mons. Roberto Brunelli"Un criterio-guida per la vita quotidiana"
mons. Roberto Brunelli
XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (25/06/2017)
Vangelo: Mt 10,26-33
Molti ancora ricordano l'invito, quasi gridato, di Giovanni Paolo II nella Messa d'inizio del suo
pontificato: "Non abbiate paura!" Tutti allora hanno espresso sorpresa per quell'inatteso esordio, che bastò a dare la misura della vigorosa personalità del nuovo papa: un uomo già provato da durissime esperienze (e altre ancor più dure avrebbe vissuto in seguito), eppure sempre carico di fiducia e coraggio. Ma quelle parole non erano un distillato della sua biografia, non nascevano spontanee sulle labbra di un inguaribile ottimista: in realtà il papa non faceva che ripetere parole di Colui del quale è il vicario in terra. Nel solo brano odierno del vangelo (Matteo 10,26-33), per ben tre volte Gesù invita a non avere paura.
L'invito appare più che mai di attualità. Senza ricercare quali fossero le ragioni sottese nel grido del papa, possiamo vedere come rispetto ad allora, quarant'anni fa, la cronaca porti nuove ragioni che alimentano il timore. Le prospettive di uno scontro di civiltà, i gravissimi attentati (sinora in altri paesi, ma così vicini che è quasi come se fossero avvenuti tra noi), ingiustizie d'ogni sorta, il degrado dell'ambiente, l'arrivo di tanti stranieri, l'insicurezza del domani, l'inefficienza dei governanti, e chi più ne ha più ne metta, generano un diffuso disagio quando non paura.
Probabilmente un'analisi accurata manifesterebbe l'infondatezza di tanti timori, almeno in parte generati da un accumulo di informazioni; in passato i problemi erano differenti ma non meno numerosi o meno gravi: però non li si conosceva quanto oggi, e a differenza di oggi non si presentavano tutti insieme. In ogni caso, tuttavia, il lamento da solo è sterile; un atteggiamento responsabile di fronte ai problemi comporta l'impegno a fare quanto ci è possibile per risolverli. Come, il papa di quarant'anni fa lo disse subito dopo la sua vibrante esortazione a non avere paura, quando con altrettanta forza aggiunse: "Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!" Egli era convinto, ed è difficile dargli torto, che se gli uomini, tutti, mettessero in pratica gli esempi e gli insegnamenti di Cristo, i problemi per cui si inquietano sparirebbero.
Tra i rischi e le buie prospettive per cui gli uomini si inquietano, la maggior parte di loro non include il pericolo di cui parla il vangelo di oggi, l'unico vero pericolo di una vita che, piaccia o no, è destinata a finire. "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna", cioè all'inferno, dice il vangelo. Ora, parlare di inferno e di colui che ha il potere di farvi perire l'anima e il corpo, muove qualcuno a sorrisini di compatimento: cose d'altri tempi, cose per gli ingenui, pensa. E però, premesso che nessuno finirà all'inferno per disgrazia, come senza colpa si può perire in un incidente stradale, l'avvertimento evangelico è basilare per chi sa che esiste una vita oltre questa, e che essa sarà come in questa ce la saremo preparata.
Chi ritenesse che nell'ottica della fede la vita presente non conta, perché vale solo quella eterna; chi pensasse di disinteressarsi del mondo, sbaglierebbe di grosso. Il futuro dipende dal presente, da come si vive oggi: di qui l'impegno dei cristiani a cambiare questo mondo, a fare il possibile perché diventi più giusto, più sicuro, più solidale. Semmai, la prospettiva della vita eterna serve da guida nell'operare adesso, finché dura la vita presente.
Qualche giorno fa è ricorsa la festa di San Luigi Gonzaga, giovane d'anni ma maturo come pochi. Riferisce chi gli è vissuto accanto che egli valutava impegni e decisioni non col metro dell'interesse personale o dell'esito immediato, ma pensando alle conseguenze. Allo scopo aveva adottato un semplice criterio: "Quid ad aeternitatem?" si domandava; "che vale questo per l'eternità?"
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