mons. Roberto Brunelli"Dio non vuole la morte del peccatore"
Dio non vuole la morte del peccatore
mons. Roberto Brunelli
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (23/07/2017)
Visualizza Mt 13,24-43
Tre brevi parabole formano il vangelo di oggi (Matteo 13,24-43). Fermiamoci alla prima, che sembra
continuare quella di domenica scorsa sulla semina e sui suoi frutti, e costituirne quasi uno sviluppo. Il seminatore sparge la semente, che in parte si perde e solo in parte attecchisce e porta frutto: così domenica scorsa; oggi si aggiunge che, anche là dove attecchisce, cresce frammista a erbe infestanti come la zizzania. Che fare? Se si strappano le erbacce si rischia di strappare anche il buon grano; conviene, dice Gesù, aspettare sino alla mietitura e solo allora separare questo da quelle, destinandoli alla sorte che meritano: il buon grano al sicuro nel granaio, le erbacce ad alimentare un bel falò. Il significato anche stavolta lo spiega lo stesso Gesù: il campo è il mondo, il buon grano sono gli uomini che corrispondono ai doni di Dio, la zizzania sono i malvagi, e la differenza si vede alla fine.
Questo quadretto di vita contadina, all'apparenza così semplice, esprime un illuminante insegnamento su come Dio guarda agli uomini che popolano il pianeta, e risponde a un interrogativo che spesso si sente ripetere. Perché Dio non interviene a bloccare chi fa del male? Perché non manda subito all'inferno tipi come Hitler, o come chi violenta, uccide, tortura, affama e così via? Risposta: Dio è paziente, è tollerante, è misericordioso; come si dice in altre parti della Scrittura, Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Egli dà tempo (e richiami) a tutti, perché cambino vita; è come il padre di quell'altra celebre parabola, in ansiosa attesa che il figlio prodigo torni da lui. Certo, se malgrado la pazienza e le tante sollecitazioni un uomo persiste sino alla fine nel suo rifiuto, Dio rispetta la libertà che lui stesso gli ha donato e non lo costringe a stare con lui. Sarà per sempre senza di lui: e questo è propriamente l'inferno, che l'immaginario popolare ha riempito di fiamme e diavoli neri col forcone, mentre in realtà è semplicemente (ma terribilmente!) la condizione di una vita per sempre priva dell'unica vera ragione per viverla.
Dio è paziente: mille esempi lo dimostrano, e nel contempo rendono evidente che è meglio così. Ricordiamo solo il caso di Paolo, l'accanito persecutore dei cristiani diventato fervente apostolo. Ragionando come pretendono alcuni, all'uomo che andava a Damasco ad arrestare i suoi amici Gesù avrebbe dovuto mandare un accidente, non l'illuminazione; ma se l'avesse fatto avrebbe privato il mondo del bene immenso portato dalla conversione del persecutore. E poi, riflettiamo: se Dio cominciasse a punire i peccatori, a che punto si dovrebbe fermare? Se colpisse chi manda a morte sei milioni di uomini, perché non anche uno solo? I comandamenti sono dieci, davanti a lui tutti della stessa importanza: quale uomo può affermare di non averne mai violato neppure uno? "Se tu guardi le colpe, Signore" recita il salmo 129, "Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono...".
Il perdono, la pazienza, la misericordia: questo è lo stile di Gesù, che in croce ha perdonato chi ce l'aveva inchiodato, e ha perdonato Pietro che l'aveva rinnegato tre volte, e avrebbe perdonato anche Giuda, se si fosse pentito. E' lo stile di Gesù, riflesso di quello del Padre suo, e modello per noi. Quante volte, gli chiese un giorno Pietro, devo perdonare chi mi fa del male? Sette volte? E gli pareva che sette fosse un numero generoso; chissà lo stupore nel sentirsi rispondere: Non sette, ma settanta volte sette. Cioè, sempre. E quando insegnò a pregare, Gesù invitò a chiedere al Padre nostro: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Se, nei confronti di chi riteniamo ci abbia fatto torto, non siamo disposti a perdonare ma coltiviamo pensieri di vendetta o semplicemente pretendiamo giustizia, che sarà di noi se Dio farà altrettanto con noi?
Fonte:http://www.qumran2.net
mons. Roberto Brunelli
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (23/07/2017)
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Tre brevi parabole formano il vangelo di oggi (Matteo 13,24-43). Fermiamoci alla prima, che sembra
continuare quella di domenica scorsa sulla semina e sui suoi frutti, e costituirne quasi uno sviluppo. Il seminatore sparge la semente, che in parte si perde e solo in parte attecchisce e porta frutto: così domenica scorsa; oggi si aggiunge che, anche là dove attecchisce, cresce frammista a erbe infestanti come la zizzania. Che fare? Se si strappano le erbacce si rischia di strappare anche il buon grano; conviene, dice Gesù, aspettare sino alla mietitura e solo allora separare questo da quelle, destinandoli alla sorte che meritano: il buon grano al sicuro nel granaio, le erbacce ad alimentare un bel falò. Il significato anche stavolta lo spiega lo stesso Gesù: il campo è il mondo, il buon grano sono gli uomini che corrispondono ai doni di Dio, la zizzania sono i malvagi, e la differenza si vede alla fine.
Questo quadretto di vita contadina, all'apparenza così semplice, esprime un illuminante insegnamento su come Dio guarda agli uomini che popolano il pianeta, e risponde a un interrogativo che spesso si sente ripetere. Perché Dio non interviene a bloccare chi fa del male? Perché non manda subito all'inferno tipi come Hitler, o come chi violenta, uccide, tortura, affama e così via? Risposta: Dio è paziente, è tollerante, è misericordioso; come si dice in altre parti della Scrittura, Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Egli dà tempo (e richiami) a tutti, perché cambino vita; è come il padre di quell'altra celebre parabola, in ansiosa attesa che il figlio prodigo torni da lui. Certo, se malgrado la pazienza e le tante sollecitazioni un uomo persiste sino alla fine nel suo rifiuto, Dio rispetta la libertà che lui stesso gli ha donato e non lo costringe a stare con lui. Sarà per sempre senza di lui: e questo è propriamente l'inferno, che l'immaginario popolare ha riempito di fiamme e diavoli neri col forcone, mentre in realtà è semplicemente (ma terribilmente!) la condizione di una vita per sempre priva dell'unica vera ragione per viverla.
Dio è paziente: mille esempi lo dimostrano, e nel contempo rendono evidente che è meglio così. Ricordiamo solo il caso di Paolo, l'accanito persecutore dei cristiani diventato fervente apostolo. Ragionando come pretendono alcuni, all'uomo che andava a Damasco ad arrestare i suoi amici Gesù avrebbe dovuto mandare un accidente, non l'illuminazione; ma se l'avesse fatto avrebbe privato il mondo del bene immenso portato dalla conversione del persecutore. E poi, riflettiamo: se Dio cominciasse a punire i peccatori, a che punto si dovrebbe fermare? Se colpisse chi manda a morte sei milioni di uomini, perché non anche uno solo? I comandamenti sono dieci, davanti a lui tutti della stessa importanza: quale uomo può affermare di non averne mai violato neppure uno? "Se tu guardi le colpe, Signore" recita il salmo 129, "Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono...".
Il perdono, la pazienza, la misericordia: questo è lo stile di Gesù, che in croce ha perdonato chi ce l'aveva inchiodato, e ha perdonato Pietro che l'aveva rinnegato tre volte, e avrebbe perdonato anche Giuda, se si fosse pentito. E' lo stile di Gesù, riflesso di quello del Padre suo, e modello per noi. Quante volte, gli chiese un giorno Pietro, devo perdonare chi mi fa del male? Sette volte? E gli pareva che sette fosse un numero generoso; chissà lo stupore nel sentirsi rispondere: Non sette, ma settanta volte sette. Cioè, sempre. E quando insegnò a pregare, Gesù invitò a chiedere al Padre nostro: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Se, nei confronti di chi riteniamo ci abbia fatto torto, non siamo disposti a perdonare ma coltiviamo pensieri di vendetta o semplicemente pretendiamo giustizia, che sarà di noi se Dio farà altrettanto con noi?
Fonte:http://www.qumran2.net
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