FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio "Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,14-30) "

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
Antifona d'ingresso
Dice il Signore:

“Io ho progetti di pace e non di sventura;
voi mi invocherete e io vi esaudirò,
e vi farò tornare da tutti i luoghi dove vi ho dispersi”.(Ger 29,11.12.14)

Colletta
Il tuo aiuto, Signore,
ci renda sempre lieti nel tuo servizio,
perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene,
possiamo avere felicità piena e duratura.

Oppure:
O Padre, che affidi alle mani dell’uomo
tutti i beni della creazione e della grazia,
fa’ che la nostra buona volontà
moltiplichi i frutti della tua provvidenza;
rendici sempre operosi e vigilanti
in attesa del tuo giorno,
nella speranza di sentirci chiamare
servi buoni e fedeli,
e così entrare nella gioia del tuo regno.

PRIMA LETTURA (Pr 31,10-13.19-20.30-31)
La donna perfetta lavora volentieri con le sue mani.
Dal libro dei Proverbi

Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 127)
Rit: Beato chi teme il Signore.

Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene. Rit:

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa. Rit:

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita! Rit:

SECONDA LETTURA (1Ts 5,1-6)
Non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

Canto al Vangelo (Gv 15,4.5)
Alleluia, alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,
chi rimane in me porta molto frutto.
Alleluia.

VANGELO (Mt 25,14-30)
Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Preghiera sulle offerte
Quest’offerta che ti presentiamo, Dio onnipotente,
ci ottenga la grazia di servirti fedelmente
e ci prepari il frutto di un’eternità beata.
Per Cristo nostro Signore.

Antifona di comunione
Il mio bene è stare vicino a Dio,
nel Signore Dio riporre la mia speranza. (Sal 73,28)

Oppure:
Dice il Signore:
“In verità vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera,
abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato”. (Mc 11,23.24)

Oppure:
“Servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco,
ti darò autorità su molto;
prendi parte alla gioia del tuo Signore”. (Mt 25,21)

Preghiera dopo la comunione
O Padre, che ci hai nutriti con questo sacramento,
ascolta la nostra umile preghiera:
il memoriale, che Cristo tuo Figlio
ci ha comandato di celebrare,
ci edifichi sempre nel vincolo del tuo amore.

Lectio
In questa domenica ascoltiamo una delle parabole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo, capitolo che riguarda la venuta del Regno dei cieli. Nel testo greco c’è un “come infatti” che si collega al versetto precedente, che concludeva la parabola delle dieci vergini: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Il significato è dunque lo stesso. L’evangelista ci avverte che anche la nuova parabola indica a cosa è simile il Regno dei cieli, ed è un invito alla vigilanza operosa.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Avverrà come
Il verbo che introduce il racconto, è, nella traduzione italiana: “Avverrà”. “Avverrà come ad un uomo che, partendo per un viaggio…”. Dice avverrà, non potrebbe avvenire. Esprime la certezza di un evento che ci fa pensare alle parole del profeta: “Se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà” (Abacuc 2,3). Quello che il racconto sta per spiegare è come questo avverrà, con lo scopo di prepararci nel modo più conveniente a ciò che avverrà certamente. E cosa dunque avverrà? Avverrà che ci si chiederà conto di come abbiamo speso la nostra vita.

"Come a un uomo che partendo per un viaggio chiamò i suoi servi”
Qui comincia la parabola, il racconto velato e insieme rivelatore. Chi è quest’uomo se non Gesù stesso che sta per affrontare il suo grande viaggio, la sua dipartita, il suo ritorno al Padre? L’evangelista Matteo si rivolge alla Chiesa: sono i discepoli, tutti i fedeli dal più piccolo al più grande, i servi della parabola. Dopo l’ascensione di Gesù tutta la comunità vive “nell’attesa della sua venuta” e deve sapere come vivere il tempo dell’attesa.

E consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Ai servi vengono consegnati i beni del padrone. In modo diverso, secondo le capacità di ciascuno. Non c’è ingiustizia nell’agire di questo padrone perché dà a ciascuno secondo la sua capacità. Un gesto di grande fiducia da parte del padrone verso questi servi che sono riconosciuti capaci di gestire i beni del padrone. Egli affida loro i suoi beni. Li consegna loro, rispettando la forza, l’energia di ciascuno. Questi beni affidati sono doni per l’edificazione della comunità come i carismi e ministeri che Paolo elenca nella sue lettere (cfr ICor 12, 1-31; Ef 4, 7-13). Il bene affidato è la Chiesa stessa, che ognuno è chiamato, per ciò che gli compete, a far crescere e maturare fino alla piena statura di Cristo (Cf Ef 4, 13-16).

Subito, colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
I talenti ricevuti permettono di guadagnarne altri. Anche qui in modo diverso. C’è però un talento che non frutta perché viene nascosto nel terreno. L’operosità dei primi servi è premiata. Il denaro ricevuto ha fruttato. La terra è stata affidata all’uomo perché la custodisca e la coltivi. Il lavoro dell’uomo è cooperazione alla creazione, per volontà stessa del Creatore. “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto” (Gv 15,8). “Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16) E ancora: “A chi fu dato molto molto sarà chiesto a chi fu affidato molto sarà richiesto molto di più” (Lc 12,48). Nella parabola si tratta proprio di beni affidati, cioè dati sulla fiducia. L’atteggiamento dei servi è diverso. I primi due hanno compreso questa volontà del padrone e “danno frutto”. Il terzo si comporta come colui che nasconde la lampada sotto il moggio, impedendole di fare luce nella casa (cf Mt 5,15).

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone - sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
È trascorso molto tempo. Il tempo necessario per far maturare i frutti. Ed ecco il giorno del rendiconto è arrivato. Da qui in poi il testo originale presenta il verbo al presente. Dopo molto tempo il padrone ritorna e chiama i suoi servi. Il giorno del ritorno può infatti essere oggi.
Mi hai consegnato: i primi due servi che hanno ricevuto il denaro del loro padrone, lo considerano come un bene proprio, lo tengono in conto colme se fosse loro. Per questo si sono dati da fare. Quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio. Lo leggiamo in Giovanni (cf 17,10) e anche nella parabola del padre misericordioso (Lc 15,31). Anche la parabola contiene molti possessivi che alludono a questa appartenenza reciproca, fondamento della fiducia e della consegna. Il verbo utilizzato inoltre è il verbo della tradizione. È il Vangelo tramandato, ricevuto e che a sua volta la Chiesa ha il compito di tramandare (cf ICor 15,1).
La ricompensa è prendere parte alla gioia del padrone. Questa ricompensa uguale per i due servi rivela il volto del nostro Dio che è il Dio della gioia. Il Regno dei cieli è prendere parte alla Gioia di Dio!

Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il talento sotterra: ecco ciò che è tuo”.
Ecco ciò che è tuo: il servo malvagio non ha mai considerato suo il talento ricevuto, non l’ha mai fatto proprio… ecco perché non ce l’ha… “e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha (v.29). Era suo ma non l’ha considerato suo, era come se non l’avesse ricevuto. Lo ha messo da parte. Nascosto. Per paura. Considera e giudica il padrone come un despota. Come il figlio maggiore della parabola non ha mai considerato suo ciò che condivideva nella casa del padre suo (cf Lc 15,29-30). Non si è mai sentito figlio. Ora nella Chiesa siamo chiamati a vivere da figli, questo è ciò che lo Spirito dice ai nostri cuori (cf Rm 8, 16

Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e infingardo, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Che cosa abbiamo che non abbiamo ricevuto? E quello che abbiamo ricevuto lo riteniamo davvero un dono di Dio per noi e per la Chiesa? Non c’è posto per la pigrizia nella Chiesa di Dio: tutti siamo chiamati a portare frutto e lo possiamo fare solo se entriamo in una relazione con Dio che ci apre alla gratitudine filiale per i beni ricevuti e affidati alla nostra operosità. Come Maria che riconosce e magnifica il Signore perché grandi cose ha fatto in lei e si affretta a porre il dono ricevuto a servizio degli altri. Subito. Come il primo servo della parabola, senza aspettare, perché non sappiamo in quale giorno il Signore nostro verrà.

O Padre, che affidi alle mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della grazia, fa’ che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza; rendici sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo ritorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni  e fedeli, e così entrare nella gioia del tuo Regno.

Appendice
La simbologia dei talenti
Sarà infatti come d`un uomo il quale, stando per fare un lungo viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, all`altro due, e a un altro uno solo: a ciascuno secondo la sua capacità" (Mt 25,14-15). Non v’è dubbio che quest’uomo, questo padrone di casa, è Cristo stesso, il quale, mentre s`appresta vittorioso ad ascendere al Padre dopo la Risurrezione, chiamati a sé gli apostoli, affida loro la dottrina evangelica, dando a uno più e a un altro meno, non perché vuol essere con uno più generoso e con l`altro più parco, ma perché tiene conto delle forze di ciascuno (l`Apostolo dice qualcosa di simile quando afferma di aver nutrito col latte coloro che non erano ancora in grado di nutrirsi con cibi solidi) (cf. 1Cor 3,2). Infatti poi con uguale gioia ha accolto colui che di cinque talenti, trafficandoli, ne ha fatto dieci e colui che di due ne ha fatto quattro, considerando non l`entità del guadagno, ma la volontà di ben fare. Nei cinque, come nei due e nell`unico talento, scorgiamo le diverse grazie che a ciascuno vengono date. Oppure si può vedere, nel primo che ne riceve cinque, i cinque sensi, nel secondo che ne ha due, l`intelligenza e le opere, e nel terzo che ne ha uno solo, la ragione, che distingue gli uomini dalle bestie.
"Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti, se ne andò a negoziarli e ne guadagnò altri cinque" (Mt 25,16). Ricevuti cioè i cinque sensi terreni, li raddoppiò acquisendo per mezzo delle cose create la conoscenza delle cose celesti, la conoscenza del Creatore: risalendo dalle cose corporee a quelle spirituali, dalle visibili alle invisibili, dalle contingenti alle eterne.
"Come pure quello che aveva ricevuto due talenti ne guadagnò altri due (Mt 25,17). Anche costui, le verità che con le sue forze aveva appreso dalla Legge le raddoppiò nella conoscenza del Vangelo. O si può intendere che, attraverso la scienza e le opere della vita terrena, comprese le caratteristiche ideali della futura beatitudine.
"Ma colui che ne aveva ricevuto uno solo, andò a scavare una buca nella terra e vi nascose il denaro del suo padrone" (Mt 25,18). Il servo malvagio, dominato dalle opere terrene e dai piaceri del mondo, trascurò e macchiò i precetti di Dio. Un altro evangelista dice che questo servo tenne la sua moneta legata in una pezzuola (cf. Lc 19,20), cioè, vivendo nella mollezza e nelle delizie, rese inefficiente l`insegnamento del padrone di casa.
"Ora, dopo molto tempo, ritornò il padrone di quei servi e li chiamò a render conto. Venuto dunque colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque dicendo: «Signore, tu mi desti cinque talenti; ecco, io ne ho guadagnati altri cinque»" (Mt 25,19-20). Molto tempo c`è tra l`Ascensione del Salvatore e la sua seconda venuta. Ora, se gli apostoli stessi dovranno render conto e risorgeranno col timore del giudizio, che dobbiamo mai far noi?
"E il padrone gli disse «Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: entra nella gioia del tuo Signore». Si presentò poi l`altro che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, tu mi desti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». Il suo padrone gli disse: «Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: entra nella gioia del tuo Signore» (Mt 25,21-23). Ambedue i servi, e quello che di cinque talenti ne ha fatto dieci e quello che di due ne ha fatto quattro, ricevono identiche lodi dal padrone di casa. E dobbiamo rilevare che tutto quanto possediamo in questa vita, anche se può sembrare grande e abbondante, è sempre poco e piccolo a confronto dei beni futuri. «Entra - dice il padrone - nella gioia del tuo Signore»: cioè ricevi quel che occhio mai vide, né orecchio mai udì, né mai cuore d`uomo ha potuto gustare (cf.1Cor 2,9). Che cosa mai di più grande può essere donato al servo fedele, se non di vivere insieme col proprio signore e contemplare la gioia di lui?
"Presentatosi infine quello che aveva ricevuto un solo talento, disse: «Signore, so che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco, prendi quello che ti appartiene» (Mt 25,24-25). Quanto sta scritto nel salmo: A cercare scuse per i peccati (cf. Sal 141,4), si applica anche a questo servo, il quale alla pigrizia e negligenza, ha aggiunto anche la colpa della superbia. Egli che non avrebbe dovuto fare altro che confessare la sua infingardaggine e supplicare il padrone di casa, al contrario lo calunnia, e sostiene di aver agito con prudenza non avendo cercato alcun guadagno per timore di perdere il capitale.
"Il suo padrone gli rispose: «Servo malvagio e infingardo, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e che raccolgo dove non ho sparso; potevi dunque mettere il mio denaro in mano ai banchieri, e al ritorno io avrei ritirato il mio con l`interesse. Toglietegli perciò il talento e datelo a colui che ne ha dieci» (Mt 25,26-28). Quanto credeva di aver detto in sua difesa, si muta invece in condanna. E il servo è chiamato malvagio, perché ha calunniato il padrone; è detto pigro, perché non ha voluto raddoppiare il talento: perciò è condannato prima come superbo e poi come negligente. Se - dice in sostanza il Signore - sapevi che io son duro e crudele e che desidero le cose altrui, tanto che mieto dove non ho seminato, perché questo pensiero non ti ha istillato timore tanto da farti capire che io ti avrei richiesto puntualmente ciò che era mio, e da spingerti a dare ai banchieri il denaro e l`argento che ti avevo affidato? L`una e l`altra cosa significa infatti la parola greca arghyrion. Sta scritto: "La parola del Signore è parola pura, argento affinato nel fuoco, temprato nella terra, purificato sette volte" (Sal 12,7). Il denaro e l`argento sono la predicazione del Vangelo e la parola divina, che deve essere data ai banchieri e agli usurai, cioè o agli altri dottori (come fecero gli apostoli, ordinando in ogni provincia presbiteri e vescovi), oppure a tutti i credenti, che possono raddoppiarla e restituirla con l`interesse, in quanto compiono con le opere ciò che hanno appreso dalla parola. A questo servo viene pertanto tolto il talento e viene dato a quello che ne ha fatto dieci affinché comprendiamo che - sebbene uguale sia la gioia dei Signore per la fatica di ciascuno dei due, cioè di quello che ha raddoppiato i cinque talenti e di quello che ne ha raddoppiato due - maggiore è il premio che si deve a colui che più ha trafficato col denaro del padrone. Per questo l’Apostolo dice: "Onora i presbiteri, quelli che sono veramente presbiteri, e soprattutto coloro che s`affaticano nella parola di Dio (1Tm 5,17). E da quanto osa dire il servo malvagio: «Mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso», comprendiamo che il Signore accetta anche la vita onesta dei pagani e dei filosofi, e che in un modo accoglie coloro che hanno agito giustamente e in un altro coloro che hanno agito ingiustamente, e che infine, paragonandoli con quelli che hanno seguito la legge naturale, vengono condannati coloro che violano la legge scritta.
"Poiché a chi ha, sarà dato e sarà nell`abbondanza, ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che crede di avere" (Mt 25,29). Molti, pur essendo per natura sapienti e avendo un ingegno acuto, se però sono stati negligenti e con la pigrizia hanno corrotto la loro naturale ricchezza, a confronto di chi invece è un poco più tardo, ma con il lavoro e l`industria ha compensato i minori doni che ha ricevuto, perderanno i loro beni di natura e vedranno che il premio loro promesso sarà dato agli altri. Possiamo capire queste parole anche così: chi ha fede ed è animato da buona volontà nel Signore, riceverà dal giusto Giudice, anche se per la sua fragilità umana avrà accumulato minor numero di opere buone. Chi invece non avrà avuto fede, perderà anche le altre virtù che credeva di possedere per natura. Efficacemente dice che a costui «sarà tolto anche quello che crede di avere». Infatti, anche tutto ciò che non appartiene alla fede in Cristo, non deve essere attribuito a chi male ne ha usato, ma a colui che ha dato anche al cattivo servo i beni naturali.
"E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridor di denti" (Mt 25,30). Il Signore è la luce; chi è gettato fuori, lontano da lui, manca della vera luce. (Girolamo, In Matth. IV, 22, 14-30)

Parabola dei talenti
Son stato simile al cattivo servo
Che nulla ha tratto dai talenti confidatigli;
Anzi l`ho persino superato,
Perché ho perduto il dono della grazia.

Non ho fatto raddoppiare il tuo talento,
Né quadruplicare i due, né decuplicare i cinque,
Per cui regno completamente
Sulle dieci cittadelle del sensibile.

Ma ho sotterrato l`unico (talento),
Nel velame dei vizi ravvolgendolo;
Non ho posto il tuo denaro in banca,
Per darti modo di averne l`interesse,

(Non ho portato) cioè la parola del Comandamento
Alle orecchie dell`essere pensante,
Che son la banca spirituale
Della sapienza del Pane di Vita.

Ecco perché io mi spetto
D`esser punito e gettato nelle tenebre,
Finché Tu venga a richiedere il talento,
Che m`hai concesso alla Fontana sacra.

Ma a Te, Salvatore della mia anima,
Piangendo, voglio rivolgere queste parole:
«Poiché m`è dato ancor di fare il bene,
Dammi la grazia di piacerTi per suo mezzo».

Ascolterò cosí la (sentenza) gioiosa
Come il servo fedele:
«Entra nella casa celeste
Nella gioia del tuo Signore!».
(Nerses Snorhalí, Jesus, 694-700)

Cari fratelli e sorelle!
La Parola di Dio di questa domenica – la penultima dell’anno liturgico – ci ammonisce circa la provvisorietà dell’esistenza terrena e ci invita a viverla come un pellegrinaggio, tenendo lo sguardo rivolto alla meta, a quel Dio che ci ha creato e, poiché ci ha fatto per sé (cfr S. Agostino, Conf. 1,1), è il nostro destino ultimo e il senso del nostro vivere. Passaggio obbligato per giungere a tale realtà definitiva è la morte, seguita dal giudizio finale. L’apostolo Paolo ricorda che “il giorno del Signore verrà come un ladro di notte” (1 Ts 5,2), cioè senza preavviso. La consapevolezza del ritorno glorioso del Signore Gesù ci sprona a vivere in un atteggiamento di vigilanza, attendendo la sua manifestazione nella costante memoria della sua prima venuta.
Nella celebre parabola dei talenti – riportata dall’evangelista Matteo (cfr 25,14-30) – Gesù racconta di tre servi ai quali il padrone, al momento di partire per un lungo viaggio, affida le proprie sostanze. Due di loro si comportano bene, perché fanno fruttare del doppio i beni ricevuti. Il terzo, invece, nasconde il denaro ricevuto in una buca. Tornato a casa, il padrone chiede conto ai servitori di quanto aveva loro affidato e, mentre si compiace dei primi due, rimane deluso del terzo. Quel servo, infatti, che ha tenuto nascosto il talento senza valorizzarlo, ha fatto male i suoi conti: si è comportato come se il suo padrone non dovesse più tornare, come se non ci fosse un giorno in cui gli avrebbe chiesto conto del suo operato. Con questa parabola, Gesù vuole insegnare ai discepoli ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza. Commentando questa pagina evangelica, san Gregorio Magno nota che a nessuno il Signore fa mancare il dono della sua carità, dell’amore. Egli scrive: “È perciò necessario, fratelli miei, che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere” (Omelie sui Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i nemici, aggiunge: “se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre” (ibidem).
Cari fratelli, accogliamo l’invito alla vigilanza, a cui più volte ci richiamano le Scritture! Essa è l’atteggiamento di chi sa che il Signore ritornerà e vorrà vedere in noi i frutti del suo amore. La carità è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni altro dono è vano (cfr 1 Cor 13,3). Se Gesù ci ha amato al punto da dare la sua vita per noi (cfr 1 Gv 3,16), come potremmo non amare Dio con tutto noi stessi e amarci di vero cuore gli uni gli altri? (cfr 1 Gv 4,11) Solo praticando la carità, anche noi potremo prendere parte alla gioia del nostro Signore. La Vergine Maria ci sia maestra di operosa e gioiosa vigilanza nel cammino verso l’incontro con Dio. (Papa Benedetto XVI, Angelus del 13 novembre 2011)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Il Vangelo di questa domenica è la parabola dei talenti, tratta da san Matteo (25,14-30). Racconta di un uomo che, prima di partire per un viaggio, convoca i servitori e affida loro il suo patrimonio in talenti, monete antiche di grandissimo valore. Quel padrone affida al primo servitore cinque talenti, al secondo due, al terzo uno. Durante l’assenza del padrone, i tre servitori devono far fruttare questo patrimonio. Il primo e il secondo servitore raddoppiano ciascuno il capitale di partenza; il terzo, invece, per paura di perdere tutto, seppellisce il talento ricevuto in una buca. Al ritorno del padrone, i primi due ricevono la lode e la ricompensa, mentre il terzo, che restituisce soltanto la moneta ricevuta, viene rimproverato e punito.
E’ chiaro il significato di questo. L’uomo della parabola rappresenta Gesù, i servitori siamo noi e i talenti sono il patrimonio che il Signore affida a noi. Qual è il patrimonio? La sua Parola, l’Eucaristia, la fede nel Padre celeste, il suo perdono… insomma, tante cose, i suoi beni più preziosi. Questo è il patrimonio che Lui ci affida. Non solo da custodire, ma da far crescere! Mentre nell’uso comune il termine “talento” indica una spiccata qualità individuale – ad esempio talento nella musica, nello sport, eccetera –, nella parabola i talenti rappresentano i beni del Signore, che Lui ci affida perché li facciamo fruttare. La buca scavata nel terreno dal «servo malvagio e pigro» (v. 26) indica la paura del rischio che blocca la creatività e la fecondità dell’amore. Perché la paura dei rischi dell’amore ci blocca. Gesù non ci chiede di conservare la sua grazia in cassaforte! Non ci chiede questo Gesù, ma vuole che la usiamo a vantaggio degli altri. Tutti i beni che noi abbiamo ricevuto sono per darli agli altri, e così crescono. È come se ci dicesse: “Eccoti la mia misericordia, la mia tenerezza, il mio perdono: prendili e fanne largo uso”. E noi che cosa ne abbiamo fatto? Chi abbiamo “contagiato” con la nostra fede? Quante persone abbiamo incoraggiato con la nostra speranza? Quanto amore abbiamo condiviso col nostro prossimo? Sono domande che ci farà bene farci. Qualunque ambiente, anche il più lontano e impraticabile, può diventare luogo dove far fruttificare i talenti. Non ci sono situazioni o luoghi preclusi alla presenza e alla testimonianza cristiana. La testimonianza che Gesù ci chiede non è chiusa, è aperta, dipende da noi.
Questa parabola ci sprona a non nascondere la nostra fede e la nostra appartenenza a Cristo, a non seppellire la Parola del Vangelo, ma a farla circolare nella nostra vita, nelle relazioni, nelle situazioni concrete, come forza che mette in crisi, che purifica, che rinnova. Così pure il perdono, che il Signore ci dona specialmente nel Sacramento della Riconciliazione: non teniamolo chiuso in noi stessi, ma lasciamo che sprigioni la sua forza, che faccia cadere muri che il nostro egoismo ha innalzato, che ci faccia fare il primo passo nei rapporti bloccati, riprendere il dialogo dove non c’è più comunicazione… E così via. Fare che questi talenti, questi regali, questi doni che il Signore ci ha dato, vengano per gli altri, crescano, diano frutto, con la nostra testimonianza.
Credo che oggi sarebbe un bel gesto che ognuno di voi prendesse il Vangelo a casa, il Vangelo di San Matteo, capitolo 25, versetti dal 14 al 30, Matteo 25, 14-30, e leggere questo, e meditare un po’: “I talenti, le ricchezze, tutto quello che Dio mi ha dato di spirituale, di bontà, la Parola di Dio, come faccio che crescano negli altri? O soltanto li custodisco in cassaforte?”.
E inoltre Il Signore non dà a tutti le stesse cose e nello stesso modo: ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi; ma in tutti, in tutti c’è qualcosa di uguale: la stessa, immensa fiducia. Dio si fida di noi, Dio ha speranza in noi! E questo è lo stesso per tutti. Non deludiamolo! Non lasciamoci ingannare dalla paura, ma ricambiamo fiducia con fiducia! La Vergine Maria incarna questo atteggiamento nel modo più bello e più pieno. Ella ha ricevuto e accolto il dono più sublime, Gesù in persona, e a sua volta lo ha offerto all’umanità con cuore generoso. A Lei chiediamo di aiutarci ad essere “servi buoni e fedeli”, per partecipare “alla gioia del nostro Signore”. (Papa Francesco, Angelus del 16 novembre2014)

Desidero che le comunità cristiane, nella settimana precedente la Giornata Mondiale dei Poveri, che quest’anno sarà il 19 novembre, XXXIII domenica del Tempo Ordinario, si impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto. Potranno poi invitare i poveri e i volontari a partecipare insieme all’Eucaristia di questa domenica, in modo tale che risulti ancora più autentica la celebrazione della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, la domenica successiva. La regalità di Cristo, infatti, emerge in tutto il suo significato proprio sul Golgota, quando l’Innocente inchiodato sulla croce, povero, nudo e privo di tutto, incarna e rivela la pienezza dell’amore di Dio. Il suo abbandonarsi completamente al Padre, mentre esprime la sua povertà totale, rende evidente la potenza di questo Amore, che lo risuscita a vita nuova nel giorno di Pasqua.
In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo. Secondo l’insegnamento delle Scritture (cfr Gen 18,3-5; Eb 13,2), accogliamoli come ospiti privilegiati alla nostra mensa; potranno essere dei maestri che ci aiutano a vivere la fede in maniera più coerente. Con la loro fiducia e disponibilità ad accettare aiuto, ci mostrano in modo sobrio, e spesso gioioso, quanto sia decisivo vivere dell’essenziale e abbandonarci alla provvidenza del Padre.
A fondamento delle tante iniziative concrete che si potranno realizzare in questa Giornata ci sia sempre la preghiera. Non dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera dei poveri. La richiesta del pane, infatti, esprime l’affidamento a Dio per i bisogni primari della nostra vita. Quanto Gesù ci ha insegnato con questa preghiera esprime e raccoglie il grido di chi soffre per la precarietà dell’esistenza e per la mancanza del necessario. Ai discepoli che chiedevano a Gesù di insegnare loro a pregare, Egli ha risposto con le parole dei poveri che si rivolgono all’unico Padre in cui tutti si riconoscono come fratelli. Il Padre nostro è una preghiera che si esprime al plurale: il pane che si chiede è “nostro”, e ciò comporta condivisione, partecipazione e responsabilità comune. In questa preghiera tutti riconosciamo l’esigenza di superare ogni forma di egoismo per accedere alla gioia dell’accoglienza reciproca. (Dal Messaggio del Santo Padre Francesco per la I Giornata Mondiale dei Poveri, Domenica XXXIII del Tempo Ordinario 19 novembre 2017: Non amiamo a parole ma con i fatti, 7-8)

Fonte:http://figliedellachiesa.org

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