MONASTERO MARANGO"Il vangelo è una sconvolgente liberazione"


Il vangelo è una sconvolgente liberazione

Briciole dalla mensa - 33° Domenica T.O. (anno A) - 19 novembre 2017
LETTURE  Pr 31,10-13.19-20.30-31   Sal 127   1Ts 5,1-6   Mt 25,14-30

COMMENTO
Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In quest’ultimo capitolo del libro dei Proverbi, offertoci in forma ridotta in questa domenica, l’autore
ha voluto innalzare alla donna una specie di monumento. E’ una pagina che manifesta un grande anticonformismo nei riguardi delle idee del tempo e che meriterebbe di essere letta da cima a fondo, senza le riduzioni imposte dal lezionario. Oggi, in un contesto sociale e culturale assai diverso, è una pagina che ha il sapore di una storia romantica. L’immagine di una madre di famiglia che resta in casa giorno e notte accanto ai figli; una sposa che “si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani” è proprio una fotografia d’altri tempi. E’ vero, è un’immagine superata, ma l’intera portata del brano può apparire solo inquadrandolo nella mentalità dell’antico Oriente, un’epoca in cui la donna era considerata come un essere inferiore, sfruttata nel duro lavoro di ogni giorno e oberata dai numerosi figli da tirare su, sempre disponibile alle voglie sessuali del marito.
I teologi del post-esilio, che hanno redatto questo testo, proclamando con coraggio i diritti della donna, rimettono in questione – se non altro a livello di riflessione – le consolidate strutture sociali e culturali esistenti allora.
Reagendo contro la situazione di dipendenza in cui la donna era generalmente ridotta, affermano che essa è pienamente capace di assolvere un compito di direzione e di assumere le proprie responsabilità nel mondo. E’ un modo elegante per dichiararla maggiorenne.
Cercare di considerare la donna in tutta la sua dignità significa rinvigorire una delle colonne portanti sulle quali poggia l’intera storia della salvezza. Ricordo solo che il redattore del libro della Genesi presenta la relazione simmetrica dell’uomo e della donna come l’unica immagine della divinità accreditata da Dio stesso (Gen 1,27). Sì, mai l’uomo è senza la donna; mai l’uomo è contro la donna.

La parabola dei talenti, così come la riceviamo dal vangelo di Matteo, rappresenta il punto di arrivo di una storia abbastanza lunga, che ha inizio con Gesù, passa dalla predicazione della Chiesa primitiva, per essere infine inserita nel Vangelo, rispondendo ai bisogni dei lettori ai quali è destinata l’opera stessa.

I primi versetti della parabola costituiscono un semplice preliminare del racconto: un padrone prima di partire per un viaggio, chiama i servi e consegna loro i suoi beni, “secondo la capacità di ciascuno”. Il che vuol dire secondo il peso che ciascuno può portare: non si carica un bambino di uno zaino troppo pesante!
La scena principale è occupata dal rendiconto, al momento del ritorno del padrone. Dopo aver narrato in modo succinto il comportamento dei primi due servi, il racconto si sofferma in modo più ampio sull’ultimo dei servi, quello che aveva ricevuto un solo talento. E’ evidente che ciò che interessa è il contrasto che oppone i primi due servi al terzo. Ecco, in primo luogo, l’idea che questo servo si è fatta del suo padrone: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso».
Nel giudizio del servo il padrone si arricchisce con ciò che non gli appartiene ed esige ciò a cui non ha diritto. Lo accusa non solo di essere un padrone duro, ma anche ingiusto.
Poi il servo parla di se stesso, volendo giustificare la sua condotta: «Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra». Anche il passo parallelo di Luca sottolinea il fatto della paura. Se il servo avesse cercato di far fruttare il denaro ricevuto, avrebbe potuto aumentarlo, ma poteva pure rimetterci: non ha voluto correre tale rischio, proprio per paura del suo padrone.

Ecco ciò che è tuo.
Il servo restituisce intatto il denaro che gli era stato affidato; non ha danneggiato il suo padrone, che rientra in possesso dei suoi beni; non manca niente. Evidentemente il servo si sente sdebitato, ed il rimprovero rivolto al suo padrone mostra che egli pensa che la giustizia sia dalla sua parte. In nome di questa giustizia contesta al suo signore il diritto di reclamare più di quanto gli ha consegnato. Possiamo vedere in questo atteggiamento la “giustizia” degli scribi e dei farisei, degli uomini pii che amavano l’osservanza della legge, ma non erano capaci di andare più in là. Compiono esattamente il loro dovere, in modo che il Signore non possa rimproverare loro nulla, ma rifiutano di pensare che egli esiga da loro più di quanto è prescritto. Con la osservanza scrupolosa dei comandamenti, credono di rendere a Dio ciò che gli è dovuto: egli non potrebbe esigere di più senza infrangere la giustizia!
Nel discorso della montagna Gesù aveva detto ai discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).
Che cosa significa questa “giustizia superiore”?
Consiste nella perfezione dell’amore. Un amore la cui unica misura è di non avere misura.
Sentite queste parole di Francesco, il papa di Roma: «Gesù non dà importanza semplicemente all’osservanza disciplinare e alla condotta esteriore. Egli va alla radice della legge, puntando soprattutto sull’intenzione e quindi sul cuore dell’uomo, da dove prendono origine le nostre azioni, buone o malvagie.
Per ottenere comportamenti buoni e onesti non bastano le norme giuridiche, ma occorrono delle motivazioni profonde, espressione di una sapienza nascosta, la Sapienza di Dio, che può essere accolta grazie allo Spirito Santo» (Francesco, 16 febbraio 2014)

Sì, il vangelo non è una norma morale, ma una sconvolgente liberazione. Il guadagno non sta nell’accumulare talenti su talenti, ma nell’impiegare il dono ricevuto secondo la logica del Vangelo, che è la logica dell’amore e non della legge. Vivere secondo la stretta misura della legge equivale a sotterrare il talento, «perché a chiunque ha (dato) verrà dato, e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha (dato, e ha tenuto per sé, sotterrando il dono), verrà tolto anche quello che ha» (Mt 25,29).

A questo punto possiamo tornare all’inizio della parabola:
Avverrà, infatti, come un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi.
Avverrà: quando il Signore tornerà, nell’ultimo giorno, e ci chiederà conto delle nostre azioni, ci troverà vigilanti, operosi nella carità? O troverà delle comunità prigioniere delle loro paure e delle loro ossessioni?
Traffica il talento una Chiesa che esce ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo!
Nasconde il denaro in una buca «una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze, una Chiesa rinchiusa nelle strutture che danno una falsa protezione e nelle norme che trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui si sentono tranquilli» (Evangelii Gaudium 49).

Chiesa di Dio, non aver paura!
Esci per le strade e canta l’amore!


Giorgio Scatto           
Fonte:www.monasteromarango.it/

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