Jesùs Manuel Garcìa, Lectio"Mite e umile di cuore"
XIV DOMENICA TEMPO ORDINARIO
LECTIO - ANNO A
Prima lettura: Zaccaria 9,9-10
Così dice il Signore: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a
te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».
Il testo profetico che stiamo leggendo, riflette la situazione della comunità giudaica dopo l'esilio, sotto la dominazione straniera, all'epoca delle campagne di Alessandro Magno. Il profeta vuole rispondere alla domanda angosciante del popolo: Chi governa il mondo? Alessandro o il Signore che abita in Sion?
Il Signore invierà in Gerusalemme un re messianico, che si presenterà non come il grande re macedone, ma in modo umile, vincendo non con le armi della violenza e mediante il gioco delle alleanze politiche. Anche il popolo messianico, se vuole realmente avere la vittoria, deve rinunciare alla violenza, alla vendetta delle armi: l’arco di guerra sarà spezzato.
Per questo la città di Gerusalemme è invitata alla gioia. Presto arriverà questo re liberatore, che stabilirà la giustizia e la salvezza. Cavalcherà un asino pacifico: non userà quindi la forza militare come gli altri re. Con la sua parola annunzierà la «pace» universale. Il suo dominio pacifico sarà fondato sulla non-violenza
Seconda lettura: Romani 8,9.11-13
Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.
La «carne» per Paolo non indica qui il corpo, o la sessualità dell'uomo, ma il modo di vivere dominato dall'egoismo e dal peccato. È lo stato di un uomo che, schiavo delle proprie paure di morire, non riesce a donarsi a nessun altro se non a se stesso. Essere sotto il dominio dello «spirito», significa invece un'esistenza suscitata e guidata dallo Spirito Santo.
Il cristiano appartiene a Cristo perché ha il suo Spirito, cioè ha fatto l'esperienza di essere morto e risorto con lui. Riproduce in sé gli stessi atteggiamenti del Servo del Signore che non ha resistito al male.
Ora egli può non vivere più nella carne, cioè costretto continuamente a difendersi, perché accerchiato dalle paure di perdere la propria vita donandosi agli altri. Può invece vivere nello Spirito, cioè fare le opere dello Spirito, che sono quelle dell'amore gratuito perfino ai nemici.
Vangelo: Matteo 11,25-30
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Esegesi
Dopo aver rimproverato severamente le città sulla riva del lago di Genesaret, per non aver accolto la buona notizia del Regno di Dio, Gesù osserva che attorno a lui c'è della gente che lo ascolta. Sono i piccoli: gente senza parola, gli oppressi e gli affaticati, obbligati a portare pesi insopportabili, un cumulo di precetti che impediscono un libero incontro con Dio. E Gesù benedice Dio che rivela i segreti della sua sapienza proprio a questi piccoli.
Il brano inizia con una lode al Padre, l'unico che ha saldamente in mano le sorti del cielo e della terrà, eppure si china dolcemente verso il povero e l’umile. Gesù esprime la sua gioia perché vede che questo si sta realizzando nei suoi discepoli che lo seguono e l'ascoltano. Dio ha distrutto così la sapienza dei sapienti e ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti.
Ma come avviene questa rivelazione? Per mezzo di Gesù Cristo, la sapienza personificata. A lui il Padre ha dato tutto (cf. Dn 7,13-14). Solo lui, il Figlio, può comunicare la conoscenza del Padre.
E guardando le folle stanche e sfiduciate, senza pastore, Gesù le invita a cercare in lui il vero riposo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Invece della legge dei farisei egli offre loro le parole del «Discorso della montagna» (Mt 5-7). Agli occhi umani questo sembrerebbe una beffa. Ma solo per chi non ha lo spirito del Figlio, che è mite e umile di cuore. Gesù, che sta per incominciare una lotta contro le forze del male che lo porteranno alla morte violenta in croce, affronta questa battaglia con lo spirito mite dell'agnello. Questo stesso spirito egli dona ai poveri e ai deboli che lo seguono.
Meditazione
La prima lettura presenta una figura messianica connotata dalla canawah, che è piccolezza e umiltà. Il re di cui parla Zaccaria è un curvato, un obbediente; secondo la versione greca dei LXX è un mite, come Gesù nel testo evangelico. E tanto nel re di Zaccaria quanto nel messia Gesù, la connotazione di umiltà e mitezza non si esaurisce sul piano morale, ma è elemento rivelativo dell'essere e dell'agire di Dio. Matteo presenta Gesù come figura di rivelazione e di iniziazione alla rivelazione: mentre, con la sua umiltà, rivela l'umiltà di Dio, Gesù si propone anche come fonte di umiltà per i suoi discepoli.
Nel testo evangelico, il versetto 25 inizia affermando che Gesù, «rispondendo» o «prendendo la parola», disse... Gesù reagisce con la preghiera («Ti rendo lode, Padre») a quanto narrato precedentemente: nel capitolo undicesimo emerge la constatazione dello scarso interesse suscitato dalla persona, dalla predicazione e dalle opere di Gesù (cfr. Mt 11,1-24). Gesù integra nella preghiera l'insuccesso, mette tutto davanti al Padre e conferma il suo «sì», il suo «amen», la sua decisione irrevocabile di adesione a Lui. Il suo «sì» al Padre non è condizionato dal successo della sua missione, ma è un'adesione radicale che anche situazioni sfavorevoli o contraddittorie non intaccano.
La preghiera di Gesù ringrazia il Padre non tanto per l'azione di nascondimento nei confronti di alcuni, quanto per l'azione di rivelazione nei confronti di altri. L'adesione di alcuni, definiti piccoli e semplici, che, credendo alla parola e alle opere compiute da Gesù, hanno colto in lui la rivelazione del Padre, diviene svelamento e giudizio del cuore di altri, la cui sapienza intellettuale e dotta si rivela inconsistente davanti alla semplicità dei piccoli: «Grande è la misericordia di Dio: egli rivela i suoi segreti agli umili» (Sir 3,20 secondo il testo ebraico).
Le parole di Gesù nei vv. 28-29 abbozzano un vero e proprio itinerario di sequela del discepolo. Abbiamo anzitutto la chiamata: «Venite a me»; quindi la necessaria rinuncia alla volontà propria per obbedire alla volontà del Signore («prendete il mio giogo»). Per «volontà propria» non si intende la libera determinazione dell'uomo, ma la sua volontà egocentrica, autoreferenziale, «carnale». Quindi c'è l'attitudine discepolare, l'obbedienza del discepolo al suo maestro e Signore («Imparate da me») e infine il riposo, la pienezza di vita trovata nel Signore («troverete ristoro per la vostra vita»).
Il «giogo» di Gesù non designa dettami religiosi o comandi da eseguire, ma una relazione, un legame, onorando così l'etimologia della parola (l'indoeuropeo yug, cfr. anche il sanscrito yoga) che designa l'azione di «riunire», «mettere insieme». Il giogo di Gesù leggero e soave è in continuità con il comando biblico di amare e con l'idea che colui che ama fa con gioia la volontà dell'amato. Anche l'atto di comandare l'amore, assurdo se posto in bocca a un terzo, è pienamente sensato se posto in bocca all'amante. L'amante può dire «Amami!», l'amante può chiedere amore.
Gesù promette riposo a chi assume il suo giogo (cfr. Mt 11,29). Un'esistenza credente che sia perennemente stressata dagli impegni pastorali e si configuri come frenetica attività che non conosce sosta e riposo, dimentica quell'affidamento a Cristo che è fonte di riposo nella fatica e di consolazione nelle contraddizioni. E che plasma il volto del credente non a immagine e somiglianza di manager iperattivi e sempre nervosi, ma del Cristo mite e umile, paziente e benevolo.
Al tempo stesso, un giogo resta un giogo e nulla toglie la fatica di portarlo. Amare è un lavoro impegnativo e la sequela Christi comporta sforzo e fatica. Di fronte alla tentazione diffusa di eliminare dal vivere ciò che è faticoso e comporta sofferenza in nome dell'idolatria del «tutto, subito e senza sforzo», occorre ribadire che non si danno grandi realizzazioni umane e spirituali senza fatica, dedizione, sacrificio. Né possiamo dimenticare che il giogo dell’obbedienza portato da Gesù durante tutta la sua vita è divenuto, alla fine della sua vita, un portare la croce.
VACANZE
Agli studenti di San Giovanni quando andavano in vacanze estive, dava questo consiglio: «Approfittate le vostre vacanze, godetevi il vostro viaggio, prendete delle note, osservate, confrontate. Tutto deve essere fatto con moderazione e non superi alle risorse. C’è chi può viaggiare solo nella fantasia, con l'aiuto di qualche buon libro, c’è chi non bisogna contare i soldi. Andate via ... Un viaggio ben fatto, piccolo o grande, valgono la pena di un recesso o di un altro premio. Il contatto con il grande spettacolo della bellezza abbellisce l'anima»
(LÉON DEHON, Discorso sullo studio della geografia, 31 luglio 1886, citato da A. DUCAMP, Le Père Dehon e son Oeuvre, 696).
Racconti e preghiere
Beati i miti
Il nostro campo è invaso dall’ingiustizia. Tutte le risposte del mondo all’ingiustizia sono violenza attiva o consentita. Opporvi la dolcezza del Cristo è scandalo.
Chi può misurare il coraggio richiesto a coloro che accettassero questo scandalo della mitezza? Ma c’è scandalo più grande ed autentico, questo dello scandalo dei cristiani che hanno lasciato a un Gandhi la responsabilità di levare nel mondo una massa di uomini che si affidavano alla forza incoercibile di quella mitezza?
E tuttavia, ancora una volta, non c’è scelta. Il Cristo “mite ed umile di cuore” è un fatto. Non possiamo né rettificarlo né adattarlo.
(Madeleine DELBRÊL, Noi delle strade, Gribaudi, 2008, Milano, 123).
Zelo e umiltà
«Occorre che vi sia l'insieme di zelo e di umiltà, del riconoscimento cioè dei propri limiti. Da una parte lo zelo: se veramente incontriamo Cristo sempre di nuovo, non possiamo tenercelo per noi stessi. [...] Ma questo zelo, per non diventare vuoto e logorante per noi, deve collegarsi con l'umiltà, con la moderazione, con l'accettazione dei nostri limiti. E poco oltre aggiungeva che il nostro dev'esser anche tempo di interiorità. Infatti, potremo servire gli altri, potremo donare solo se personalmente anche riceviamo, se cioè noi stessi non ci svuotiamo. Da quest'esperienza di interiorità potremo ricevere in dono sempre di nuovo un grande arricchimento. Solo così potremo trasmettere agli uomini «più di quello che è nostro, vale a dire: la presenza del Signore».
(Benedetto XVI, Discorso ai sacerdoti e ai diaconi permanenti della Baviera, il 14 settembre 2006).
Preghiera di un pagliaccio
Padre, sono un fallito, però ti amo.
Sono vari anni che sto nelle tue mani, presto verrà il giorno in cui volerò da te...
La mia bisaccia è vuota, i miei fiori appassiti e scoloriti, solo il mio cuore è intatto.
Mi spaventa la mia povertà però mi consola la tua tenerezza.
Sono davanti a te come una brocca rotta, però con la mia stessa creta puoi farne un'altra come ti piace...
Signore, cosa ti dirò quando mi chiederai conto?
Ti dirò che la mia vita, umanamente, è stata un fallimento, che ho volato molto basso.
Signore, accetta l'offerta di questa sera...
La mia vita, come un flauto, è piena di buchi...
ma prendila nelle tue mani divine.
Che la tua musica passi attraverso me e sollevi i miei fratelli, gli uomini, che sia per loro ritmo e melodia, che accompagni il loro camminare, allegria semplice dei loro passi stanchi...
(Manoscritto spagnolo).
L’amicizia
“L’amicizia possiede le medesime peculiarità dell’acqua di un fiume: può aggirare gli ostacoli, superare le rocce, adattarsi a valli e monti, trasformarsi in un lago per colmare una conca e proseguire il suo cammino.
Così come il fiume non dimentica che la sua meta è il mare, l’amicizia non scorda che la sua unica ragion d’essere è dimostrare l’amore verso gli altri.”
(Paulo COELHO, Il manoscritto ritrovato ad Accra, Bompiani, Milano, 2012, 104-105).
Essere bambini
Mentre la beata Umiliana giaceva nel suo letto, dentro la sua cella, chiusa nella torre, ecco un bambino di quattro anni o poco meno, dal volto bellissimo. Giocava con impegno proprio nella sua cella davanti a lei. Quando lo vide provò una grande gioia e rivolgendogli la parola disse: O amore dolcissimo, o carissimo bambino, non sai fare altro che giocare? E il bambino con il suo sguardo tranquillo le rispose: Che altro volete che faccia? E la benedetta Umiliana umilmente disse: Voglio invece che tu mi dica qualcosa di bello su Dio. E il bambino disse: Credi che sia bene che uno parli di se stesso? E con queste parole disparve.
(fra’ Vito da Cortona)
Mite e umile di cuore
Cristo è ancor oggi per noi un maestro mite e colmo d'amore per gli uomini che continua a prendersi cura della nostra salvezza. Lo dichiara apertamente nei vangeli come abbiamo appena letto: «Venite, imparate da me perché sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29). Quant'è grande la condiscendenza di colui che ci ha fatto! La creatura non abbia timore! Venite, imparate da me. Il Signore è venuto a consolare i suoi servi che erano caduti. Ecco come si comporta Cristo: si mostra pieno di compassione; sebbene il peccatore dovesse essere punito, sebbene la stirpe di quelli che provocavano la sua ira dovesse essere annientata, egli rivolge parole di pace ai colpevoli. «Venite, imparate da me, perché sono mite e umile di cuore» (ibidem).
Dio è umile, l'uomo orgoglioso. Il giudice è clemente, il colpevole superbo. Le parole dell'artefice sono umili, quelle dell'argilla sembrano quelle di un re. [...] Venite, osservate la sua ineffabile bontà. Chi non amerà il Signore che non colpisce? Chi non ammirerà il giudice che supplica a favore del colpevole? La semplicità delle sue parole ti stupisce. «Io sono il Creatore e amo la mia opera. Io sono l'artista e ho cura di ciò che ho plasmato. Se volessi ricorrere alla mia autorità, non libererei l'umanità caduta; se non curassi la sua malattia incurabile con farmaci appropriati, non guarirebbe; se non la confortassi, morirebbe; se mi limitassi a minacciarla, perirebbe. Per questo motivo pongo su di lei che giace a terra l'unguento della bontà. Mi piego su di lei pieno di compassione per rialzarla dalla sua caduta. Chi sta in piedi non può rialzare da terra chi è caduto se non si china a tendergli la mano. «Venite, imparate da me perché sono mite e umile di cuore». Non dico parole vane vi ho mostrato le mie opere; il «perché sono mite e umile di cuore» vedilo da ciò che sono diventato. Guarda la forma, pensa alla dignità e venera la mia condiscendenza a causa tua. Pensa da dove sono venuto, dove mi trovo a conversare con te. Il cielo è il mio trono e io sto a parlare con te. Nell'alto sono glorificato e nella mia paziente bontà non mi adiro «perché sono mite e umile di cuore».
(PSEUDO-GIOVANNI CRISOSTOMO, Basso martire, in PG 50,721-722)
Il segreto di un bambino
Non si può amare un bambino per la sua abilità e per ciò che fa, in quanto egli non può ancora nulla, non fa ancora assolutamente nulla di utile; non si può amare un bambino per il fatto che possiede o dovrebbe mostrare qualcosa di speciale; al contrario, egli non ha ancora nulla di proprio, se lo si vuole amare, gli si deve voler bene per se stesso. Questo è tutto il segreto di un bambino, che ci costringe con il semplice suo esserci ad amarlo e vive dell’essere amato gratuitamente. In questo, ossia nel fatto di pensare così di noi stessi, starebbe la nostra redenzione; nell’avere, una buona volta, il coraggio di vivere gratis e di avere fiducia in noi stessi, di sentirci legittimati semplicemente per il fatto di esistere.
(E. DREWERMANN, Psicologia del profondo e esegesi, I, 505 s.)
In mitezza e umiltà
«Essi però non comprendevano quelle parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni» (Mc 9,32). Tale ignoranza da parte dei discepoli non nasce tanto dalla limitatezza della loro mente, quanto dall'amore che essi nutrivano per il Salvatore. Questi uomini che vive-vano ancora secondo la carne ed erano ignari del mistero della croce, si rifiutavano di credere che colui che essi avevano riconosciuto quale Dio vero sarebbe morto ed essendo abituati a sentirlo parlare in parabole, poiché inorridivano alla sola idea della sua morte, cercavano di attribuire un senso figurato anche a quello che diceva apertamente a proposito della sua cattura e della sua passione. «E giunsero a Cafarnao. Entrati in casa chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?". Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande» (Mc 9,33-34). Sembra che la discussione tra i discepoli a proposito del primo posto fosse nata perché avevano visto che Pietro, Giacomo e Giovanni erano stati condotti in disparte sul monte e che qui era stato affidato loro qualcosa di segreto. Ma già da prima erano convinti, come racconta Matteo (cfr. Mt 16,18-19), che a Pietro erano state date le chiavi del Regno dei cieli, e che la chiesa del Signore doveva essere edificata sulla pietra della fede, dalla quale egli stesso aveva ricevuto il nome. Ne concludevano o che quei tre apostoli dovevano essere superiori agli altri o che Pietro era superiore a tutti. Il Signore, vedendo i pensieri dei discepoli, cerca di correggere il loro desiderio di gloria col freno dell'umiltà e fa loro intendere che non si deve cercare di essere primi; così, dapprima li esorta con il semplice comandamento dell'umiltà e, subito dopo, li ammaestra con l'esempio dell'innocenza del bambino. Dicendo infatti: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (Mc 9,37) [...] li esorta, a motivo della loro malizia, a essere anche loro come bambini, cioè a conservare la semplicità senza arroganza, la carità senza invidia e la devozione senza ira. Prendendo poi in braccio il bambino, indica che sono degni del suo abbraccio e del suo amore gli umili e che, quando avranno messo in pratica il suo comandamento: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), solo allora potranno gloriarsi.
(BEDA IL VENERABILE, Commento al vangelo di Marco, CCL 120.n. 551).
Preghiera
A volte, Signore, la piccolezza del mio essere creatura mi appare inadeguata e insufficiente a contenere i miei più grandi desideri. E faccio di tutto per rompere quelli che avverto come limiti al mio bisogno di espandermi, di ‘sentirmi grande’: essere più degli altri, ricevere più degli altri, contare più degli altri.
Tu vieni incontro a questo prepotente bisogno di emergere e mi proponi di metterlo a servizio dell’amore, facendomi l’ultimo di tutti, il servo di tutti, il più pacifico, il più mite, il più misericordioso, accogliente verso tutti…
Manda dall’altro il tuo Spirito di sapienza, perché faccia della mia vita un’opera di pace.
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
- Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.
- Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
- La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
- E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.
- Liturgia. Anno A. CD, Leumann (To), Elle Di Ci, 2004.
- A. PRONZATO, Il vangelo in casa, Gribaudi, 1994.
- F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.
- D. GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.
---
LECTIO - ANNO A
Prima lettura: Zaccaria 9,9-10
Così dice il Signore: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a
te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».
Il testo profetico che stiamo leggendo, riflette la situazione della comunità giudaica dopo l'esilio, sotto la dominazione straniera, all'epoca delle campagne di Alessandro Magno. Il profeta vuole rispondere alla domanda angosciante del popolo: Chi governa il mondo? Alessandro o il Signore che abita in Sion?
Il Signore invierà in Gerusalemme un re messianico, che si presenterà non come il grande re macedone, ma in modo umile, vincendo non con le armi della violenza e mediante il gioco delle alleanze politiche. Anche il popolo messianico, se vuole realmente avere la vittoria, deve rinunciare alla violenza, alla vendetta delle armi: l’arco di guerra sarà spezzato.
Per questo la città di Gerusalemme è invitata alla gioia. Presto arriverà questo re liberatore, che stabilirà la giustizia e la salvezza. Cavalcherà un asino pacifico: non userà quindi la forza militare come gli altri re. Con la sua parola annunzierà la «pace» universale. Il suo dominio pacifico sarà fondato sulla non-violenza
Seconda lettura: Romani 8,9.11-13
Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.
La «carne» per Paolo non indica qui il corpo, o la sessualità dell'uomo, ma il modo di vivere dominato dall'egoismo e dal peccato. È lo stato di un uomo che, schiavo delle proprie paure di morire, non riesce a donarsi a nessun altro se non a se stesso. Essere sotto il dominio dello «spirito», significa invece un'esistenza suscitata e guidata dallo Spirito Santo.
Il cristiano appartiene a Cristo perché ha il suo Spirito, cioè ha fatto l'esperienza di essere morto e risorto con lui. Riproduce in sé gli stessi atteggiamenti del Servo del Signore che non ha resistito al male.
Ora egli può non vivere più nella carne, cioè costretto continuamente a difendersi, perché accerchiato dalle paure di perdere la propria vita donandosi agli altri. Può invece vivere nello Spirito, cioè fare le opere dello Spirito, che sono quelle dell'amore gratuito perfino ai nemici.
Vangelo: Matteo 11,25-30
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Esegesi
Dopo aver rimproverato severamente le città sulla riva del lago di Genesaret, per non aver accolto la buona notizia del Regno di Dio, Gesù osserva che attorno a lui c'è della gente che lo ascolta. Sono i piccoli: gente senza parola, gli oppressi e gli affaticati, obbligati a portare pesi insopportabili, un cumulo di precetti che impediscono un libero incontro con Dio. E Gesù benedice Dio che rivela i segreti della sua sapienza proprio a questi piccoli.
Il brano inizia con una lode al Padre, l'unico che ha saldamente in mano le sorti del cielo e della terrà, eppure si china dolcemente verso il povero e l’umile. Gesù esprime la sua gioia perché vede che questo si sta realizzando nei suoi discepoli che lo seguono e l'ascoltano. Dio ha distrutto così la sapienza dei sapienti e ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti.
Ma come avviene questa rivelazione? Per mezzo di Gesù Cristo, la sapienza personificata. A lui il Padre ha dato tutto (cf. Dn 7,13-14). Solo lui, il Figlio, può comunicare la conoscenza del Padre.
E guardando le folle stanche e sfiduciate, senza pastore, Gesù le invita a cercare in lui il vero riposo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Invece della legge dei farisei egli offre loro le parole del «Discorso della montagna» (Mt 5-7). Agli occhi umani questo sembrerebbe una beffa. Ma solo per chi non ha lo spirito del Figlio, che è mite e umile di cuore. Gesù, che sta per incominciare una lotta contro le forze del male che lo porteranno alla morte violenta in croce, affronta questa battaglia con lo spirito mite dell'agnello. Questo stesso spirito egli dona ai poveri e ai deboli che lo seguono.
Meditazione
La prima lettura presenta una figura messianica connotata dalla canawah, che è piccolezza e umiltà. Il re di cui parla Zaccaria è un curvato, un obbediente; secondo la versione greca dei LXX è un mite, come Gesù nel testo evangelico. E tanto nel re di Zaccaria quanto nel messia Gesù, la connotazione di umiltà e mitezza non si esaurisce sul piano morale, ma è elemento rivelativo dell'essere e dell'agire di Dio. Matteo presenta Gesù come figura di rivelazione e di iniziazione alla rivelazione: mentre, con la sua umiltà, rivela l'umiltà di Dio, Gesù si propone anche come fonte di umiltà per i suoi discepoli.
Nel testo evangelico, il versetto 25 inizia affermando che Gesù, «rispondendo» o «prendendo la parola», disse... Gesù reagisce con la preghiera («Ti rendo lode, Padre») a quanto narrato precedentemente: nel capitolo undicesimo emerge la constatazione dello scarso interesse suscitato dalla persona, dalla predicazione e dalle opere di Gesù (cfr. Mt 11,1-24). Gesù integra nella preghiera l'insuccesso, mette tutto davanti al Padre e conferma il suo «sì», il suo «amen», la sua decisione irrevocabile di adesione a Lui. Il suo «sì» al Padre non è condizionato dal successo della sua missione, ma è un'adesione radicale che anche situazioni sfavorevoli o contraddittorie non intaccano.
La preghiera di Gesù ringrazia il Padre non tanto per l'azione di nascondimento nei confronti di alcuni, quanto per l'azione di rivelazione nei confronti di altri. L'adesione di alcuni, definiti piccoli e semplici, che, credendo alla parola e alle opere compiute da Gesù, hanno colto in lui la rivelazione del Padre, diviene svelamento e giudizio del cuore di altri, la cui sapienza intellettuale e dotta si rivela inconsistente davanti alla semplicità dei piccoli: «Grande è la misericordia di Dio: egli rivela i suoi segreti agli umili» (Sir 3,20 secondo il testo ebraico).
Le parole di Gesù nei vv. 28-29 abbozzano un vero e proprio itinerario di sequela del discepolo. Abbiamo anzitutto la chiamata: «Venite a me»; quindi la necessaria rinuncia alla volontà propria per obbedire alla volontà del Signore («prendete il mio giogo»). Per «volontà propria» non si intende la libera determinazione dell'uomo, ma la sua volontà egocentrica, autoreferenziale, «carnale». Quindi c'è l'attitudine discepolare, l'obbedienza del discepolo al suo maestro e Signore («Imparate da me») e infine il riposo, la pienezza di vita trovata nel Signore («troverete ristoro per la vostra vita»).
Il «giogo» di Gesù non designa dettami religiosi o comandi da eseguire, ma una relazione, un legame, onorando così l'etimologia della parola (l'indoeuropeo yug, cfr. anche il sanscrito yoga) che designa l'azione di «riunire», «mettere insieme». Il giogo di Gesù leggero e soave è in continuità con il comando biblico di amare e con l'idea che colui che ama fa con gioia la volontà dell'amato. Anche l'atto di comandare l'amore, assurdo se posto in bocca a un terzo, è pienamente sensato se posto in bocca all'amante. L'amante può dire «Amami!», l'amante può chiedere amore.
Gesù promette riposo a chi assume il suo giogo (cfr. Mt 11,29). Un'esistenza credente che sia perennemente stressata dagli impegni pastorali e si configuri come frenetica attività che non conosce sosta e riposo, dimentica quell'affidamento a Cristo che è fonte di riposo nella fatica e di consolazione nelle contraddizioni. E che plasma il volto del credente non a immagine e somiglianza di manager iperattivi e sempre nervosi, ma del Cristo mite e umile, paziente e benevolo.
Al tempo stesso, un giogo resta un giogo e nulla toglie la fatica di portarlo. Amare è un lavoro impegnativo e la sequela Christi comporta sforzo e fatica. Di fronte alla tentazione diffusa di eliminare dal vivere ciò che è faticoso e comporta sofferenza in nome dell'idolatria del «tutto, subito e senza sforzo», occorre ribadire che non si danno grandi realizzazioni umane e spirituali senza fatica, dedizione, sacrificio. Né possiamo dimenticare che il giogo dell’obbedienza portato da Gesù durante tutta la sua vita è divenuto, alla fine della sua vita, un portare la croce.
VACANZE
Agli studenti di San Giovanni quando andavano in vacanze estive, dava questo consiglio: «Approfittate le vostre vacanze, godetevi il vostro viaggio, prendete delle note, osservate, confrontate. Tutto deve essere fatto con moderazione e non superi alle risorse. C’è chi può viaggiare solo nella fantasia, con l'aiuto di qualche buon libro, c’è chi non bisogna contare i soldi. Andate via ... Un viaggio ben fatto, piccolo o grande, valgono la pena di un recesso o di un altro premio. Il contatto con il grande spettacolo della bellezza abbellisce l'anima»
(LÉON DEHON, Discorso sullo studio della geografia, 31 luglio 1886, citato da A. DUCAMP, Le Père Dehon e son Oeuvre, 696).
Racconti e preghiere
Beati i miti
Il nostro campo è invaso dall’ingiustizia. Tutte le risposte del mondo all’ingiustizia sono violenza attiva o consentita. Opporvi la dolcezza del Cristo è scandalo.
Chi può misurare il coraggio richiesto a coloro che accettassero questo scandalo della mitezza? Ma c’è scandalo più grande ed autentico, questo dello scandalo dei cristiani che hanno lasciato a un Gandhi la responsabilità di levare nel mondo una massa di uomini che si affidavano alla forza incoercibile di quella mitezza?
E tuttavia, ancora una volta, non c’è scelta. Il Cristo “mite ed umile di cuore” è un fatto. Non possiamo né rettificarlo né adattarlo.
(Madeleine DELBRÊL, Noi delle strade, Gribaudi, 2008, Milano, 123).
Zelo e umiltà
«Occorre che vi sia l'insieme di zelo e di umiltà, del riconoscimento cioè dei propri limiti. Da una parte lo zelo: se veramente incontriamo Cristo sempre di nuovo, non possiamo tenercelo per noi stessi. [...] Ma questo zelo, per non diventare vuoto e logorante per noi, deve collegarsi con l'umiltà, con la moderazione, con l'accettazione dei nostri limiti. E poco oltre aggiungeva che il nostro dev'esser anche tempo di interiorità. Infatti, potremo servire gli altri, potremo donare solo se personalmente anche riceviamo, se cioè noi stessi non ci svuotiamo. Da quest'esperienza di interiorità potremo ricevere in dono sempre di nuovo un grande arricchimento. Solo così potremo trasmettere agli uomini «più di quello che è nostro, vale a dire: la presenza del Signore».
(Benedetto XVI, Discorso ai sacerdoti e ai diaconi permanenti della Baviera, il 14 settembre 2006).
Preghiera di un pagliaccio
Padre, sono un fallito, però ti amo.
Sono vari anni che sto nelle tue mani, presto verrà il giorno in cui volerò da te...
La mia bisaccia è vuota, i miei fiori appassiti e scoloriti, solo il mio cuore è intatto.
Mi spaventa la mia povertà però mi consola la tua tenerezza.
Sono davanti a te come una brocca rotta, però con la mia stessa creta puoi farne un'altra come ti piace...
Signore, cosa ti dirò quando mi chiederai conto?
Ti dirò che la mia vita, umanamente, è stata un fallimento, che ho volato molto basso.
Signore, accetta l'offerta di questa sera...
La mia vita, come un flauto, è piena di buchi...
ma prendila nelle tue mani divine.
Che la tua musica passi attraverso me e sollevi i miei fratelli, gli uomini, che sia per loro ritmo e melodia, che accompagni il loro camminare, allegria semplice dei loro passi stanchi...
(Manoscritto spagnolo).
L’amicizia
“L’amicizia possiede le medesime peculiarità dell’acqua di un fiume: può aggirare gli ostacoli, superare le rocce, adattarsi a valli e monti, trasformarsi in un lago per colmare una conca e proseguire il suo cammino.
Così come il fiume non dimentica che la sua meta è il mare, l’amicizia non scorda che la sua unica ragion d’essere è dimostrare l’amore verso gli altri.”
(Paulo COELHO, Il manoscritto ritrovato ad Accra, Bompiani, Milano, 2012, 104-105).
Essere bambini
Mentre la beata Umiliana giaceva nel suo letto, dentro la sua cella, chiusa nella torre, ecco un bambino di quattro anni o poco meno, dal volto bellissimo. Giocava con impegno proprio nella sua cella davanti a lei. Quando lo vide provò una grande gioia e rivolgendogli la parola disse: O amore dolcissimo, o carissimo bambino, non sai fare altro che giocare? E il bambino con il suo sguardo tranquillo le rispose: Che altro volete che faccia? E la benedetta Umiliana umilmente disse: Voglio invece che tu mi dica qualcosa di bello su Dio. E il bambino disse: Credi che sia bene che uno parli di se stesso? E con queste parole disparve.
(fra’ Vito da Cortona)
Mite e umile di cuore
Cristo è ancor oggi per noi un maestro mite e colmo d'amore per gli uomini che continua a prendersi cura della nostra salvezza. Lo dichiara apertamente nei vangeli come abbiamo appena letto: «Venite, imparate da me perché sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29). Quant'è grande la condiscendenza di colui che ci ha fatto! La creatura non abbia timore! Venite, imparate da me. Il Signore è venuto a consolare i suoi servi che erano caduti. Ecco come si comporta Cristo: si mostra pieno di compassione; sebbene il peccatore dovesse essere punito, sebbene la stirpe di quelli che provocavano la sua ira dovesse essere annientata, egli rivolge parole di pace ai colpevoli. «Venite, imparate da me, perché sono mite e umile di cuore» (ibidem).
Dio è umile, l'uomo orgoglioso. Il giudice è clemente, il colpevole superbo. Le parole dell'artefice sono umili, quelle dell'argilla sembrano quelle di un re. [...] Venite, osservate la sua ineffabile bontà. Chi non amerà il Signore che non colpisce? Chi non ammirerà il giudice che supplica a favore del colpevole? La semplicità delle sue parole ti stupisce. «Io sono il Creatore e amo la mia opera. Io sono l'artista e ho cura di ciò che ho plasmato. Se volessi ricorrere alla mia autorità, non libererei l'umanità caduta; se non curassi la sua malattia incurabile con farmaci appropriati, non guarirebbe; se non la confortassi, morirebbe; se mi limitassi a minacciarla, perirebbe. Per questo motivo pongo su di lei che giace a terra l'unguento della bontà. Mi piego su di lei pieno di compassione per rialzarla dalla sua caduta. Chi sta in piedi non può rialzare da terra chi è caduto se non si china a tendergli la mano. «Venite, imparate da me perché sono mite e umile di cuore». Non dico parole vane vi ho mostrato le mie opere; il «perché sono mite e umile di cuore» vedilo da ciò che sono diventato. Guarda la forma, pensa alla dignità e venera la mia condiscendenza a causa tua. Pensa da dove sono venuto, dove mi trovo a conversare con te. Il cielo è il mio trono e io sto a parlare con te. Nell'alto sono glorificato e nella mia paziente bontà non mi adiro «perché sono mite e umile di cuore».
(PSEUDO-GIOVANNI CRISOSTOMO, Basso martire, in PG 50,721-722)
Il segreto di un bambino
Non si può amare un bambino per la sua abilità e per ciò che fa, in quanto egli non può ancora nulla, non fa ancora assolutamente nulla di utile; non si può amare un bambino per il fatto che possiede o dovrebbe mostrare qualcosa di speciale; al contrario, egli non ha ancora nulla di proprio, se lo si vuole amare, gli si deve voler bene per se stesso. Questo è tutto il segreto di un bambino, che ci costringe con il semplice suo esserci ad amarlo e vive dell’essere amato gratuitamente. In questo, ossia nel fatto di pensare così di noi stessi, starebbe la nostra redenzione; nell’avere, una buona volta, il coraggio di vivere gratis e di avere fiducia in noi stessi, di sentirci legittimati semplicemente per il fatto di esistere.
(E. DREWERMANN, Psicologia del profondo e esegesi, I, 505 s.)
In mitezza e umiltà
«Essi però non comprendevano quelle parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni» (Mc 9,32). Tale ignoranza da parte dei discepoli non nasce tanto dalla limitatezza della loro mente, quanto dall'amore che essi nutrivano per il Salvatore. Questi uomini che vive-vano ancora secondo la carne ed erano ignari del mistero della croce, si rifiutavano di credere che colui che essi avevano riconosciuto quale Dio vero sarebbe morto ed essendo abituati a sentirlo parlare in parabole, poiché inorridivano alla sola idea della sua morte, cercavano di attribuire un senso figurato anche a quello che diceva apertamente a proposito della sua cattura e della sua passione. «E giunsero a Cafarnao. Entrati in casa chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?". Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande» (Mc 9,33-34). Sembra che la discussione tra i discepoli a proposito del primo posto fosse nata perché avevano visto che Pietro, Giacomo e Giovanni erano stati condotti in disparte sul monte e che qui era stato affidato loro qualcosa di segreto. Ma già da prima erano convinti, come racconta Matteo (cfr. Mt 16,18-19), che a Pietro erano state date le chiavi del Regno dei cieli, e che la chiesa del Signore doveva essere edificata sulla pietra della fede, dalla quale egli stesso aveva ricevuto il nome. Ne concludevano o che quei tre apostoli dovevano essere superiori agli altri o che Pietro era superiore a tutti. Il Signore, vedendo i pensieri dei discepoli, cerca di correggere il loro desiderio di gloria col freno dell'umiltà e fa loro intendere che non si deve cercare di essere primi; così, dapprima li esorta con il semplice comandamento dell'umiltà e, subito dopo, li ammaestra con l'esempio dell'innocenza del bambino. Dicendo infatti: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (Mc 9,37) [...] li esorta, a motivo della loro malizia, a essere anche loro come bambini, cioè a conservare la semplicità senza arroganza, la carità senza invidia e la devozione senza ira. Prendendo poi in braccio il bambino, indica che sono degni del suo abbraccio e del suo amore gli umili e che, quando avranno messo in pratica il suo comandamento: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), solo allora potranno gloriarsi.
(BEDA IL VENERABILE, Commento al vangelo di Marco, CCL 120.n. 551).
Preghiera
A volte, Signore, la piccolezza del mio essere creatura mi appare inadeguata e insufficiente a contenere i miei più grandi desideri. E faccio di tutto per rompere quelli che avverto come limiti al mio bisogno di espandermi, di ‘sentirmi grande’: essere più degli altri, ricevere più degli altri, contare più degli altri.
Tu vieni incontro a questo prepotente bisogno di emergere e mi proponi di metterlo a servizio dell’amore, facendomi l’ultimo di tutti, il servo di tutti, il più pacifico, il più mite, il più misericordioso, accogliente verso tutti…
Manda dall’altro il tuo Spirito di sapienza, perché faccia della mia vita un’opera di pace.
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
- Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.
- Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
- La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
- E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.
- Liturgia. Anno A. CD, Leumann (To), Elle Di Ci, 2004.
- A. PRONZATO, Il vangelo in casa, Gribaudi, 1994.
- F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.
- D. GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.
---
Fonte:http://www.catechistaduepuntozero.it
Commenti
Posta un commento