MONASTERO MARANGO, «Trovare» la propria vita accettando di riceverla da Gesù

13° Domenica del Tempo Ordinario (anno A)
Letture: 2Re 4,8-11.14-16a; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42
«Trovare» la propria vita accettando di riceverla da Gesù

1)Un giorno Eliseo passava per Sunem, dove c’era un’illustre donna che lo trattenne a mangiare.

Eliseo è discepolo e successore di Elia. E’ un profeta senza fissa dimora: sembra che egli possedesse una casa in Samaria, ma lo troviamo spesso in molte città, da Gerico fino al Carmelo e a Damasco. Alla maniera di Samuele e di Elia egli percorre senza sosta il paese, restando sempre disponibile alle chiamate di Dio.
Terribile nella sua intransigenza, è un essere quasi sovrumano, un uomo la cui presenza annienta gli altri.
Malgrado tutto, Eliseo è sempre pronto a soccorrere coloro che fanno ricorso alla sua misteriosa energia, e non esita mai a venire incontro ai loro bisogni.
Profeta distante, tremendo e solitario, è in realtà l’amico degli uomini, che partecipa ai loro affanni e condivide le loro sofferenze.

La donna che lo invita a pranzo è la vera padrona di casa, ricca, indipendente, colta: è lei che prende l’iniziativa di invitare Eliseo alla sua mensa e di preparargli una stanza sulla terrazza della sua casa. Il marito è una figura scialba, e se ne sta silenzioso in disparte, accettando tutte le proposte della moglie.
Sembra che questa donna non attenda alcuna ricompensa per quello che ha fatto, nessun favore particolare, ma che eserciti semplicemente il privilegio dei ricchi, che è quello di nutrire i poveri e in particolare «l’uomo di Dio». Prefigura in qualche modo le donne del Vangelo, che assistono Gesù e i discepoli con i loro beni (cfr. Lc 8,1-3).

Eliseo disse a Giezi, suo servo: «Cosa possiamo fare per lei?».
Il servo, vicino alla gente del popolo, si è accorto che la donna non ha figli, e per questo, pur essendo ricca, non è felice.
Allora Eliseo la chiama. La donna si ferma sull’uscio di casa per il timore di andare oltre e di accostarsi al santo, che ella considera un essere quasi divino. Il profeta le dice: «L’anno prossimo, in questa stessa stagione, tu stringerai un figlio tra le tue braccia».
La generosità, l’accoglienza dell’uomo di Dio, fatta con discernimento e discrezione, apre alla donna nuove strade, ritenute ormai chiuse per sempre. L’apertura all’altro, compiuta con umile fede, fa fiorire il deserto, spalanca l’orizzonte, rende feconda la vita, colma di gioia il nostro desiderio.

Il Vangelo di oggi ci ricorda nel modo più deciso le esigenze della vita cristiana al seguito di Gesù, il profeta itinerante.

«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me».
Cristo non prescrive di negare quei legami grazie ai quali noi siamo veramente noi stessi, ma ci chiede di conoscere ciò che per noi è l’essenziale, ci chiede di dare priorità alla relazione che dà senso a tutte le altre. Gesù non si pone sullo stesso piano delle altre persone; l’amore dei fratelli e l’amore del Cristo non si oppongono necessariamente, anzi non si oppongono affatto: solo amando gli altri noi amiamo il Signore. Ma qui, in queste affermazioni, il Cristo considera più la possibilità di concorrenza fra i diversi amori che non l’armonia interiore che li unisce.

«Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me»
Si tratta di un progresso nella interiorizzazione di una scelta radicale.
La parola di Gesù ci scandalizza, perché contrasta con ciò che il mondo rivendica. Rinunciare a se stessi, quando il valore supremo è la propria realizzazione, l’esaltazione dell’opera delle proprie mani, è pura follia. Il Signore ci invita a «perdere» per «seguire». Per capire la portata di questo «perdere la propria vita» possiamo riferirci ad altre parole dette da Gesù, riprese dal libro della Genesi: «Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne» (Mt 19,5). Nell’esperienza dell’amore si scopre che per «conquistarsi» occorre prima «perdersi per un altro». Si cresce nella libertà solo nel dono, nell’amore dove l’altro è voluto per se stesso. Divenire uomo, donna, è sempre separarsi dagli altri e da se stessi per vivere con qualcuno, per seguire qualcuno. Nell’amore.

«Per causa mia».
Si segue e si ama una Persona, perché il consacrarsi ad una ideologia, al pensiero di qualcuno, a un libro, vuol dire diventare prigionieri di una ideologia morta, vuol dire vietarsi il gioco della libertà e delle continue domande che essa pone. Il Vangelo non è un libro da leggere ma una Persona vivente.
In questo nostro tempo, che ha visto la morte delle grandi ideologie storiche e totalizzanti che hanno segnato il Novecento, ma che registra anche l’irruzione violenta di nuovi fanatismi, politici o religiosi, carichi di violenza e di odio, risuona in modo nuovo l’appello di Gesù.
Si tratta proprio di «seguire Cristo» e non semplicemente di aderire ad una dottrina, a un sistema di leggi morali, ad una spiritualità. Gesù chiede che il legame che ci unisce a lui costituisca la parte essenziale della nostra vita e di tutte le nostre relazioni. Seguirlo significa accompagnarlo nel cammino che lui ha scelto, prendendo la sua croce fino a morire con lui; non nello slancio effimero di un momento di entusiasmo, ma nella realtà quotidiana di una esistenza segnata dalla fede.
Non si tratta di un “cupio dissolvi”, di un desiderio eroico di una rinuncia fine a se stessa, si tratta invece di «trovare» la propria vita accettando di riceverla da Gesù, di realizzare quanto desideriamo veramente, grazie al Cristo. Si deve però passare attraverso una rottura, che spesso sentiamo come perdita, e non come ritrovamento. E’ come l’esperienza drammatica della traversata del deserto: si lascia l’Egitto, ma ciò che sta davanti, che è stato promesso, è lontano, non ci appartiene ancora. E’ come una morte.

L’Eucaristia ci riunisce intorno al Signore che passa dalla morte alla vita. Egli ci concede di seguirlo e di compiere con lui questo passaggio: perdere con lui noi stessi e tutti quei legami che contribuiscono a costituire la nostra falsa immagine, nella quale ci specchiamo, per conquistare la vita vera, per far sbocciare e consacrare l’uomo nuovo che si realizza nella verità delle relazioni umane, nell’amore che viene dal Padre.


Giorgio Scatto        
Fonte:www.monasteromarango.it/

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