rimane nel cuore è motivo di forza e di coraggio per il credente il quale manifesta la sua qualità discepolare proprio al cuore della sua attività missionaria.
Le parole del Signore sembrano voler tener vivo nei discepoli il ricordo della sua vicinanza, della sua cura, del suo amore per loro. Solo così essi potranno nutrire fiducia anche nelle tribolazioni e vincere la paura con l'amore. Perché infatti è così importante per il discepolo non aver paura di chi gli può nuocere? Non solo perché avendo paura si vive in dipendenza da coloro che ci vogliono fare del male e si accresce il loro potere su di noi, ma soprattutto perché, se si ha paura dell'altro, ci si impedisce di amarlo. L'inviato del Signore, temendo colui che lo perseguita, si sottrae alla testimonianza del Cristo che può cambiare la realtà dell'altro, il suo odio, amandolo. Come annunciare la buona notizia del van-gelo se ho paura dell'altro? Come predicare la conversione, se mi mostro paralizzato dalla paura? Come può una chiesa che si nutre di paura e di diffidenza nei confronti del mondo, annunciare al mondo la gioiosa notizia della salvezza? Il vangelo chiede ai cri-stiani e alle chiese nella storia di creare rapporti di prossimità e di fiducia anche con i nemici, anche con chi è apertamente ostile.
Comandando ai discepoli di «annunciare dalle terrazze » ciò che egli ha detto, insegnato e consegnato loro nel nascondimento (Mt 10,27), Gesù chiede ai cristiani e alle chiese il coraggio della parola, la parresia, la franchezza e l'audacia dell'annuncio evangelico. Ciò che si oppone alla parresia è la paura che intacca la libertà del cristiano e lo porta a muoversi e ad agire obbedendo a logiche di convenienza, a logiche 'politiche', a dire e a non dire a seconda delle circostanze, a usare le parole in modo camaleontico. Il rischio terribile per il cristiano è quello di vergognarsi del vangelo (cfr. Rm 1,16): «Chi si sarà vergognato di me e delle mie parole... anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo» (Mc 8,38).
Dice il passo di Mt 10,29: «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro (lett. «senza il Padre vostro»)». Dietrich Bonhoeffer ha scritto, commentando queste parole: «Certamente, non tutto quello che accade è semplicemente "volontà di Dio". Ma alla fine comunque nulla accade "senza che Dio lo voglia" (Mt 10,29); attraverso ogni evento cioè, quale che sia eventualmente il suo carattere non-divino, passa una strada che porta a Dio». Questa fiducia nella presenza di Dio anche nel non-di-vino, nell'enigmatico, nelle sofferenze sopportate per il vangelo, dice la sua paternità fedele nei nostri confronti e sconfigge la paura. Aiuta a non scoraggiarsi nelle inevitabili tribolazioni.
LA NAVE
Se vuoi costruire una nave non chiamare la gente che procuri il legno,
che prepari gli attrezzi necessari,
non organizzare il lavoro;
prima invece, sveglia negli uomini la nostalgia
del mare lontano e sconfinato.
Appena si sarà svegliata in loro questa sete,
gli uomini si metteranno subito al lavoro per costruire la nave.
(A. de Saint-Exupèry)
Preghiere e Racconti
Libertà di spirito
«In questo nostro secolo vari scrittori hanno trattato l'argomento della libertà spirituale. Posso citarti Dietrich Bonhoeffer nel suo libro Lettere e scritti dalla prigione; Etty Hillesum in Etty: Diario 1941 - 1943; Titus Brandsma, nelle sue Lettere da un carcere olandese. Tutti costoro, proprio in mezzo alle forme più spaventose di oppressione e violenza, hanno scoperto in se stessi un luogo dove nessuno aveva potere su di loro, dove erano totalmente liberi. Sebbene molto diversi tra loro, essi avevano in comune una consapevolezza della libertà spirituale che permetteva loro di rimanere sempre indipendenti senza lasciarsi manipolare da nessuno. Fu grazie a questa libertà che, in larga misura, superarono perfino la paura della morte. Sapevano nell'intimo del cuore che coloro che potevano distruggere il loro corpo non avrebbero mai potuto privarli della loro libertà. Gesù stesso intendeva parlare di questa libertà quando disse ai suoi discepoli: «Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima» (Mt 10,28).
Ciò che io personalmente trovo così affascinante è il fatto che questa libertà spirituale sia qualcosa di completamente diverso da una libertà spiritualizzata. La libertà che ci è offerta da Gesù non implica che gli oppressori possono continuare a opprimere, che i poveri devono restare poveri e gli affamati devono restare affamati, dato che, in campo spirituale, siamo liberi. Una vera libertà spirituale che tocchi il cuore del nostro essere in tutta la sua umanità dev'essere efficace in ogni campo: fisico, psichico, sociale e, in senso globale, terrestre. Dev'essere visibile in ogni luogo, ma il nucleo di questa libertà spirituale non dipende dal modo in cui si manifesta. Una persona malata, mentalmente handicappata od oppressa può sempre essere spiritualmente libera, anche se la sua libertà spesso non può manifestarsi in ogni settore della vita.
Sono diventato consapevole di questa realtà visitando il Nicaragua. In un piccolo villaggio, Jalapa, parlai con alcune donne i cui mariti o figli erano stati brutalmente assassinati dai cosiddetti Contras. Quelle donne sapevano fin troppo bene che i Contras erano sostenuti dagli Stati Uniti, eppure non davano segno di odio o di vendetta. Ricordavano anzi le parole di Gesù in croce: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34), ed erano pronte, come Gesù, a pregare Dio di perdonare i loro nemici.
Stando con esse sentii quanto fosse profonda la loro libertà spirituale. In mezzo a tanta violenza, nessuno era riuscito a privarle di quella libertà. Il loro cuore era rimasto libero, e le sofferenze indicibili non avevano fiaccato il loro spirito. Per me fu un'esperienza indimenticabile».
(H.J.M. NOUWEN, Lettere a un giovane sulla vita spirituale, Brescia, Queriniana, 72008, 20-22).
Non temete quelli che uccidono il corpo
Siano rese grazie al chicco di grano che ha voluto morire e moltiplicarsi (cfr. Gv 12,25)! Siano rese grazie all'unico Figlio di Dio, il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo che si è degnato di subire la nostra morte per farci degni della sua vita. [...] Quel grano era solo, ma aveva in sé una così grande fecondità da diventare una moltitudine. Quanti sono i chicchi di grano che hanno imitato la sua passione e per i quali noi esultiamo quando celebriamo la nascita al cielo dei martiri. Molte infatti sono le sue membra, unite sotto un unico capo che è lo stesso nostro Salvatore nel vincolo della carità e della pace. Lo sapete perché ne avete udito parlare molte volte. Le molte membra sono un solo uomo e il più delle volte la voce come di un solo uomo che si sente nei salmi è la loro. Uno grida a nome di tutti, perché tutti nell'unico Cristo formano un solo uomo. Ascoltiamo dunque perché i martiri hanno sofferto e perché hanno corso pericoli tra le grandi tempeste dell'odio di questo mondo. Hanno corso pericoli non tanto per quanto riguarda il corpo che prima o poi dovevano abbandonare, ma per quanto riguarda la fede stessa. Se fossero venuti meno, nel caso che avessero ceduto dinanzi alle terribili sofferenze delle persecuzioni o dinanzi all'amore per questa vita, avrebbero perduto ciò che Dio aveva loro promesso. Egli toglieva loro ogni timore non solo con la parola, ma anche con l'esempio; con la parola dicendo: «E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» (Mt 10,28); con l'esempio mettendo in pratica egli stesso ciò che ordinava con la parola. [...] Volle fare di se stesso la medicina per i malati. I martiri, dunque, hanno sofferto e se non fosse stato sempre accanto a loro colui che diceva: «Ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo» (Mt 28,20), certamente sarebbero venuti meno. [...] Nessun servo di Dio è esonerato dalla persecuzione ed è vero ciò che dice l'Apostolo: «Tutti quelli che vogliono vivere nella fede in Cristo patiranno persecuzioni» (2Tm3,12).
(AGOSTINO DI IPPONA, Esposizione sul salmo 69,1-2, NBA XXVI, pp. 696-698).
Non un capello del vostro capo può cadere
[Parla Gesù:] Bisogna che vi attendiate la persecuzione. Se mi imitate predicando il vangelo e seguendo la verità, le persecuzioni che mi hanno senza sosta circondato vi attendono: bisognerà riceverle con gioia, come dei tratti preziosi di somiglianza con me, come una imitazione del vostro Beneamato... sopportarle con calma, sapendo che se vi capitano, le permetto io e che non vi colpiranno che nella misura in cui lo permetterò io, senza il cui permesso non un capello del vostro capo può cadere... accettarle in conformità alla volontà di Dio, dando il benvenuto a tutto ciò che capita. Soffrirle con coraggio offrendo a Dio le vostre sofferenze come un sacrificio, soffrirle pregando per i vostri persecutori poiché sono figli di Dio e io stesso vi ho dato l'esempio di pregare per tutti gli uomini: per i persecutori e i nemici.
(CH. DE FOUCAULD, All'ultimo posto. Ritiri in terra santa (1897-1900), Roma, 1974, 40s., passim).
Beati voi!
«La croce di Madre Teresa è stato il primo segno cristiano visto alla televisione di stato, almeno dal 1967», dichiarò un rifugiato albanese al suo arrivo in Italia nel 1990. La croce di cui parlava era quella croce nera che Madre Teresa portava sopra il suo sari bianco.
Se a partire dal 1944 il regime marxista aveva perseguitato i credenti (cattolici, ortodossi e musulmani), la situazione doveva peggiorare nel 1967. Fu allora che la sua Albania si dichiarò ufficialmente come la sola nazione atea sulla faccia della terra. La religione fu attaccata in modo molto duro. Il modo in cui venivano trattati i cattolici ricordava le persecuzioni degli imperatori romani più crudeli. Nella nostra era moderna la chiesa era ridotta come ai tempi delle catacombe.
Fatto davvero sorprendente, mentre gli albanesi non avevano il diritto di pronunciare pubblicamente il nome di Gesù, Madre Teresa andava per il mondo con quello stesso nome di Gesù sulle labbra prodigando le sue opere di misericordia. A un parroco che si trovava in prigione fu chiesto da parte di un detenuto di battezzargli il figlio, in segreto. Quando le autorità scoprirono questa disobbedienza, il prete fu condannato a morte. Fu uno dei sessanta preti che morirono impiccati, fucilati o annientati dalla durezza dei campi di lavoro. La persecuzione, come sappiamo, ha da allora infierito sul cristianesimo. Coloro che sono soggetti alla persecuzione sono chiamati 'beati' perché sono i difensori della giustizia e la insegnano.
La promessa che accompagna questa beatitudine è stupefacente: nientemeno che possedere il regno dei cieli. Signore Gesù, noi sappiamo che per imitarti dobbiamo operare per il bene di tutti. Ci hai detto che avremmo sofferto facendo i nostri umili sforzi per gli altri contro l'oppressione, contro la degradazione, contro la guerra. Ogni giorno incontriamo l'opposizione, la contraddizione. Aiutaci ad accettare le nostre piccole sofferenze, perché conosciamo il loro valore di redenzione. Trasforma la nostra tristezza in gioia, mentre ci sforziamo di compiere la tua volontà.
(E. EGAN - K. EGAN, Madre Teresa e le Beatitudini, Broscia 2000, 129-131).
Il vero testimone
Ma che cosa significa testimoniare? Che cosa dobbiamo testimoniare? Poiché la testimonianza è di Cristo, ciò che la tua vita deve esprimere è il riferimento a Lui, l’orientamento costante e fedele a Lui. L’ideale della testimonianza non è semplice “coerenza” con certi principi, se questa richiama solo alla tua bravura personale, alla tua correttezza, alla tua onestà. Questi valori, e molti altri, sono validi parzialmente, ma sono veri fino in fondo e possono essere vissuti davvero solo nel riferimento ad un Altro. Solo allora correttezza e bravura diventano testimonianza di Cristo, e tu sei non soltanto una “brava persona” ma anche un vero “testimone”. Ciò è importante anche per un altro aspetto: l’inevitabile presenza del male nella nostra vita, un male che è incoerenza e controtestimonianza.
Anche qui l’ideale è rendere presente un altro, che è più grande del nostro male, ed è origine del nostro bene, e continuamente ci perdona e ci rinnova.
Se aspettassimo ad essere pienamente coerenti per testimoniare, non cominceremmo mai. Il cuore della testimonianza cristiana è, dunque, la Persona di Cristo: Lo annunciamo, perché una Persona ed una storia si indicano e si raccontano; Lo annunciamo, perché sia chiaro che è Lui il centro e l’origine di quanto cerchiamo di vivere. Lo annunciamo, perché possa affascinare altri come ha affascinato noi.
(A. Maggiolini, Regola di vita cristiana per i giovani).
Fammi testimone del tuo vangelo, Signore!
Dammi coraggio per non negare di conoscerti, quando i colleghi ridono parlando di te come di un mito e dei tuoi seguaci come di gente alienata.
Dammi forza per non spaventarmi, quando mi accorgo che essere coerente con il tuo insegnamento può significare essere un perdente e trovare sbarrate molte strade nella società.
Dammi la gioia di sapermi con te, quando resto isolato dagli amici che ritengono una perdita di tempo la preghiera e l'eucaristia.
Dammi la fortezza per superare ogni rispetto umano, per non vergognarmi del vangelo, quando essergli fedele comporta il sentirmi “diverso” dalla grande folla che fa opinione e costume.
Fammi, o Signore, testimone del tuo amore!
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
- Lezionario domenicale e festivo. Anno A, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2007.
- Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004-
- La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
- E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.
- Liturgia. Anno A. CD, Leumann (To), Elle Di Ci, 2004.
- A. PRONZATO, Il vangelo in casa, Gribaudi, 1994.
- F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.
- D. GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.
Fonte:http://www.catechistaduepuntozero.it
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