FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio III Domenica di Avvento - Gaudete

III Domenica di Avvento - Gaudete
Anno B 
Antifona d'ingresso

Rallegratevi sempre nel Signore:

ve lo ripeto, rallegratevi,
il Signore è vicino. (Fil 4,4.5)

Non si dice il Gloria.

Colletta
Guarda, o Padre, il tuo popolo,
che attende con fede il Natale del Signore,
e fa’ che giunga a celebrare con rinnovata esultanza
il grande mistero della salvezza.

Oppure:
O Dio, Padre degli umili e dei poveri,
che chiami tutti gli uomini
a condividere la pace e la gioia del tuo regno,
mostraci la tua benevolenza
e donaci un cuore puro e generoso,
per preparare la via al Salvatore che viene.

PRIMA LETTURA (Is 61,1-2.10-11)
Gioisco pienamente nel Signore.
Dal libro del profeta Isaìa

Lo spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di grazia del Signore.
Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza,
mi ha avvolto con il mantello della giustizia,
come uno sposo si mette il diadema
e come una sposa si adorna di gioielli.
Poiché, come la terra produce i suoi germogli
e come un giardino fa germogliare i suoi semi,
così il Signore Dio farà germogliare la giustizia
e la lode davanti a tutte le genti.

SALMO RESPONSORIALE (Lc 1)
Rit: La mia anima esulta nel mio Dio.
L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Rit:

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono. Rit:

Ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia. Rit:

SECONDA LETTURA (1Ts 5,16-24)
Spirito, anima e corpo si conservino irreprensibili per la venuta del Signore.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.
Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.
Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!

Canto al Vangelo (Is 61,1)
Alleluia, alleluia.
Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio.
Alleluia.

VANGELO (Gv 1,6-8.19-28)
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Preghiera sulle offerte
Sempre si rinnovi, Signore,
l’offerta di questo sacrificio,
che attua il santo mistero da te istituito,
e con la sua divina potenza
renda efficace in noi l’opera della salvezza.

PREFAZIO DELL’AVVENTO II
L’attesa gioiosa del Cristo

È veramente cosa buona e giusta renderti grazie
e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode,
Dio onnipotente ed eterno,
per Cristo nostro Signore.
Egli fu annunziato da tutti i profeti,
la Vergine Madre l’attese e lo portò in grembo
con ineffabile amore,
Giovanni proclamò la sua venuta
e lo indicò presente nel mondo.
Lo stesso Signore,
che ci invita a preparare il suo Natale
ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode.
Per questo dono della tua benevolenza,
uniti agli angeli e ai santi,
con voce unanime
cantiamo l’inno della tua gloria: Santo...

Oppure:

PREFAZIO DELL’AVVENTO II/A
Maria nuova Eva

È veramente giusto rendere grazie a te,
Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo,
per il mistero della Vergine Madre.
Dall’antico avversario venne la rovina,
dal grembo verginale della figlia di Sion
è germinato colui che ci nutre con il pane degli angeli
ed è scaturita per tutto il genere umano
la salvezza e la pace.
La grazia che Eva ci tolse ci è ridonata in Maria.
In lei, madre di tutti gli uomini,
la maternità, redenta dal peccato e dalla morte,
si apre al dono della vita nuova.
Dove abbondò la colpa, sovrabbonda la tua misericordia
in Cristo nostro salvatore.
E noi, nell’attesa della sua venuta,
uniti agli angeli e ai santi,
cantiamo l’inno della tua lode: Santo...

Antifona di comunione
Dite agli sfiduciati: “Coraggio,
non abbiate timore:
ecco, il nostro Dio viene a salvarci”. (Is 35,4)

Oppure:
“In mezzo a voi sta uno che non conoscete,
al quale io non sono degno
di sciogliere i calzari”. (cf. Gv 1,26-27)

Preghiera dopo la comunione
O Dio, nostro Padre,
la forza di questo sacramento
ci liberi dal peccato
e ci prepari alle feste ormai vicine.

Lectio
Ambientazione della pericope evangelica
Il Vangelo propriamente detto comincia con la testimonianza di Giovanni il Battista resa in tre giorni (1,29.35), giorni che hanno un significato simbolico più che strettamente cronologico. Il primo giorno, la testimonianza di Giovanni il Battista sul proprio ruolo è in larga parte negativa; il secondo, Giovanni testimonia positivamente su ciò che Gesù è; il terzo, Giovanni manda i suoi discepoli a seguire Gesù. Questa triplice progressione non fa altro che esplicitare lo schema fissato in precedenza in 1,6-8: primo Giovanni il Battista non era la luce; secondo, egli doveva rendere testimonianza alla luce; terzo per mezzo di lui tutti gli uomini avrebbero potuto credere.
Nei sinottici abbiamo un solo grande processo di Gesù dinnanzi al sinedrio, la notte precedente la sua morte. Una delle tecniche del quarto vangelo è di mostrare che certi temi ricorrenti in una parte dei sinottici avevano una realtà attraverso tutto il ministero di Gesù, e ciò vale in particolare per il tema del processo di Gesù. Ormai la Parola di Dio è stata rivelata agli uomini, e lungo tutto il ministero di Gesù gli uomini cercheranno di mettere alla prova la verità di questa Parola cercandone delle testimonianze. Ancora prima che Gesù compaia, il quarto vangelo si apre con un processo e con Giovanni il Battista sotto interrogatorio.
Come sappiamo dai sinottici, Giovanni il Battista era disceso dal deserto della Giudea, quelle aride colline a occidente del Mar Morto, e con zelo apocalittico proclamava il giorno del giudizio. Egli amministrava un battesimo a coloro che accettavano il suo messaggio e riconoscevano i propri peccati. Ben poco di tutto ciò appare in Giovanni, perché l’evangelista non si interessa al Battista come battezzatore o come profeta, ma solo come araldo di Gesù e primo testimone nel grande processo alla Parola. Gv 1,26 semplicemente presuppone che il lettore sappi che Giovanni il Battista era un battezzatore.

Spiegazione della pericope evangelica
Il primo giorno ci sono due interrogazioni: vv. 19-23 e 24-27. In risposta alla prima, Giovanni il Battista rifiuta per sé ogni ruolo escatologico tradizionale con negazioni progressivamente più brusche. Egli rivendica per sé solo un ruolo di araldo, accentrando così tutta l’attenzione su colui che deve venire. In risposta alla seconda, egli giustifica anche il suo battesimo in termini di preparazione per colui che doveva venire.
v.19 E. Questa parte comincia con kai. Prima che fosse premesso il prologo, può darsi che questo versetto aprisse il vangelo, sebbene sia più probabile che i vv. 6-8 precedessero il v. 19 e costituissero l’inizio originale.
Questa è la testimonianza. Nei vv. 6-7 abbiamo sentito che Giovanni fu inviato a rendere testimonianza alla luce, ed ecco qui ora la sua testimonianza. Ci aspetteremmo una testimonianza su Gesù, ma quella viene solo nei vv. 29-34.
La persona di Giovanni si dà per conosciuta. È stato presentato nel prologo come “un uomo” (1,6) di quelli per i quali la vita è la luce (1,4) e si sono addotte le sue credenziali (inviato da Dio) e l’obiettivo della sua missione (1,6-8). La pericope presente si ricollega a quel passo del prologo con la congiunzione “e” esplicativa, e con il termine “testimonianza” (1,7: venne per rendere testimonianza).
Inizia il confronto drammatico e giuridico fra colui che vuol portare alla fede in Gesù e i giudei, tipici nemici di Gesù. I mandanti dell’ambasciata sono “i giudei” che, qui vanno identificati con le autorità religiose ostili a Gesù. A interrogare Giovani intorno al suo battesimo viene inviata una delegazione di specialisti in purificazione, composta di sacerdoti e leviti.

vv.20-21 Abbiamo tre risposte negative, sempre più secche.
Egli confessò e non negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”: ripetizione che sottolinea la solenne proclamazione ufficiale del Battista.
Io non sono il Cristo: Giovanni conosce la loro intenzione e risponde con un diniego sorprendentemente concreto. Si chiarisce il motivo della missione: la possibile pretesa messianica di Giovanni preoccupava le autorità, che però non osavano formulare apertamente la domanda. Giovanni risponde al sospetto che indovina in loro. La frase ridondante con cui l’autore introduce la dichiarazione di Giovanni indica che vi era chi lo considerava Messia e che l’evangelista ha particolare interesse a smentire tale credenza per bocca dello stesso Battista. La negazione di Giovanni: io non sono il Messia, è la concretizzazione storica dell’affermazione in 1,8: non era la luce. È questo che Giovanni riconosce. Egli non è la luce, né, pertanto la vita. Egli non può offrire l’alternativa di vita a coloro che soffrono sotto il giogo delle tenebre; può solo destare la loro nostalgia e ravvivare l’aspettativa. Riconosce di non essere il salvatore del popolo, né pretenderà di esserlo. La frase di Giovanni: io non sono il Messia, prepara quella di Gesù: Io sono. Di fatto, Giovanni non pronuncerà mai una frase affermativa che contenga “io sono”, neppure in 1,23: io, voce. L’interesse dell’evangelista nel sottolineare tale frase negativa io non sono e nell’evitare sulla bocca di Giovanni ogni altra espressione con il verbo “essere” mostra che a quella frase negativa sta per essere contrapposto l’“Io sono” di Gesù, già determinato per il suo riferimento a “Messia” la prima volta che compare (4,26)
Allora gli chiesero: “Che cosa dunque? Sei Elia? Rispose: “non lo sono”: la prima dichiarazione del Battista ha risolto la questione principale, ma in forma puramente negativa, lasciando aperte altre possibilità; per questo l’interrogatorio continua. La commissione, ormai tranquillizzata riguardo al primo sospetto, può specificare maggiormente: sei Elia? Il dialogo si accelera, le risposte sono ogni volta più brevi fino a concludersi con un brusco e secco “no”, che blocca l’interrogatorio e lascia sconcertati gli inquisitori. Secondo una tradizione popolare (2 Re 2,11), Elia era stato portato in cielo su un carro; e l’idea che egli fosse ancora vivo e attivo era stata ravvivata dalla strana apparizione di una sua lettera qualche tempo dopo che egli era stato portato via (2 Cron 21,12). Nelle attese post-esiliche, Elia doveva ritornare prima del giorno del Signore (non necessariamente prima del Messia). In Mal 3,1 c’è un accenno all’angelo che doveva preparare la via del Signore, e un’aggiunta al libro (2,23) identifica questo messaggero come Elia. Ancora un altro accenno del II sec. a. C. si trova in Sir 48,10. L’attesa di Elia era molto diffusa in Palestina al tempo di Gesù (Mc 8,28; 9,11) e continuò nel giudaismo dell’epoca post-cristiana. Gli interroganti avrebbero avuto buone ragioni per domandare a Giovanni il Battista se pretendesse di essere Elia. Egli portava abiti come quelli di Elia.
“Sei tu il profeta?” Rispose: “No”: La risposta è ancora più secca. Il titolo “il profeta” allude a Dt 18,15-18: “il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto”. Sebbene la promesse si riferisse alla successione di profeti dopo Mosè, si giunse a interpretarla come relativa alla figura di un secondo Mosè, che sarebbe apparso negli ultimi tempi. È interessante che nelle loro domande i sacerdoti pongano Elia e il Profeta-simile-a Mosè. Queste due figure appaiono insieme nella scena sinottica della trasfigurazione. Il fatto che Elia, come Mosè, fosse associato al Monte Sinai o Oreb (1 Re 19,8) probabilmente li univa nel pensiero popolare, e questo sfondo desertico può aver fatto pensare che essi avessero qualcosa in comune con il Battista. A queste tre domande, Giovanni il Battista risponde con tre negazioni, negando così di essere il salvatore escatologico aspettato.

v.22-23 Terminato l’interrogatorio, gli inviati non hanno fatto luce su nulla e chiedono a Giovanni di definirsi egli stesso. Dopo aver rifiutato i ruoli escatologici tradizionali, Giovanni pronuncia la sua dichiarazione positiva e definisce se stesso con un testo del Deuteroisaia (Is 40,3) con il quale lo identificano i sinottici. Le autorità gli hanno chiesto di parlare di se stesso, ma egli si definisce come una mera voce, annunciata fin dall’antichità. “Voce” è termine relazionale che suppone uditori. Il passo di Isaia originariamente si riferiva al ruolo degli angeli nel preparare una via attraverso il deserto attraverso la quale Israele potesse ritornare dalla cattività babilonese alla terra di Palestina. Gli angeli dovevano abbassare le colline, colmare le valli e preparare così una superstrada. Ma Giovanni il Battista deve preparare una strada non perché il popolo di Dio ritorni alla terra promessa, ma perché Dio venga al suo popolo. Il suo battesimo e la sua predicazione nel deserto apriva i cuori degli uomini, abbassava il loro orgoglio, colmava il loro vuoto, e così li preparava all’intervento di Dio. Nei sinottici, sono gli evangelisti ad applicare al Battista il testo di Isaia; nel quarto vangelo, invece, è lo stesso Battista ad applicare a sé il testo. Ciò sottolinea il metodo del quarto evangelista per far testimoniare Giovanni il Battista.

vv.24-25 Appaiono per la prima volta i farisei, che saranno gli acerrimi avversari di Gesù nel corso del vangelo. È il gruppo degli osservanti e custodi della Legge. Hanno assolutizzato Mosè (9,28), il mediatore della Legge (1,17), e si opporranno all’amore che sta per manifestarsi in Gesù Messia. La menzione dei farisei in questo luogo, oltre ad indicare quali siano i principali nemici dell’attività di Giovanni (4,1-3), mostra a chi si rivolga in particolare l’annuncio del Messia. I farisei non si contentano della spiegazione negativa, né prestano ascolto alla denuncia fatta da Giovanni. L’obiezione posta dai farisei ha una sua logica: se Giovanni non rivendica alcun ruolo escatologico riconoscibile, perché compie un’azione escatologica come il battezzare? La domanda che gli rivolgono è quasi un’accusa: lo trattano da usurpatore.

vv.26-27 Nella risposta, il Battista declassa il suo battesimo ad un rito di purificazione. Sin dall’inizio della sua missione, Giovanni sapeva che il suo battesimo sarebbe stato seguito da un altro superiore ad esso, con lo Spirito Santo (1,33). L’acqua appartiene al mondo fisico e può avere contatto unicamente con quanto è fisico; lo Spirito penetra nell’interno dell’uomo. L’acqua può simboleggiare una trasformazione; lo Spirito, che è forza divina, è l’unico che può realizzarla.
Il battesimo di Giovanni, pertanto, non è definitivo, ma soltanto preparazione per ricevere un personaggio che sta per giungere; soltanto lui darà il battesimo definitivo. Questo personaggio cui il battesimo di Giovanni prepara è già presente, ma essi non si sono ancora resi conto della sua presenza. In caso contrario, l’interrogatorio di Giovanni sarebbe stato superfluo. Non lo conoscono adesso, prima della sua manifestazione, né mai lo conosceranno (8,19). Giovanni, pur non essendosi identificato con Elia, si proclama precursore del Messia che viene ed afferma la propria inferiorità nei suoi confronti. Il testo fa una chiara allusione alla legge giudaica del levirato, secondo la quale, quando uno moriva senza figli, un parente doveva sposare la vedova per dare figli al defunto. Se colui che aveva il diritto e l’obbligo di farlo non soddisfaceva a esso, un altro poteva occupare il suo posto. La cerimonia per dichiarare la perdita del diritto consisteva nello slacciare il sandalo (cfr Dt 25,5-10; Rt 4,6-7). Affermando di non poter prendere il posto di colui che viene (cfr 1,15), Giovanni lo annuncia come Sposo. Nei termini simbolici dei profeti, che spesso presentavano l’alleanza come unione coniugale fra Dio e il popolo, lo Sposo che giunge annuncia l’inaugurazione di un’alleanza nuova.

v.28 Questo primo giorno si chiude con un accenno al luogo dove il Battista rese testimonianza. Chiudere una parte con un riferimento geografico è cosa comune in Giovanni. Betània non è la città presso Gerusalemme (11,18), ma una località nella Transgiordania della quale non rimane traccia. Il suo nome però si presta alla interpretazione simbolica: bet-aniyyah, “casa della risposta/testimonianza”, una derivazione che renderebbe il nome quanto mai adatto al luogo in cui Giovanni il Battista rese testimonianza a Gesù.

L’invito a gioire proclamato dall’antifona d’ingresso attraversa tutta la liturgia odierna. Nella prima lettura, Isaia afferma di aver ricevuto una consacrazione che l’ha costituito profeta, testimone dell’alleanza tra Dio e gli uomini. Per questo può inneggiare: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli”. Quella di Isaia è immagine della consacrazione di tutti i cristiani che li costituisce profeti e testimoni dell’evangelo. Paolo, scrivendo ai tessalonicesi, li esorta a stare sempre lieti, a pregare incessantemente e a non disprezzare il dono della profezia che, essendo la presenza, nell’uomo, dello Spirito sempre nuovo, rende attuale il Vangelo. Il dono della profezia e la testimonianza vengono personificate in Giovanni il Battista. Ai teologi di Gerusalemme, che si chiedevano chi fosse quest’uomo che faceva accorrere le folle e faceva risuonare forte la voce di profeti che taceva ormai da tre secoli, Giovanni dà una risposta sorprendentemente umile. Egli non è il messia, non è Elia redivivo, non è il grande profeta atteso. È semplicemente il testimone, totalmente subordinato allo sconosciuto che annuncia; è voce che libera la Parola. Una dichiarazione di identità attraverso una serie di negazioni. Alla scuola del Battista impariamo che nostro compito è portare Cristo, che siamo chiamati a essere, attraverso la nostra testimonianza di vita, trasparenza di Gesù presente e nascosto in mezzo agli uomini. Dobbiamo imparare a cantare con la nostra vita a tutti gli uomini: “Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino”

Appendice
Dal momento che Giovanni venne per una testimonianza, e che fu un uomo mandato da Dio per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui, occorre pensare che Giovanni era una voce che sola poteva contenere degnamente la Parola annunziata. Una sua precisa ragione ha anche il fatto che egli sia la voce non già di chi “dice” nel deserto, bensì di uno che “grida” nel deserto. Egli grida e proclama ad alta voce perché le odano anche quelli che sono lontani da chi parla, e i duri d’orecchio si rendano conto della grandezza di ciò che si dice dalla grandezza del tono di voce con cui è annunziato; e grida anche per portare aiuto a quelli che si sono allontanati da Dio e a quelli che hanno perduto la finezza dell’udito. C’era bisogno della voce di colui che grida nel deserto, perché l’anima priva di Dio e deserta della verità (e quale deserto più aspro di un’anima deserta di Dio e di ogni virtù?) possa essere incitata a raddrizzare le vie del Signore (Origene, Commento al Vangelo di Giovanni).

Giovanni ha reso testimonianza alla venuta di Cristo
«Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore!» Fratelli, occorre riflettere sulla grazia della solitudine, sulla beatitudine del deserto, il quale fin dall’inizio dell’era della salvezza ha meritato di essere consacrato al riposo dei santi. Certo, il deserto è stato santificato per noi dalla voce del profeta, dalla voce di colui che gridava nel deserto, predicandovi e donandovi il battesimo di conversione. Prima di lui, già, i più grandi profeti hanno sempre considerato la solitudine un’amica, in quanto collaboratrice dello Spirito. Tuttavia, una grazia di santificazione incomparabilmente più eccellente è stata legata a questo luogo quando Gesù successe a Giovanni (Mt 4, 1).
A sua volta, prima di predicare ai penitenti, Gesù ha ritenuto di dover preparare un luogo dove riceverli. È andato nel deserto per consacrare una vita nuova in questo luogo rinnovato… e ciò, non tanto per lui ma per coloro che dopo di lui avrebbero abitato nel deserto. Se dunque ti sei stabilito nel deserto, rimanici, aspetta lì colui che ti salverà dalla pusillanimità di spirito e dalla tempesta… Il Signore ti sazierà, tu che l’hai seguito, più meravigliosamente della moltitudine che l’aveva seguito in quel luogo (Mc 6, 34 s).
Proprio nel momento in cui penserai che lui, da molto tempo ti ha abbandonato, verrà a consolarti, poiché non ha dimenticato la sua bontà, e dirà: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto» (Ger 2, 2). Il Signore farà un paradiso di delizie dal tuo deserto; e tu proclamerai, come il profeta, che a lui è stata data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Sàron (Is 35, 2) Allora, dalla tua anima saziata, zampillerà l’inno della tua lode: «Sia glorificato il Signore per la sua misericordia, per i suoi prodigi a favore degli uomini; poiché saziò il desiderio dell’assetato, e l’affamato ricolmò di beni» (Sal 107, 8-9). [...]
Questa lampada [Giovanni] destinata a rischiarare il mondo mi colma di una gioia nuova, perché grazie ad essa ho riconosciuto la vera luce che splende nelle tenebre, ma non è stata accolta dalle tenebre (Gv 1,5). Noi possiamo ammirarti, Giovanni, il più grande fra tutti i santi; ma imitare la tua santità, per noi è impossibile. Poiché ti affretti a preparare un popolo perfetto per il Signore con dei pubblicani e dei peccatori, è urgente che, con parole che siano più alla loro portata della tua stessa vita, parli loro. Proponi dunque loro un modello di perfezione, non secondo il tuo modo di vivere, ma che sia adatto alla debolezza delle forze umane.
«Fate dunque, disse, frutti degni di conversione» (Mt 3,8). Noi, fratelli, ci gloriamo di parlare meglio di quanto viviamo. Giovanni invece, la cui vita è più sublime di quanto gli uomini possano capire, mette le sue parole alla portata della loro intelligenza. «Fate, disse, frutti degni di conversione». «Vi parlo in una maniera tutta umana, a causa della debolezza della vostra carne. Se non potete ancora fare il bene pienamente, almeno nasca in voi un vero pentimento rispetto a ciò che è male. Se non potete ancora fare i frutti di una vera giustizia, per ora la vostra perfezione consista nel fare frutti degni di conversione». (Dai sermoni del Beato Guerrico d’Igny (XII secolo))

Il Battista si proclama “amico dello sposo”. Nel mondo ebraico l’amico dello sposo aveva due compiti ben precisi: prima di tutto doveva far sì che i due sposi si conoscessero; in secondo luogo, nel giorno del matrimonio, era incaricato di condurre la sposa dallo sposo. Giovanni Battista svolge esattamente questo duplice compito prima delle nozze di Cana, in quei quattro giorni che precedono il terzo giorno in cui sono avvenute le nozze di Cana. Prima delle nozze di Cana l’attività del Battista è scandita in quattro giorni. Questi quattro giorni a loro volta sono suddivisi nei primi due e nei secondi due: nei primi due giorni il Battista svolge il primo compito: fa conoscere alla Sposa lo Sposo, fa conoscere alla comunità chi è lo Sposo; nei secondi due conduce la Sposa verso lo Sposo. (L. Zani, Lo Spirito e la Sposa dicono: vieni, 52-53).

Anche noi siamo chiamati a rendere testimonianza a Cristo, siamo cristiani e portiamo il nome di Cristo, e questo c’impegna a rendergli testimonianza anzitutto con la nostra vita ispirata alla sua dottrina, alle esigenze e alle istanze dell’Evangelo; una vita non dominata da ambizioni, da sete di poter, da amore di denaro, da corruzione e servitù della carne, ma una vita ispirata alla dottrina di Cristo, aperta al senso vivido della giustizia e al senso caldo della carità fraterna. Una vita che sente la lotta quotidiana contro i sensi e contro l’orgoglio, ma umilmente la combatte con la grazia di Dio: testimonianza a Cristo resa nella vita del cristiano. È testimonianza resa con la parola nei limiti che ci consentono le nostre possibilità, parola sincera, professione di fede non ostentata, ma all’occorrenza sempre sincera e onesta, che illumina coloro che sono nelle tenebre e li porta a sentire l’invito al regno di Dio; e con la vita, soprattutto quando questa porta con sé il frutto della integrità, dell’apertura e della giustizia, porta con sé un senso di letizia, quello appunto cui ci invita la terza domenica di avvento. (G. Lercaro, Omelie domestiche, 93-94).

Persino superfluo sottolineare quanto la scarcerazione dei prigionieri ci metta in agitazione con timore e speranza. Ci accontenteremmo, comunque, che qualcuno fosse in grado di fasciare i nostri cuori spezzati; è davvero un annuncio di gioia che la disillusione ci rende difficile abbracciare con fiducia. “State sempre lieti”: sembra tanto invitante quanto distante. Dire “gioisco pienamente” è di più che un “chi si contenta gode” o il “trovare il positivo in ogni cosa”, ma per noi è stato l’applauso di 4 minuti al termine dello spettacolo che noi picchiatelli abbiamo rappresentato in un cinema-teatro della città, è stata la tensione prima di andare in scena, che vale più della rappresentazione. Effettivamente ci vengono in mente le vicende e le emozioni più intense, che sono state e sono eventi momentanei e sfuggevoli: gioie piene e durature è difficile ricordarne. Forse per qualcuno è uscire dalla freddezza o dal cinismo, forse per altri leggere la ricchezza dell’ordinario, del semplice. C’è una specie di “mistero della gioia”, davvero oscuro in certi momenti per chi, come molti di noi, non si aspetta proprio niente dalla vita: duro da vedere, credere o anche solo immaginare. Nel Vangelo, poi, la domanda “Cosa dici di te stesso?” è quasi peggio di “Voi chi dite che io sia?”: viene voglia di scappare per evitare di rispondere. Anche perché è la domanda sottesa ed inespressa della maggior parte dei colloqui con psicologi e psichiatri che ci toccano. Ma lì attiene al giudizio sulla salute mentale, qui alla consapevolezza della vocazione. Ancor più stupefacente, però, è vedere come Giovanni ha chiaro chi egli è: per sé e per gli altri e per Dio. E parla allontanando le ambizioni di stupire, dicendo di non essere quella persona grande che tutti aspettano, ma annuncia con umiltà il proprio servizio alla preparazione del Messia. (Gruppo OPG).


Fonte:http://figliedellachiesa.org

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