FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio"Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce "(Lc 1,26-38)

IV Domenica di Avvento
Anno B

Antifona d'ingresso
Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada

e dalle nubi scenda a noi il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore.

Non si dice il Gloria.

Colletta
Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre,
tu, che nell’annunzio dell’angelo
ci hai rivelato l’incarnazione del tuo Figlio,
per la sua passione e la sua croce
guidaci alla gloria della risurrezione.

Oppure:
Dio grande e misericordioso,
che tra gli umili scegli i tuoi servi
per portare a compimento il disegno di salvezza,
concedi alla tua Chiesa la fecondità dello Spirito,
perché sull’esempio di Maria accolga il Verbo della vita
e si rallegri come madre
di una stirpe santa e incorruttibile.

PRIMA LETTURA (2Sam 7,1-5.8-12.14.16)
Il regno di Davide sarà saldo per sempre davanti al Signore.
Dal secondo libro di Samuèle

Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te».
Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa.
Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio.
La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».

SALMO RESPONSORIALE (Sal 88)
Rit: Canterò per sempre l’amore del Signore.
Canterò in eterno l’amore del Signore,
di generazione in generazione
farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,
perché ho detto: «È un amore edificato per sempre;
nel cielo rendi stabile la tua fedeltà». Rit:

«Ho stretto un’alleanza con il mio eletto,
ho giurato a Davide, mio servo.
Stabilirò per sempre la tua discendenza,
di generazione in generazione edificherò il tuo trono». Rit:

«Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre,
mio Dio e roccia della mia salvezza”.
Gli conserverò sempre il mio amore,
la mia alleanza gli sarà fedele». Rit:

SECONDA LETTURA (Rm 16,25-27)
Il mistero avvolto nel silenzio per secoli, ora è manifestato.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli,
a colui che ha il potere di confermarvi
nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo,
secondo la rivelazione del mistero,
avvolto nel silenzio per secoli eterni,
ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti,
per ordine dell’eterno Dio,
annunciato a tutte le genti
perché giungano all’obbedienza della fede,
a Dio, che solo è sapiente,
per mezzo di Gesù Cristo,
la gloria nei secoli. Amen.

Canto al Vangelo (Lc 1,38)
Alleluia, alleluia.
Ecco la serva del Signore:
avvenga per me secondo la tua parola.
Alleluia.

VANGELO (Lc 1,26-38)
Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Preghiera sulle offerte
Accogli, o Dio, i doni che presentiamo all’altare,
e consacrali con la potenza del tuo Spirito,
che santificò il grembo della Vergine Maria.

PREFAZIO DELL’AVVENTO II
L’attesa gioiosa del Cristo

È veramente cosa buona e giusta renderti grazie
e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode,
Dio onnipotente ed eterno,
per Cristo nostro Signore.
Egli fu annunziato da tutti i profeti,
la Vergine Madre l’attese e lo portò in grembo
con ineffabile amore,
Giovanni proclamò la sua venuta
e lo indicò presente nel mondo.
Lo stesso Signore,
che ci invita a preparare il suo Natale
ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode.
Per questo dono della tua benevolenza,
uniti agli angeli e ai santi,
con voce unanime
cantiamo l’inno della tua gloria: Santo...

Oppure:

PREFAZIO DELL’AVVENTO II/A
Maria nuova Eva

È veramente giusto rendere grazie a te,
Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo,
per il mistero della Vergine Madre.
Dall’antico avversario venne la rovina,
dal grembo verginale della figlia di Sion
è germinato colui che ci nutre con il pane degli angeli
ed è scaturita per tutto il genere umano
la salvezza e la pace.
La grazia che Eva ci tolse ci è ridonata in Maria.
In lei, madre di tutti gli uomini,
la maternità, redenta dal peccato e dalla morte,
si apre al dono della vita nuova.
Dove abbondò la colpa, sovrabbonda la tua misericordia
in Cristo nostro salvatore.
E noi, nell’attesa della sua venuta,
uniti agli angeli e ai santi,
cantiamo l’inno della tua lode: Santo...

Antifona di comunione
Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un Figlio:
sarà chiamato Emmanuele, Dio con noi. (Is 7,14)

Oppure:
“Eccomi, sono la serva del Signore,
avvenga di me secondo la tua parola”. (cf. Lc 1,38)

Preghiera dopo la comunione
O Dio, che ci hai dato il pegno della vita eterna,
ascolta la nostra preghiera:
quanto più si avvicina
il gran giorno della nostra salvezza,
tanto più cresca il nostro fervore,
per celebrare degnamente il Natale del tuo Figlio.

Lectio
Ambientazione della pericope evangelica
Il racconto dell’annuncio della nascita di Gesù si snoda secondo lo stesso modello letterario utilizzato per la precedente annunciazione, ma questa somiglianza manifesta fortemente anche la differenza: non più un uomo, Zaccaria, al centro della scena, e in secondo piano Elisabetta, ma una donna, Maria (che rimarrà ormai al centro dell’azione fino a 2,52), e in secondo piano Giuseppe. Non si tratta più della nascita di un uomo benché grande, ma della promessa di un uomo-Dio, della venuta del Messia-salvatore.

Spiegazione della pericope evangelica
L’Annunciazione a Maria è uno dei cinque passi che compongono la sequenza dell’annuncio della nascita di Gesù:

Introduzione (1,26-27)
L’annunciazione a Maria (1,28-38)
LA VISITAZIONE (1,39-45)
Il cantico di Maria (1,46-55)
Conclusione (1,56)

A sua volta il brano dell’Annunciazione è composto da cinque parti organizzate in modo concentrico:

A) Ingresso e saluto dell’Angelo, seguito dalla reazione di Maria (28-29)
B) Primo annuncio dell’Angelo (30-33)
C) La domanda di Maria (34)
B’) Secondo annuncio dell’Angelo (35-37)
A’) Disponibilità di Maria e partenza dell’Angelo (38)

v.26-27 Sono due versetti introduttivi. Segnalano le circostanze di tempo e di luogo, i protagonisti del dialogo e le loro attribuzioni. La nota cronologica “sesto mese”, collega la presente annunciazione con quella a Zaccaria. L’una avviene “sei mesi” di distanza dall’altra. Gabriele è noto dal racconto precedente; la sua interlocutrice è una giovane di Nazaret. Lo stato di costei è singolare: è vergine (parthenos) e nello stesso tempo sposata (emnêsteumenê). Il suo uomo (anêr) si chiama Giuseppe.
Il significato teologico e la portata salvifica del cristianesimo sono strettamente legati a fatti storici: Luca, non diversamente da Matteo, logicamente vi insiste. A partire dagli stessi fatti storici che Luca e Matteo hanno costruito due interpretazioni teologiche così diverse, ma allo stesso tempo convergenti: 1) la concezione e la nascita di Gesù da Maria, fidanzata a Giuseppe, il quale era della casa di Davide; 2) Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo e non per opera di Giuseppe, tanto è vero che Maria non era ancora stata portata nella casa di Giuseppe; 3) il nome di Gesù è stato suggerito dall’angelo; 4) Gesù è nato a Betlemme, in Giudea, nella città di Davide; 5) Egli è discendente dalla casa di Davide; 6) la sua famiglia infine è tornata a Nazaret. Possiamo affermare che il piano di Dio si realizza secondo i ritmi della storia dell’uomo, assumendo le coordinate spazio-temporali che caratterizzano le vicende umane. È questo lo stile di Dio, il modo secondo il quale egli ama rivelarsi e comunicarsi a noi.
Giuseppe, come Zaccaria, è un uomo di “classe”; anche Elisabetta ha un suo casato (v. 5), solo Maria è un’oscura donna di Nazaret. La sua “verginità” è in parallelismo con la sterilità della parente. Entrambe le qualifiche creano intorno alle rispettive persone un’area di solitudine, di disistima, di sfiducia. Ciò nonostante Maria riceve la visita di un messo celeste, al contrario di Zaccaria che invece è stato convocato da lui nel Santuario. Con questi piccoli accorgimenti, l’evangelista vuol mettere in risalto fin d’ora la dignità della madre di Gesù. Il fatto, tuttavia, inusitato, rivoluzionario nella storia del popolo di Dio, dominato abitualmente da figure maschili, è che il messaggio dell’angelo sia rivolto a una donna chiamata ad accordare la sua diretta partecipazione al piano di Dio.

v.28 Dopo il prologo, ha inizio il dialogo tra Maria e l’Angelo che si svolge in tre riprese segnate da altrettanti interventi angelici e dà risposte o obiezioni di Maria. Si potrebbe dire che progredisce per “cerchi concentrici”. Ogni successivo intervento (vv. 31-33; 35-37) non fa che riprendere, amplificare, esplicitare il tema iniziale (v 28).
Il dialogo inizia con un saluto che non è puramente convenzionale (in un contesto fortemente semitizzante, Luca avrebbe usato “la pace sia con te” corrispondente appunto all’ebraico shalôm), ma per i riferimenti biblici soggiacenti (Sof 3,12-17; Zc 9,9-10; Gl 2,21-27) contiene un invito alla gioia messianica, un appello gioioso che proclama il favore della benevolenza di Dio e lascia intravedere la sua prossima visita, annunciata già dai profeti. “Esulta”, chaire, è l’invito rivolto dai profeti post-esilici alla comunità ideale degli ultimi tempi, la “figlia di Sion”, a tenersi pronta per accogliere il re e salvatore. Rivolgendolo a Maria, l’angelo vuol dire che ella è chiamata a rappresentare, più ancora a sostituire la comunità messianica in vista di future realizzazioni. La gioia alla quale il saluto invita andrebbe anche collocata sullo sfondo della gioia cristiana, di cui Maria è il prototipo e di cui l’evento dell’incarnazione è l’origine.
Il nome nuovo che ella riceve kecharitômenê, “piena di charis”, “di grazia”, fa prevedere che sta per essere investita di una particolare missione nel piano di Dio destinata a modificare la sua stessa vita. Come “salve” non traduce bene “chaire” così “piena di grazia” non traduce esattamente “kecharitômenê”. La “charis” di cui l’angelo sta parlando non è una qualità interiore, né una dote esterna, fisica, ma una particolare incombenza del disegno di Dio, che l’evangelista spiegherà più avanti (v. 30). Il favore che farà distinguere Maria dalle altre donne è la maternità messianica, dono, charis, unico che fa di lei la “prediletta” di Dio per eccellenza, perciò “piena di grazia”. Il participio è al perfetto perché Maria è stata da sempre l’oggetto del favore eccezionale che il carisma della maternità messianica suppone.
Anche l’espressione: “Il Signore è con te” supera il valore di un semplice saluto o semplice augurio. Essa indica il motivo di quella gioia messianica, contiene in sintesi la realtà promessa, cioè la presenza di Dio-salvatore. Dio si è impegnato a “stare con” tutti coloro con i quali ha intrecciato un rapporto di alleanza (cfr Es 3,12; Gs 1,5; Gdc 6,12-17) e con il suo popolo, di cui Mosè, Giosuè e Gedeone sono rappresentanti e guide. Ora Dio vuole stabilire una nuova presenza di sé in mezzo a noi, vuol rifarsi un popolo fedele: per questo fa di Maria un segno della sua presenza salvifica. Iddio è con lei che sarà la madre del Dio-con-noi (Is 7,14).

v.29 Il “turbamento” di cui parla l’evangelista fa parte dello schema dell’annuncio, serve a sottolineare l’origine divina della comunicazione che ella sta per ricevere, è perciò un accorgimento per segnalare una presenza superiore, ma nel caso di Maria, l’autore precisa che il turbamento è provocato dalle parole udite, segno che sono misteriose, incomprensibili. Ella cerca di misurarne il peso e la portata dentro di sé, ma inutilmente; alla fine deve chiedere spiegazione all’angelo.

v.30 Venendo incontro al turbamento di Maria e interpretando la sua tacita domanda, l’Angelo riprende la parola, giusto per ripetere in modo più chiaro il suo lieto messaggio. Il v. 30 infatti corrisponde in pieno al v. 28: al saluto iniziale corrisponde ora il “non temere”; al “kecharitômenê” corrisponde qui “Maria… hai trovato grazia presso Dio”. Infine si spiega in che modo Dio è con Maria di Nazaret: con la nascita di Gesù-Messia, Maria di Nazaret, colei che si è posta in stato di espropriazione, viene visitata da Dio stesso e per mezzo di lei Iddio visita il suo popolo; dando un corpo, un volto, un linguaggio a Gesù, Maria si rende disponibile, per quel tanto che può alla realizzazione di un nuovo incontro sponsale tra Dio e il suo popolo.

vv.31-33 In questi versetti, arriviamo alla sostanza del mistero. È il mistero di Gesù, Messia e Salvatore, vero figlio di Maria e Figlio di Dio, che dapprima viene annunciato con una formula stereotipa, tipicamente biblica (cfr Gn 16,11; 17,19; Gdc 13,5-7 e soprattutto Is 7,14) e poi con una serie di titoli messianici. Il Figlio viene concepito nelle viscere di Maria, nelle viscere della nuova figlia di Sion, come il Signore Iddio sta nelle viscere di Israele.
Il nome del Bambino è predestinato alla pari dei compiti che dovrà svolgere. In realtà si tratta di un comune nome ebraico, ma ne viene attribuita l’assegnazione all’Angelo per sottolineare la provenienza della sua futura missione. Il nome “Gesù” significa “JWHW salva”, ma sono i titoli che gli vengono dalla tradizione profetica che definiscono più chiaramente i suoi compiti (cfr i testi più noti del messianismo davidico: 2Sam 7,13.16; Is 9,6; Sal 2,7; 89,29.38; 132,11). L’appellativo “grande” viene attribuito spesso a Dio; in Lc 1,15 lo stesso titolo viene applicato a Giovanni, ma solo al Figlio di Maria si addice il titolo di “Figlio dell’Altissimo”. Nell’A. T., sono chiamati “figli di Dio” tutti coloro che si trovano in rapporto di speciale intimità con Dio: l’angelo Sal 29,1; il popolo eletto Sap 18,13; Os 11,1 e soprattutto il Messia: 2 Sam 7,14; Sal 2,7; 89,27. Tuttavia qui viene indicata non solo la dignità messianica di Gesù, ma si prepara quel significato teologicamente più pregnante che l’espressione “Figlio di Dio” avrà nel v. 35.
A lui sarà dato “il trono di Davide”: secondo una tradizione largamente testimoniata nell’A. T. ( 2 Sam 7,12; 1 Cr 22,9-10; Sal 89 [88], 36ss; Is 9,6; Mic 4,7; Dn 7,14) il Messia verrà dalla casa di Davide e da Davide erediterà il Regno, non più un regno temporale, ma il regno spirituale sul nuovo Israele. Sono molti i temi che riecheggiano in questi versetti: l’alleanza davidica con le sue promesse, la gloria del grande re, il carattere profetico e messianico di questa regalità, ma quello che più conta è che tutte queste qualità arrivano fino a Gesù non per trasmissione di sangue (è solo per il tramite di Giuseppe che Gesù è figlio di Davide, eppure Giuseppe non è suo padre secondo la carne!) ma per la fedeltà di Dio alle sue promesse, per la realizzazione dalla volontà salvifica di Dio: è solo Dio a dare la successione, la dignità e la missione davidica, regale, profetica e sacerdotale a Gesù.

v.34 La domanda contenuta in questo versetto, come abbiamo visto, sta al centro del passo in essa le due proposizioni si oppongono ciò che è annunciato (“questo”) e la situazione presente di Maria che “non conosce uomo”. L’obiezione di Maria nella logica dell’annuncio serve a far progredire il discorso. Il verbo “conoscere” è un eufemismo biblico per indicare i rapporti matrimoniali. Maria, nonostante sia sposata a un uomo, non ha, non vede almeno possibile, una sua relazione maritale. L’espressione stessa in cui non appare l’articolo sembra portare l’attenzione sull’uomo in genere, più che su uno in particolare. Ella protesta di non conoscere non un uomo, ma nessun uomo. Ella è stata presentata come una “vergine” e sembra voglia rimanere tale. Era stato detto a Maria: “concepirai nel grembo e darai alla luce” (v. 31). Il riferimento andava chiaramente a Is 7,14: è dunque abbastanza ovvio mettere in rapporto le affermazioni dei vv. 34.37 sul fatto che Maria è vergine-parthenos. Questo testo di Isaia è pure citato esplicitamente in Mt 1,23. Luca però interpreta Isaia come un segno. Egli mutua al profeta la sua intenzione escatologica. Il bambino che Maria darà alla luce riprende su di sé la realizzazione della Promessa. Per quanto importante fosse il segno dato ad Achaz, questo bambino lo supera. Figlio della promessa, egli ne è la realizzazione.
Il significato dell’obiezione di Maria va ricercato nel genere letterario dell’annuncio. Invece di rivelare una sua decisione, potrebbe servire a manifestare i segreti del piano di Dio. L’autore più che interessarsi del modo con cui è avvenuta la concezione si preoccupa può darsi di far conoscere la sua missione. Egli non ignora il matrimonio di Maria con Giuseppe, ma lo lascia sullo sfondo spoglio di ogni significato. La domanda di Maria che esclude ogni intervento umano nella concezione del figlio, mira a ricordare la singolare relazione che questi è destinato ad avere con Dio. Dovrebbe aiutare a capire chi è il figlio, oltre o più che la madre. Nello schema dell’annuncio, la concezione verginale esprime nel modo più efficace la dipendenza e il riferimento del Bambino a Dio. Di fronte alla proposta dell’Angelo, Maria avverte una difficoltà, a suo avviso insormontabile, essendo ella decisa a rimanere vergine. Non esprime un dubbio, non pretende un segno, come fece Zaccaria, ma espone un desiderio, esprime un proposito, quello di rimanere vergine: frutto sicuramente della grazia di Dio, per la realizzazione del quale Maria si è posta sotto la protezione di un uomo attratto dallo stesso ideale. Per questo Maria è, ad un tempo, “sposa a Giuseppe” e decisa a “non conoscere uomo”. Tuttavia quello che Maria considerava un ostacolo per questa maternità gloriosa ne è, nel pensiero divino, la condizione necessaria. Dio le ha ispirato di rimanere vergine, Dio le domanda oggi di diventare madre: Dio non si contraddice. Come fu necessario che Abramo, perché potesse diventare padre di una posterità numerosa come le stelle del cielo e l’arena del mare, rinunciasse, accettando di immolarlo, all’unico figlio, sul quale riposavano le promesse divine; così è necessario che Maria concepisca e dia alla luce rimanendo vergine, affinché si possa realizzare il piano salvifico del Padre. Tale è la legge divina: la vita nasce dalla morte, che salva la propria vita solo chi accetta di perderla, che l’uomo non possieda mai se no ciò che ha donato.

vv.35 La domanda di Maria al v. 34 apre la seconda parte del dialogo che fa piena luce sul mistero. Maria ha avanzato riserve alla proposta angelica, ma Dio attuerà egualmente il suo disegno intervenendo con la potenza del suo Spirito. Le due espressioni “Spirito santo” e “potenza dell’Altissimo”, in virtù della legge del parallelismo, si equivalgono, indicano una stessa realtà con nomi diversi. Sembra che in primo piano venga sottolineato un rapporto della Madre di Gesù con lo Spirito di Dio, di cui è chiamata sposa, ma in realtà l’attenzione dell’autore è rivolta ancora al Figlio.
Qui non viene descritta una presenza qualsiasi dello Spirito, come quella che nell’A. T. Dio riservava ai grandi uomini, ma una presenza divina speciale: lo indica il verbo episkiazein, molto raro nell’A. T. e denso di significato. Lo stesso verbo in Es 40,35 indica la nube che fa ombra sopra il tabernacolo e simboleggia la gloria di Dio che riempie la Dimora. Ma vi è un altro riferimento biblico: in Sal 91(90),4; 140(139),8, Dio viene paragonato a un uccello che protegge, coprendo con l’ombra delle sue ali. Parlando dello Spirito Santo, come una Potenza che coprirà Maria con la sua ombra, l’Angelo insinua chiaramente che questo Spirito svolgerà il ruolo di principio creatore e produrrà la vita nel seno di Maria. Ciò che lo Spirito, questo soffio creatore, fa sin dalle origini del mondo, lo farà nel seno di Maria producendo una concezione verginale. L’Angelo annunzia a Maria che la simbolica nube avvolgerà la sua persona consacrandola in un tempio vivente. La presenza dello Spirito è ordinata al Figlio, ma non lascia estranea la madre. Ella è la via attraverso cui passa la realizzazione del piano di Dio. Il senso di kecharitômenê, piena di grazia, si fa così più chiaro.
Nel racconto dell’annunciazione si potrebbe registrare un trapasso nella presentazione del Messia. Maria darà alla luce un figlio, che sarà discendente davidico e alla fine lo stesso Figlio di Dio, ma si tratta sempre dello stesso figlio di Maria. Con la concezione verginale viene affermata la dignità divina di Gesù, anzi viene stabilito un nesso strettissimo (“perciò colui che nascerà da te santo sarà chiamato Figlio di Dio”) tra l’opera dello Spirito Santo su Maria e la dignità divina di Colui che sarà da lei concepito e partorito.

vv.36-38 L’obiezione di Maria ha avuto una risposta, ma ella ha bisogno anche di una conferma o prova sulla verità di quanto le è stato comunicato. Il “segno” fa parte dello schema dell’annuncio. In questo caso esso è costituito dalla maternità miracolosa, addirittura “impossibile” di Elisabetta, la parente che ha concepito un figlio nella sua vecchiaia, ma di cui Maria non è ancora a conoscenza, per questo l’Angelo può presentarla come un segno. Questa è la norma del comportamento di Dio con l’uomo: offrire segni che rendono credibile, e in qualche modo accettabile, la proposta divina. Questo è il dono della libertà di Dio: offrire un anticipo di quella luce e di quella grazia che inonderà l’interpellato. Nella storia della salvezza le situazioni si ripetono con facilità. Le perplessità, le ansie di Maria alle parole dell’angelo riecheggiano quelle di Abramo all’annuncio della nascita del figlio (Gen 18,14). La fede in Dio può operare meraviglie, anche cose “impossibili” all’uomo, ha salvato dall’incredulità il patriarca, la stessa fede salva Maria (v. 37). Una donna sterile che diventa madre e una “vergine” che partorisce un figlio “senza conoscere uomo” sono cose umanamente irrealizzabili, ma non davanti a Dio. Egli non può compiere cose assurde, ma compie anche ciò che è irraggiungibile agli uomini.
La risposta di Maria alla proposta dall’angelo è espressa con una formula che ritorna spesso nella tradizione biblica (v. 38). “Servi del Signore” sono coloro che hanno ricevuto un particolare incarico, ma contemporaneamente danno prova di disponibilità, remissività, fede. Sulla bocca di Maria l’espressione riassume la sua missione, ma anche il coraggio di cui ha dato prova nell’accettare l’invito divino facendo proprio il messaggio che sarà il punto di riferimento e il banco di prova di tutta la sua vita. 
“Serva del Signore” è il nome che Maria si attribuisce, dopo quello impostole dai genitori e dall’Angelo, “piena di grazia”. Il compito di Maria nel piano divino riceve una designazione ormai tecnica nel N. T. Ella è il prototipo della Chiesa, delle funzioni presenti nel suo ambito. Esse vengono esercitate non come poteri, ma semplicemente come servizi. Mara è la “serva del Signore” perché accetta umilmente il disegno che egli ha concepito su lei, anche se non riesce a comprenderne tutta la portata e tutte le conseguenza. La frase “che mi avvenga” è resa in greco con un ottativo, contiene perciò un segreto anelito, addirittura un’impazienza di vedere attuato quanto le è stato prospettato e richiesto. La partenza dell’Angelo (v. 38) chiude la “scena”, che si era aperta (v. 26) con il suo ingresso.

Nella prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele, alla quale fa eco il Salmo, abbiamo il nucleo delle promesse davidiche attorno al quale si sono innestate tutte le profezie messianiche del popolo di Israele. Tali promesse trovano compimento nel mistero dell’incarnazione. Un mistero che nella sua realizzazione sconvolge tutti i piani umani: il Figlio di Dio nascerà da una donna. Gerusalemme è stata ripudiata, ma Dio non viene meno alle sue promesse: ci sarà una nuova Sion nella persona di Maria. Non più una città o un popolo che simboleggia l’alleanza con Dio, ma una persona umana che aderisce liberamente al disegno di Dio. Attraverso il suo “eccomi” viene rivelato, come dice S. Paolo il “mistero taciuto per secoli eterni” (Rm 16,25c).

Appendice
Volgete lo sguardo a Maria! Quando Gabriele entrò da lei e cominciò con lei a trattare, ella chiese: “Come avverrà ciò?” E il servo dello Spirito Santo gli rispose dicendo: “è facile per Dio, perché tutto è a lui possibile”. E lei, credendo fermamente a ciò che aveva udito, disse: “Ecco la serva del Signore”. E subito il Verbo discese, si librò su di lei come gli piacque, entrò in lei e prese in lei abitazione, senza che nulla ella avvertisse. Così lo concepì, senza nulla soffrire; e nel suo seno egli divenne un bimbo, mentre il mondo intero era piano di lui. Egli depose la sua figura per rinnovare la figura di Adamo tanto invecchiata. Quando tu dunque senti parlare della nascita di Dio, resta in silenzio: ciò che Gabriele disse resti impresso nel tuo spirito! Nulla vi è di troppo difficile per quell’eccelsa maestà che per noi si è abbassata a nascere tra di noi e da noi. (Efrem Siro, dall’Inno per la nascita di Cristo)
… Fin dalla fanciullezza, fu tutta presa dal desiderio di santità, alla quale si diede con intelligenza e sollecitudine. Ogni giorno si poneva il Signore davanti agli occhi e guardava a lui, per farsi da lui illuminare e saziare. Quando dunque Dio vide quanto la sua anima era pura e schietta, volle abitare in lei, perché era libera da ogni male. Per il fatto che mai si vide una donna a lei simile, in lei si adempì quell’opera meravigliosa, eccelsa sopra ogni grandezza. Una sola figlia degli uomini fu ricercata tra tutte le donne e fu scelta perché era più bella di tutte le altre. Il Padre santissimo volle preparare una madre per suo Figlio e non trovò nessun’altra a questa simile: perciò la scelse perché fosse madre. Questa vergine era, dentro e fuori, piena di bellezza nascosta e meritò per la purità del suo cuore di veder compiersi in sé i misteri di Dio. (Giacomo di Batnà, da “Inno alla vergine santissima”)

La Profezia di Isaia
Ascoltate ora come con le stesse parole fu profetizzato da Isaia che sarebbe nato da una vergine. Così fu detto: “Ecco una vergine porterà nel seno e partorirà un figlio e lo chiameranno col nome “Dio con noi”. Ciò che era incredibile e ritenuto impossibile a verificarsi presso gli uomini, questo, per mezzo dello Spirito profetico, Dio ha predetto che sarebbe accaduto “affinché, quando si sarebbe verificato, non venisse messo in dubbio”, ma si prestasse fede perché era stato predetto. Affinché alcuni, non comprendendo la profezia di cui abbiamo parlato, non rimproverino a noi le stesse cose che noi abbiamo rimproverato ai poeti . …
La frase “Ecco la Vergine porterà nel suo seno” indica che la vergine concepì senza essersi unita con un uomo; se infatti si fosse unita con qualcuno, non sarebbe stata più vergine; “ma la potenza di Dio, scendendo” sulla vergine “l’adombrò” e fece sì che concepisse pur restando vergine. L’angelo di Dio, inviato in quel tempo alla stessa vergine, le diede il buon annuncio dicendo: “Ecco, concepirai nel tuo seno per opera dello Spirito Santo e partorirai un figlio e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo e lo chiamerai con il nome di Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dalle sue colpe”. Così insegnarono coloro che hanno tramandato tutto ciò che riguarda Gesù Cristo nostro salvatore; ad essi noi crediamo, poiché anche per bocca di Isaia – di cui abbiamo parlato - lo Spirito profetico disse che questo sarebbe avvenuto, come abbiamo già detto.
Non è dunque possibile pensare che lo Spirito e la potenza che è presso Dio siano qualche cosa di diverso dal Verbo che anche Mosè indicò di essere il primogenito di Dio; questo, entrato dalla vergine ed adombratala, non mediante l’amplesso, ma per mezzo della potenza, la rese incinta. Gesù, nome di lingua ebraica, corrisponde al greco soter, cioè “Salvatore”. Ecco perché l’angelo così disse alla vergine: “e lo chiamerai con il nome di Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai peccati”. E che i profeti da nessun altro sono ispirati se non dal Verbo divino, anche voi, come suppongo, lo riconoscete. (Giustino martire, Prima Apologia)

Un fatto, qualche cosa che è accaduto, che si è verificato. “Kai egeneto”. “E accadde che”. I racconti evangelici, d'altra parte… si rivelano a questo riguardo preoccupati di collocare i fatti nel loro contesto storico e geografico: “in quel tempo”, “in quel luogo”. Pensate soltanto all'inizio del racconto dell'Annunciazione, secondo Luca ovviamente: “Fu mandato un angelo ad una vergine di nome Maria, sposata ad un uomo di nome Giuseppe, in una città della Galilea di nome Nazareth”. I nomi! Tutto è preciso, tutto è determinato. Dicevo che il rapporto concreto, con la concretezza della terra che si calpesta, che si vede, dell'atmosfera che si respira, deve darci - molto più di quanto non lo abbiamo avuto in passato - il senso di questa concretezza.
Quello che conta è che qualcosa sia accaduto. E quello che è tutta la nostra speranza, tutta la realtà della nostra fede, il motivo della nostra vita è l'effetto di questo fatto, ciò che questo fatto ha prodotto: una realtà, non un'idea. Non un'idea che troppo spesso, troppo facilmente, può degenerare in ideologia, cioè in un sistema umano, costruito al fine di rendere accettabili certe proposte, certe dottrine, certe prospettive, certi insegnamenti, certe realizzazioni e concretizzazioni storiche.
Il cristianesimo non è un'idea, meno che mai un'ideologia. Non è un ideale, lo diventa, ma secondariamente. E' un fatto che è successo - piaccia o non piaccia. Scusate la quasi brutalità di quest’affermazione. Bello o non bello – “è così bello che sia così”, a me piace quando uno parla in questo modo, anche a me succede abitualmente, è ovvio, perché così lo sento. Ma, e se fosse brutto? E' bello! Ma non è perché è bello che io lo credo, non è perché è bello che lo racconto. Non è la sua ragione di bellezza che mi convince. La cosa importante è che sia accaduto. E' un fatto (U. Neri).

Ma il Figlio, che vuole rendere comprensibile al mondo la bontà originaria del Padre, non dà principio ad alcuna opera di propria iniziativa, perché un atto del genere metterebbe in luce solo lui, anziché il Padre. Al principio di ogni attività sta l'obbedienza. La disponibilità a essere inviato dal Padre, secondo la sua volontà. Il non mettersi avanti dell'uno rispetto agli altri, l'abbandono, l'indifferenza. Già la traiettoria dal seno del Padre eterno al grembo della Madre temporale è un cammino nell'obbedienza, il più difficile e ricco di conseguenze, ma che viene percorso nella missione da parte del Padre: “Ecco io vengo per fare la tua volontà” (Eb 10, 7).
Chi lo porta e lo sospinge è lo Spirito. Lo Spirito del Padre, che manda, e del Figlio, che obbedisce, e quindi lo Spirito che nel portare e nel sospingere, è tanto attivo quanto obbediente. Egli presenterà al Figlio la volontà del Padre lungo tutto il tragitto attraverso il mondo e così parteciperà all'obbedienza del Figlio nel suo modo spirituale. La bontà diffusa del Padre - la grazia - e l'accoglimento riconoscente di questa bontà e grazia sono comunicati e unificati nella sua persona. Ma il Verbo deve diventare uomo, l'intero evento della salvezza non è un affare interno della divinità. Incarnarsi significa diventare Figlio di una Madre, che deve pronunciare il suo pieno consenso umano alla concezione del seme divino.
In nessun modo e sotto nessun riguardo, l'uomo viene sopraffatto e forzato da Dio, non può né deve essergli imposto qualcosa, con le cui possibili conseguenze egli non sia d'accordo preventivamente, pur con conoscendole. Non solo adesso, ma anche più tardi, quest'uomo non deve poter elevare contro Dio alcuni rimprovero per essere stato “ingannato” e “raggirato” da lui, come Geremia rinfaccia al suo Dio: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre: mi hai fatto forza e hai prevalso” (Ger 20, 7). Piuttosto la Madre deve accettare anticipatamente il contegno del Figlio suo, non solo per un certo tempo, ma per sempre, in rappresentanza di lui: per essere una pura risposta al comando del Padre (von Balthasar).

Le grandi esperienze di Dio raggiungono una profondità ed essenzialità che le accomuna tutte. Anche Isaia, quando ebbe quella straordinaria visione della maestà e della gloria di Dio, di colpo prese coscienza di se stesso, di che cos'era in verità, ed esclamò: Ohimé! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono (Is 6,1 ss.). Siamo davanti al sentimento creaturale. Maria non confessa la sua “impurità”, perché in lei non c'è impurità, ma riconosce ugualmente la sua nullità di creatura.
La stessa esperienza troviamo nella vita di Francesco di Assisi. Una notte, il suo intimo compagno e confidente, frate Leone, volle spiarlo per vedere come pregava e vide che passava lunghe ore ripetendo alternativamente, con la faccia e le mani levate al cielo: “Chi sei tu, o dolcissimo Iddio mio? Chi sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?” ( Consid. sacre stimmate , III; FF [= Fonti Francescane ] 1915). Chi sei tu? Chi sono io? In questa duplice domanda sta tutta la sapienza cristiana che consiste nel conoscere Dio e se stessi. Anche sant'Agostino pregava dicendo a Dio: “Che io conosca te e che io conosca me” (“Noverim te, noverim me”) (S.Agostino, Sol. II,1,1; PL 32,885). Nessuna delle due conoscenze può fare a meno dell'altra: la conoscenza di Dio senza la conoscenza di sé genererebbe presunzione, la conoscenza di sé senza la conoscenza di Dio genererebbe disperazione (R.Cantalamessa).

Cari fratelli e sorelle!
In questa quarta e ultima domenica di Avvento, la liturgia ci presenta quest’anno il racconto dell’annuncio dell’Angelo a Maria. Contemplando l’icona stupenda della Vergine Santa, nel momento in cui riceve il messaggio divino e dà la sua risposta, veniamo interiormente illuminati dalla luce di verità che promana, sempre nuova, da quel mistero. In particolare, vorrei soffermarmi brevemente sull’importanza della verginità di Maria, del fatto cioè che Ella ha concepito Gesù rimanendo vergine.
Sullo sfondo dell’avvenimento di Nazaret c’è la profezia di Isaia. “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14). Questa antica promessa ha trovato compimento sovrabbondante nell’Incarnazione del Figlio di Dio. Infatti, non solo la Vergine Maria ha concepito, ma lo ha fatto per opera dello Spirito Santo, cioè di Dio stesso. L’essere umano che comincia a vivere nel suo grembo prende la carne da Maria, ma la sua esistenza deriva totalmente da Dio. E’ pienamente uomo, fatto di terra – per usare il simbolo biblico – ma viene dall’alto, dal Cielo. Il fatto che Maria concepisca rimanendo vergine è dunque essenziale per la conoscenza di Gesù e per la nostra fede, perché testimonia che l’iniziativa è stata di Dio e soprattutto rivela chi è il concepito. Come dice il Vangelo: “Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35). In questo senso, la verginità di Maria e la divinità di Gesù si garantiscono reciprocamente.
Ecco perché è così importante quell’unica domanda che Maria, “molto turbata”, rivolge all’Angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” (Lc 1,34). Nella sua semplicità, Maria è sapientissima: non dubita del potere di Dio, ma vuole capire meglio la sua volontà, per conformarsi completamente a questa volontà. Maria è infinitamente superata dal Mistero, eppure occupa perfettamente il posto che, al centro di esso, le è stato assegnato. Il suo cuore e la sua mente sono pienamente umili, e, proprio per la sua singolare umiltà, Dio aspetta il “sì” di questa fanciulla per realizzare il suo disegno. Rispetta la sua dignità e la sua libertà. Il “sì” di Maria implica l’insieme di maternità e verginità, e desidera che tutto in Lei vada a gloria di Dio, e il Figlio che nascerà da Lei possa essere tutto dono di grazia.
Cari amici, la verginità di Maria è unica e irripetibile; ma il suo significato spirituale riguarda ogni cristiano. Esso, in sostanza, è legato alla fede: infatti, chi confida profondamente nell’amore di Dio, accoglie in sé Gesù, la sua vita divina, per l’azione dello Spirito Santo. E’ questo il mistero del Natale! Auguro a tutti voi di viverlo con intima gioia. (Papa Benedetto XVI, Angelus del 18 dicembre 2011)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi, quarta e ultima Domenica di Avvento, la liturgia vuole prepararci al Natale ormai alle porte invitandoci a meditare il racconto dell’annuncio dell’Angelo a Maria. L’arcangelo Gabriele rivela alla Vergine la volontà del Signore che lei diventi la madre del suo Figlio unigenito: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,31-32). Fissiamo lo sguardo su questa semplice fanciulla di Nazaret, nel momento in cui si rende disponibile al messaggio divino con il suo “sì”; cogliamo due aspetti essenziali del suo atteggiamento, che è per noi modello di come prepararsi al Natale.
Anzitutto la sua fede, il suo atteggiamento di fede, che consiste nell’ascoltare la Parola di Dio per abbandonarsi a questa Parola con piena disponibilità di mente e di cuore. Rispondendo all’Angelo, Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38). Nel suo “eccomi” pieno di fede, Maria non sa per quali strade si dovrà avventurare, quali dolori dovrà patire, quali rischi affrontare. Ma è consapevole che è il Signore a chiedere e lei si fida totalmente di Lui, si abbandona al suo amore. Questa è la fede di Maria!
Un altro aspetto è la capacità della Madre di Cristo di riconoscere il tempo di Dio. Maria è colei che ha reso possibile l’incarnazione del Figlio di Dio, «la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni» (Rm 16,25). Ha reso possibile l’incarnazione del Verbo grazie proprio al suo “sì” umile e coraggioso. Maria ci insegna a cogliere il momento favorevole in cui Gesù passa nella nostra vita e chiede una risposta pronta e generosa. E Gesù passa. Infatti, il mistero della nascita di Gesù a Betlemme, avvenuto storicamente più di duemila anni or sono, si attua, come evento spirituale, nell’“oggi” della Liturgia. Il Verbo, che trovò dimora nel grembo verginale di Maria, nella celebrazione del Natale viene a bussare nuovamente al cuore di ogni cristiano: passa e bussa. Ognuno di noi è chiamato a rispondere, come Maria, con un “sì” personale e sincero, mettendosi pienamente a disposizione di Dio e della sua misericordia, del suo amore. Quante volte Gesù passa nella nostra vita, e quante volte ci manda un angelo, e quante volte non ce ne rendiamo conto, perché siamo tanto presi, immersi nei nostri pensieri, nei nostri affari e addirittura, in questi giorni, nei nostri preparativi del Natale, da non accorgerci di Lui che passa e bussa alla porta del nostro cuore, chiedendo accoglienza, chiedendo un “sì”, come quello di Maria. Un Santo diceva: “Ho timore che il Signore passi”. Sapete perché aveva timore? Timore di non accorgersi e lasciarlo passare. Quando noi sentiamo nel nostro cuore: “Vorrei essere più buono, più buona… Sono pentito di questo che ho fatto…”. E’ proprio il Signore che bussa. Ti fa sentire questo: la voglia di essere migliore, la voglia di rimanere più vicino agli altri, a Dio. Se tu senti questo, fermati. E’ il Signore lì! E vai alla preghiera, e forse alla confessione, a pulire un po’…: questo fa bene. Ma ricordati bene: se senti questa voglia di migliorare, è Lui che bussa: non lasciarlo passare!
Nel mistero del Natale, accanto a Maria c’è la silenziosa presenza di san Giuseppe, come viene raffigurata in ogni presepe – anche in quello che potete ammirare qui in Piazza San Pietro. L’esempio di Maria e di Giuseppe è per tutti noi un invito ad accogliere con totale apertura d’animo Gesù, che per amore si è fatto nostro fratello. Egli viene a portare al mondo il dono della pace: «Sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14), come annunciarono in coro gli angeli ai pastori. Il dono prezioso del Natale è la pace, e Cristo è la nostra vera pace. E Cristo bussa ai nostri cuori per donarci la pace, la pace dell’anima. Apriamo le porte a Cristo!
Ci affidiamo all’intercessione della nostra Madre e di san Giuseppe, per vivere un Natale veramente cristiano, liberi da ogni mondanità, pronti ad accogliere il Salvatore, il Dio-con-noi. (Papa Francesco, Angelus del 21 dicembre 2014)

Fonte:http://figliedellachiesa.org

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