Mons. Francesco Follo, Lectio "Vigilanti nell’attesa di Dio"

Vigilanti nell’attesa di Dio
Rito Romano
I Domenica di Avvento – Anno B –  3 dicembre 2017
Is 63,16-17.19; 64,2-7; Sal 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37
Rito Ambrosiano
Is 16,1-5; Sal 149; 1Ts 3,11-4, 2; Mc 1,1-11
Domenica IV di Avvento – ‘L’ingresso del Messia’ 

  


1) Attesa di una visita e accoglienza.
  Domenica, prima di Avvento. L’orizzonte della preghiera si apre sulla storia, che ha il suo centro in
Cristo, il Dio fatto uomo, il Volto buono del destino. Bisogna perciò che noi rinnoviamo la nostra attitudine alla preghiera, intesa nel senso della tensione ad elevarci a Dio, che ci si rivela come la fonte della sapienza e della potenza, della bontà e dell’amore.
Per questo la Chiesa fa iniziare oggi la Messa con questo bel canto di Introito: “A te, Signore, elevo l’anima mia, Dio mio, in te confido: che io non sia confuso. Non trionfino su di me i miei nemici. Chiunque spera in te non resti deluso”. Questo canto d’inizio mostra molto bene la fiducia della Chiesa-Sposa. Ripetiamolo con lei dal fondo del nostro cuore., perché il Salvatore verrà a noi nella misura che l’avremo desiderato e atteso fedelmente.
Dunque, in questa prima domenica di Avvento siamo chiamati a prendere coscienza  che Cristo viene a “visitarci come sole che sorge dall’alto”. Si tratta della visita di Dio: Lui entra nella vita di ciascuno di noi, si rivolge a ciascuno di noi perché in ciascuno di noi vuole abitare stabilmente.
Con questa visita Dio entra nella nostra vita e si rivolge a ciascuno di noi. L’Avvento  ci invita a elevare la nostra anima per accogliere il Presente che viene. E’ un invito a comprendere che i singoli eventi della giornata sono cenni che Dio ci rivolge, segni dell’attenzione che ha per ognuno di noi. L’Avvento ci invita e ci spinge a contemplare il Signore presente e la certezza della sua presenza ci aiuta a guardare il mondo e la nostra vita con occhi diversi. Ci aiuta a considerare tutta la nostra esistenza come “visita”, come un modo in cui Lui può venire a noi e diventarci vicino, in ogni situazione e in ogni momento perché Lui è l’Emmanuele, il Dio sempre con noi.
Oltre alla “visita”, l’altro elemento importante dell’Avvento è l’‘attesa’ vigilante che – al tempo stesso - è speranza.  L’Avvento, tempo liturgico che rinnova di anno in anno l’attesa della venuta di Cristo, ci spinge a capire il senso del tempo e della storia come tempo favorevole (“kairós”) per la nostra salvezza. Gesù ha illustrato questo elemento dell’attesa in molte parabole: nel racconto dei servi invitati ad attendere il ritorno del padrone, nella parabola delle vergini che aspettano lo sposo e in quelle della semina e della mietitura.
Nella nostra vita, siamo in costante attesa: quando siamo piccoli vogliamo crescere, da adulti tendiamo alla realizzazione e al successo, avanzando nell’età, aspiriamo al riposo. Ma arriva il tempo in cui ci si scopre di aver sperato troppo poco se, al di là della professione o della posizione sociale, non rimane nient’altro da sperare. La speranza segna il cammino di ogni essere umano, ma per noi cristiani essa è animata da una certezza: il Signore è presente nello scorrere della nostra vita, ci accompagna e un giorno asciugherà anche le nostre lacrime. Un giorno, non lontano, tutto troverà il suo compimento nel Regno di Dio, Regno di giustizia e di pace. Nel frattempo preghiamo «Io spero nel Signore, l'anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l'aurora. Israele attenda il Signore, perché presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione» (Sl 129, 5-7).

2) Vigilanza e contrizione.
Il tempo liturgico dell’Avvento celebra la visita di Dio, risvegliando l’attesa del ritorno glorioso di Cristo e, quindi, preparandoci ad accogliere il Figlio di Dio, il Verbo fatto uomo per la nostra salvezza. Ma il Signore viene continuamente nella nostra vita. Pertanto dobbiamo prendere sul serio l’invito di Cristo, che in questa prima Domenica ci viene riproposto con forza: “Vegliate” (Mc 13,33.35.37). Questo “comando” non è rivolto solamente ai discepoli, ma “a tutti”, perché ciascuno di noi, nell’ora che solo Dio conosce, sarà chiamato a rendere conto della propria esistenza. Questo comporta soprattutto un umile e fiducioso affidamento alle mani di Dio, nostro Padre tenero e misericordioso, ma anche una carità operosa verso il prossimo e  una sincera contrizione dei propri peccati.
La preghiera di un cuore che veglia nell’attesa è una preghiera di chi si riconosce nel bisogno. Quando riconosciamo il nostro stato di indigenza è proprio allora che Dio ci ricolma dei suoi doni. Il primo di questi è il perdono, perché la più grande indigenza è il peccato. La preghiera, che è domanda e attesa, è domanda e attesa di perdono. Un’attesa che non domanda ed accetta questo perdono, non attende il Redentore, che ama perdonarci, che ama amarci. Il perdono è la prima espressione del suo amore. La preghiera ha sempre una dimensione di contrizione, che fa dire: “Signore, prima di parlare con me, perdonami” (Ant. Ambr.). Ma alla dimensione penitenziale si unisce quella nuziale, perché nasce dal nostro peccato e fiorisce nelle sposalizio con Dio.
La contrizione che sta all’inizio della celebrazione della Santa Messa, o la contrizione che sta dentro il cuore della nostra partecipazione al mistero di Cristo, che è il sacramento della Confessione, questa contrizione deve qualificare il nostro avvento. Senza tale contrizione la nostra attesa di Cristo che per noi viene in una grotta è troppo infantile oppure  è troppo leggera ed è un po’ superficiale, cioè troppo data per scontato. È solo con la contrizione che l’incombenza di Cristo e l’imminenza di Cristo sono splendidamente vive in noi, e la vigilanza si realizza.
La vigilanza, dunque, è contrizione. E, esistenzialmente, lungo il cammino della nostra vita, a vigilanza è contrizione carica di amore.
Per vivere questa attesa contrita, possiamo recitare la preghiera che Sant’Ambrogio di Milano recitava prima della celebrazione della Santa Messa: “Re dei vergini e amante della castità e della continenza perfetta, con la celeste rugiada della tua benedizione spegni nel mio corpo il fomite dell’ardente concupiscenza, affinché resti in me la castità del corpo e dell’anima. Mortifica nelle mie membra gli stimoli della carne e donami la perpetua e vera castità insieme con gli altri tuoi doni che veramente a te piacciono, affinché io possa offrirti il Sacrificio di lode con il corpo casto e il cuore mondo”.
La forma di vita, che testimonia in modo evidente che alla contrizione è unita la dimensione nuziale, è quella delle vergini consacrate. Lo sposalizio spirituale con Cristo fa di queste donne delle straniere al mondo, ma intimamente vicine a Dio. Sono convinte di essere un nulla e, agli occhi del mondo, sono disprezzabili, ma agli occhi di Dio sono preziose e care e sono modello per tutti di come vivere l’attesa per accogliere Cristo completamente e senza riserve.
In loro il cuore di Dio si adagia come in una mangiatoia. In loro l’umanità può vedere il riflesso di Dio.

Lettura patristica
San Beda il Venerabile,
In Evang. Marc., 4, 13, 33-37


     
"State attenti! Vegliate e pregate, perché non sapete quando verrà il momento" (Mc 13,33-34).

       «È come un uomo che, partito per un lungo viaggio, ha lasciato la sua casa e ha conferito ai suoi servi l’autorità di compiere le diverse mansioni, e ordini al guardiano di vigilare. Chiaramente rivela il perché delle parole: «Riguardo poi a quel giorno o a quell’ora nessuno sa nulla, né gli angeli che sono in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre". Non giova agli apostoli saperlo affinché, stando nell’incertezza, credano con assidua attesa che stia sempre per venire quel giorno di cui ignorano il momento dell’arrivo. Inoltre non ha detto "noi non sappiamo" in quale ora verrà il Signore, ma "voi non sapete" (Mt 24,42). Coll’esempio del padrone di casa spiega con maggiore chiarezza perché taccia sul giorno della fine. Questo è quanto dice:

       "Vigilate dunque; non sapete infatti quando viene il padrone di casa, se di sera, se a mezzanotte, se al canto del gallo, se di mattina; questo affinché, venendo all’improvviso, non vi trovi a dormire (Mc 13,35-36).

       «L’uomo - che è partito per un viaggio e ha lasciato la sua casa, - non v’è dubbio che sia Cristo, il quale, ascendendo vittorioso al Padre dopo la risurrezione, ha abbandonato col suo corpo la Chiesa, che tuttavia mai è abbandonata dalla sua divina presenza poiché egli rimane in lei per tutti i giorni fino alla fine dei secoli. Il luogo proprio della carne è infatti la terra, ed essa viene guidata come in un paese straniero quando è condotta e alloggiata in cielo dal nostro Redentore» (Mt 28,20).

       Egli ha dato ai suoi servi l’autorità per ogni mansione, in quanto ha donato ai suoi fedeli, con la grazia concessa dello Spirito Santo, la facoltà di compiere opere buone. Ha ordinato poi al guardiano di vegliare, in quanto ha stabilito che incombe alla categoria dei pastori e delle guide spirituali di prendersi cura con abile impegno della Chiesa loro affidata.

       "Ciò che dico a voi, lo dico a tutti: Vigilate!" (Mc 13,37).

       Non solo agli apostoli e ai loro successori, che sono le guide della Chiesa, ma anche a tutti noi ha ordinato di vigilare. Ha ordinato a tutti noi con insistenza di custodire le porte dei nostri cuori, per evitare che in essi irrompa l’antico nemico con le sue malvagie suggestioni. Ed affinché il Signore, venendo, non ci trovi addormentati, dobbiamo tutti stare assiduamente in guardia. Ciascuno infatti renderà a Dio ragione di se stesso.

       «Ma veglia chi tiene aperti gli occhi dello spirito per guardare la vera luce; veglia chi conserva bene operando ciò in cui crede; veglia chi respinge da sé le tenebre del torpore e della negligenza. Per questo Paolo dice: Vegliate giusti e non peccate; e aggiunge È ormai il momento di destarci dal sonno» (1Co 15,34Rm 13,11).

Fonte:http://francescofolloit.blogspot.it/

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