Don Marco Ceccarelli, Festa della Santa Famiglia “B”
I Lettura: Gen 15,1-6; 21,1-3
II Lettura: Eb 11,8.11-12.17-19
Vangelo: Lc 2,22-40
- Testi di riferimento: Gen 46,30; 49,18; Es 4,22-23; 13,2.12-15; Lv 12,6-8; Nm 3,13; 18,15-16;
1Sam 2,26; 3,19; Tb 11,9; Sal 98,2; Is 8,14-15; 9,1; 11,1-2; 25,9; 42,6-7; 49,6; 52,9; 62,1-2; Os
14,9; Lc 2,48.52; 12,36; 23,51; Gv 1,14; 9,39; At 13,47; 26,23; 28,28; 1Cor 1,23-24; 11,19; 2Cor
8,9; Gal 3,14; 4,4; Col 2,2-3; Eb 12,22-23; Gc 1,18; 2Pt 1,21; 1Gv 2,19
1. Il ruolo della famiglia.
- Per entrare nella società degli uomini il Figlio di Dio passa attraverso quella cellula sociale primaria
che è la famiglia. Dio fa partire la storia della salvezza con una famiglia, quella di Abramo e Sara
(prima e seconda lettura) e attraverso di essa nascerà il figlio della promessa. Dio non ha bisogno
di aiuti umani; però ha voluto chiamare l’uomo e la donna, in quanto famiglia, a collaborare
all’opera della salvezza. E così al compimento della storia della salvezza, iniziata con Abramo e Sara,
abbiamo un’altra famiglia in cui Dio stesso viene ad abitare. Questo atto di “inculturazione” è
eloquente: la famiglia – che non è ovviamente un’invenzione né giudaica né cristiana – fa parte di
come Dio ha concepito la vita per l’uomo sulla terra. E se c’era bisogno di una conferma, Dio stesso
ne è entrato a far parte. Volendo diventare uomo, il Figlio di Dio non poteva non diventare anche
“figlio dell’uomo”, in quanto tutti gli esseri umani sono figli. Entrare a far parte di una famiglia significa
accettare tutto il rischio che tale atto comporta. Il rischio di essere impotente come un neonato,
di essere esposto alla malattia e alle cattiverie altrui, di essere condizionato nelle proprie scelte
dai legami affettivi. Anche il rischio di essere considerato fuori di testa dai propri familiari per seguire
la volontà di Dio (Mc 3,21). Ma se il Figlio di Dio ha fatto questo significa che non si può bypassare
la famiglia. Bypassare la famiglia, per qualsiasi fine, non è consentito, diciamo così, nemmeno
a quell’autorità suprema che si chiama Dio. Possiamo dire che la famiglia è il canale attraverso
il quale la salvezza è entrata nel mondo. E quando Gesù lascerà la sua famiglia lo farà soltanto
per dar vita ad una sua “famiglia” che risponderà al nome di Chiesa. Nella Chiesa tutti partecipiamo
dell’onore di essere collaboratori di Dio nel portare Cristo, e quindi la salvezza, agli uomini.
- Le letture odierne sottolineano la centralità della fede nella vita della famiglia. Nella famiglia esiste
una presenza particolare di Dio, in quanto la Sua immagine si esprime in modo particolare
nell’unione fra uomo e donna (Gen 1,26-27). Certo, non tutti sono disposti a riconoscere questa presenza.
Per molti Dio è una presenza scomoda. Si vuole un’autonomia, una indipendenza, per gestire
la realtà familiare secondo i propri progetti e i propri capricci. Si vuole gestire la famiglia – che ha
sempre un carattere inevitabilmente sociale – come fosse invece un puro fatto privato. Per questo
spesso il risultato è una esperienza di “sterilità” come quella di Abramo e Sara, di incapacità di dare
pienezza al proprio matrimonio e di portare qualcosa di utile alla società. Chi è disposto ad accogliere
la presenza di Dio e a dargli fiducia sperimenterà che i Suoi progetti sono quelli che veramente
realizzano le nostre attese più profonde di felicità e che salvano gli uomini.
2. Il Vangelo.
- Il compimento della legge. Per cinque volte nel brano di Vangelo odierno si nomina la “legge”,
che è allo stesso tempo quella di Mosè (v. 22) e del Signore (v. 23). Tutto ciò che fanno Giuseppe e
Maria è per adempiere la legge. È chiaro che il figlio di Dio viene educato fin dalla nascita
all’obbedienza alla volontà di Dio, che per l’evangelista si manifesta nei comandamenti. All’interno
della Santa famiglia si avverte una costante presenza di Dio, data sì dal piccolo Gesù, ma anche da
un orientamento profondo di obbedienza alla volontà del Signore. La “direzione” della famiglia non
è stabilita dalla volontà di lui o di lei, da questo o quel progetto, ma dal desiderio sincero di compie-
re la legge del Signore. L’humus, l’ambiente, il clima in cui si sviluppa la vita della famiglia di Nazareth
è quello nella totale relazione con il padre celeste.
- Primogenito maschio. Gesù viene portato al tempio e “riscattato” in quanto primogenito maschio
(v. 23). Il principio che sta dietro a questa norma è che tutto ci viene da Dio e tutto appartiene a lui
(Gen 4,1: «Ho acquisito un uomo per mezzo di Jahvè»). Il primogenito è colui che certifica la possibilità
di generare. E questa possibilità viene da Dio. Nel primogenito si visibilizza il dono che Dio
mi fa di produrre la vita. L’offerta del primogenito al Signore è dunque un riconoscimento di questo
principio fondamentale. Anche Israele è il primogenito di Dio (Es 4,22) e Dio lo ha tratto
dall’Egitto perché Gli offra un culto (Es 4,23); per questo tutto Israele è chiamato da Dio a diventare
santo, ad essere separato dagli altri popoli per essere sua proprietà peculiare. Il senso dell’offerta
dei primogeniti sta in questa chiamata a servire Dio, ad essere un popolo sacerdotale. Essa richiama
ad Israele la sua missione di “consacrato” di Dio per il mondo. È Dio stesso che offre al mondo,
all’umanità, il suo primogenito Israele perché lo faccia conoscere agli uomini. Il nuovo Israele è la
“Chiesa dei primogeniti” (Eb 12,23) che offre a Dio un culto in Spirito e verità. Ed è Dio stesso che
offre al mondo il suo primogenito Gesù. Nella presentazione al tempio di Gesù, anche se pare che
siano Giuseppe e Maria a presentare il loro primogenito per «essere santo per il Signore» (v. 23), in
realtà è Dio stesso che offre colui che dal racconto dell’annunciazione sappiamo essere suo Figlio e
che è già nato santo (Lc 1,35). Dio offre il suo primogenito al mondo perché diventi primogenito di
molti fratelli (Rm 8,29), costituendo il nuovo Israele, un popolo di sacerdoti santi che appartengono
al Signore e che lo facciano conoscere agli uomini.
- L’attesa è finita. Simeone e Anna rappresentano (anche con la loro tarda età) l’attesa del Messia da
parte di Israele. Si tratta di due figure profetiche, che simboleggiano la lunga attesa, e allo stesso
tempo l’ormai giunto compimento, delle antiche promesse messianiche. Il primo aspettava la consolazione
d’Israele (v. 25), cioè il compimento delle promesse salvifiche di Dio per il suo popolo. Anna,
al profetessa (v. 36), si mette a parlare del bambino a quanti aspettavano la redenzione (v. 38). Il
significato è chiaro: dopo tanto tempo, dopo che le promesse di Dio sembravano anche di difficile
realizzazione, l’attesa è finita. Chi non ha dubitato della fedeltà di Dio e ha atteso con fiducia, ora
ha la gioia di contemplare il compimento delle promesse. E ciò significa che ormai non c’è
nient’altro da attendere. La salvezza si è fatta presente in Gesù. Lui è il compimento pieno e definitivo
di ogni desiderio di salvezza. Ogni altra speranza è vana. Chi si attende ancora una salvezza diversa
da quella che ormai è giunta rimarrà inevitabilmente deluso. Cristo è colui che soltanto può
saziare ogni aspettativa presente nel cuore umano. Simeone può andare in pace perché ha visto lo
shalom promesso dai profeti, la salvezza, presente in questo bambino.
- Il bambino cresceva (v. 40). La famiglia ha il compito di far crescere le nuove generazioni in sapienza.
Non basta crescere fisiologicamente. Occorre apprendere la sapienza che è innanzitutto e
fondamentalmente la Sapienza divina. Occorre imparare l’arte del vivere, rivolti al Padre. La famiglia
perciò ha il compito di trasmettere la fede. Anche Gesù si sottomette a questo apprendistato. A
dodici anni, quando diventerà “maggiorenne” nella fede, mostrerà di avere imparato la fede, cioè ad
occuparsi delle cose del Padre (Lc 2,49).
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it
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